Il navigatore-scienziato

Gregorio Ronca

un irpino da non dimenticare

(Accademia Solofra, 1986)

 

 

INTRODUZIONE

Forse oggi più di ieri ci si rende conto quanto sia profondo lo sconvolgimento subìto dalla nostra cittadina, se, cadute le speranze di riavere, a ricostruzione ultimata, la Solofra di una volta, che ci ricordasse con i suoi palazzi settecenteschi, le stradine antiche, le "cortine longobarde", la sua storia lontana, ci ritroviamo a vivere in un ambiente certamente nuovo, ma con una fisionomia non più sua o, perlomeno, quella che avevamo nella mente. Irrimediabilmente sotto le ruspe, col palazzo, è andata via anche la nostra storia, poiché le nuove strutture cementizie non sono in grado di restituire alle vie dove sorgono l'impronta ricevuta lungo i secoli. Ci ritroviamo, così, un "centro antico" con case nuove che mal si accomodano negli stretti spazi di una volta. Ad ogni tempo il suo spazio, il nostro non è quello di ieri, ecco perché un bel palazzo in cemento armato, che magari mostra vezzose fogge, mal si addice negli angusti spazi di ieri, in cui è stato costretto a sistemarsi. A questa sensazione di sconveniente collocamento si aggiunge la delusione, di cui prima dicevamo, di aver perduto per sempre quell’immagine che gli anni avevano dato a Solofra.

Se, invece, alziamo lo sguardo fino a comprendere tutta la valle, quel senso di angustia, che l'osservazione della zona antica ci aveva messo addosso, cede il posto alla più accettabile costatazione di una cittadina in piena espansione che sale fino alle falde più ripide dei suoi monti, ma dove le costruzioni sono più a loro agio nel nuovo ambiente rubato ai campi, alle vigne, ai castagneti di una volta.

Evidente allora appare il particolare fervore che la eccita tutta e che dà la misura di un'attività prorompente, senz'altro positiva. Questa attività tuttavia a noi non sembra essere molto dissimile, nel dovuto rapporto temporale, da quella già un tempo dovette caratterizzare la vita solofrana. Basta una superficiale scorsa ai soli documenti solofrani esistenti nella raccolta di Scandone per rendersi conto della vivacità commerciale, politica e culturale che caratterizzò la vita di Solofra perlomeno in tre buoni secoli, quelli che possiamo collocare intorno alla ideazione e costruzione della nostra Collegiata, compresi i successivi interventi su di essa. Questa nostra realtà, che è stata scandagliata solo in superficie, ha un'enorme parte di sé nascosta, la cui conoscenza, per fortuna, non è condizionata da un processo irreversibile, basta che ci convinciamo che la storia non è solo quella imposta dai manuali e che il confine tra storia più importante e storia meno importante non è un diaframma immobile. Soprattutto dobbiamo considerare che è dovere di ogni paese recuperare la propria storia e serbarla come un emblema di famiglia.

Quando il mondo che contava era solo quello della nostra piccola Europa, allora la nostra storia poteva sbiadirsi rispetto a quella, di gran lunga più ponderosa, di una Roma o di una Firenze. Ma ora che i confini del mondo si sono allargati per comprendere con uguale dignità popoli senza storia, la nostra piccola storia acquista una luce diversa, data ad essa dalla dignità dei secoli.

Veniamo, così, a considerare che quando i luoghi ove ora sorgono le metropoli americane erano solo lande sconosciute e disabitate, Solofra aveva già una vita intensa ed articolata. Allora questa nostra antichità acquista il valore epico delle mitiche leggende e questo nostro paese, onusto di passato, si veste di quella nobiltà che solo il tempo può dare. Il sapere che una parte dei nostri documenti, ove la storia degli Orsini si lega a quella di Solofra, oltre 2500 documenti, sono gelosamente custoditi nella Biblioteca Universitaria di Los Angeles, serve proprio a confermare quanto abbiamo detto. Quella scoperta fortunata ci riempì di gioia per un passato che possiamo recuperare, ma ci fece fare una serie di considerazioni non ultima quella nata dall'orgoglio, legittimo, di vedere come una grande nazione che noi possiamo elencare tra quelle "senza storia", andasse alla ricerca della storia degli altri, la nostra, per farsene un blasone.

L'immagine dei nani che guardano più oltre perché salgono sulle spalle dei giganti ben si accorda con questa situazione. Noi siamo quei giganti vetusti di antichità da cui quei nani, con appena due secoli di storia, traggono la linfa per creare le meraviglie della loro realtà di oggi. E il costatare come quei nani siano le vestali di un focolare, che loro appartiene solo per derivazione, ci deve essere di insegnamento e farci prendere coscienza di quanta storia noi trascuriamo nelle chiese diroccate, nei ruderi abbandonati, negli archivi polverosi, nella noncuranza di ciò che fu l'ieri.

Solofra ha un blasone offuscato dalla trascuratezza più sopra lamentata, è necessario liberarlo dalle fuliggini degli anni, pulirlo dalla patina di incultura, rimuovere le incrostazioni di tante distorsioni e sottoporlo ad un lavoro di restauro che gli dia in ogni sua parte quell'impronta che ebbe dal quotidiano scorrere del tempo.

Scavare in questo passato, portare alla luce tanti momenti della vita di Solofra è il nostro intento per restituire alla nostra cittadina la sua memoria storica, che è quella di tutti noi, che ci lega e tiene uniti al di sopra delle diversità di oggi. Solo così potremo guardare alla nostra Solofra, risorta dalle macerie del terremoto, estesasi in tutta la sua valle, fiorente di attività, palpitante di vita senza quel rammarico di prima. Il suo blasone può brillare nel ricordo dei suoi uomini che si cimentarono in tutti i campi dello scibile, che lottarono nelle epiche battaglie per la libertà, che percorsero tutte le vie del mondo dalle più gloriose alle più umili, nella ritrovata memoria storica che vive in quelle opere che non temono l’usura del tempo o i guasti delle catastrofi.

 

 

N. B. Nella pubblicazione di questo lavoro, dato alle stampe nel 1984, ho apportato alcune modifiche dipendenti dagli ulteriori studi fatti su questo personaggio e sulla storia di Solofra in genere. M. De Maio.

 

 

CAPITOLO PRIMO

Gli inizi 

 

1. La famiglia. Tra le casate che arricchiscono la vita di Solofra c'è la famiglia Ronca, più volte incontrata nei documenti solofrani raccolti da Scandone1, in quelli notarili fin dal XVI secolo e citata dal Beltrano2.

 Molti suoi membri furono dottori in legge o notai, partecipi al governo della città. Si citano tra essi il notaio Aurelio Ronca, sindaco dal 1535 al 1538 e poi ancora negli anni 1547-1548, fino a giungere a Geronimo Ronca, sindaco nel 1555, l'anno in cui la duchessa Beatrice Ferella, vedova di Ferdinando Orsini, comprava "la terra di Solofra"3. In questo secolo altri Ronca furono sindaci della Universitas solofrana: un Michelangelo nel 1576 e un Vergilio nel 15974. Non mancano eletti al governo della città o appaltatori o cittadini in vista nel periodo di maggiore splendore della storia di Solofra. Anzi nella travagliata vita cittadina di quei tempi i Ronca guidarono una fazione in lotta contro quella guidata dalla casata Giliberti5.

Era tradizione di famiglia che fossero coltivati gli studi giuridici, ma non furono disdegnati quelli scientifici, se si considera che l'ingegner Luigi Ronca, padre di Gregorio, era cultore di scienze matematiche6 e il figlio fu un prestigioso scienziato della Marina italiana a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

 L'ingegnere Ronca, sindaco di Solofra per lunghi anni7, sposò Giulia Cacciatori8 da cui ebbe quattro figli: Gregorio, Virginia, Maria e Alessandro9, ma restò vedovo con i figli piccoli da educare10.

 
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1. F. SCANDONE, Documenti per la Storia dei Comuni dell'Irpinia, Avellino, 1956, pp. 233 e sgg.; A[rchivio di] S[tato di] A[vellino], Notai, B6522 e sgg.; http://www.solofrastorica.it specialmente le pagine dedicate al Cinquecento solofrano, alla famiglia Ronca e allo stesso Gregorio.
2. O. BELTRANO, Descrizione del Regno di Napoli, Napoli, 1640, p. 239.
3. V. le opere citate alla nota n.1 spec. le pagine web dedicate agli Orsini.
4. Ibidem.
5. Per questa lotta si leggano le pagine dedicate alla famiglia Ronca del sito web citato.
6. in "Le Rane", quindicinale solofrano, dell'1° gennaio 1910.
7. Ibidem.
8. Giulia Cacciatori di Nicola da San Severino aveva sposato il Ronca in seconde nozze (Archivio Parrocchiale Collegiata di S. Michele Arc. Registro Matrimoni n. XI n. 441).
9. in "Le Rane" del 20 agosto 1911.
10. Gregorio aveva nove anni ed era il più grande, Alessandro aveva solo 2 mesi essendo nato il 21 marzo del 1869 (Arch. Parr. cit. Libro X n. 998).
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2. La formazione. Gregorio, nato il 14 dicembre 185911, aveva dunque appena nove anni quando restò orfano di madre. Questo fatto fu determinante per la formazione del giovane perché egli si legò sia al padre che alla nonna paterna, figura questa non secondaria nella genesi degli ideali patriottici che lo guidarono nella vita.

Questa donna è Luisa Basile de Luna, che in seconde nozze aveva sposato Gregorio Ronca senior, padre di Luigi12. Ella, dopo la morte del marito e della giovane moglie del figliastro, restò in casa Ronca per accudire i quattro nipotini orfani a cui era affezionata. Era una donna forte e decisa che dette alla famiglia Ronca un'impronta indelebile13. Su essa conviene un momento soffermarsi.

Luisa Basile era cugina, per via di madre, di Carlo Pisacane, l'eroe napoletano della spedizione di Sapri, con il quale era stato in stretto contatto negli anni della giovinezza14. Erano vissuti entrambi nella Napoli dell'assolutismo borbonico, dominata, dopo i sussulti del '99, da una nota di facile rassegnazione al nuovo ordine nato dal Congresso di Vienna. La giovane visse a contatto con l'ardente cugino, allievo della Nunziatella, ma poco conformista e nutrito di forti ideali che lo portarono a scontrasi con le regole del vivere e del pensare comune. Ma negli anni giovanili Carlo non fu eccessivamente settario, da arrivare a sfidare il regime borbonico, tanto è vero che la polizia non lo teneva né tra i sorvegliati, né tra i sospetti. Luisa assorbì, dunque, le idee di libertà e di patria del cugino, che mantennero contorni meno stridenti e reazionari rispetto al cugino. Rimasero tra i due stretti rapporti, cementati anche da frequenti contatti epistolari, che portarono la fervida Luisa a difendere appassionatamente la memoria dell'eroe al processo che i Borboni celebrarono contro di lui15. La donna, dunque, portò nella famiglia Ronca, di antica fede borbonica16 la forza del suo credo.

Sia l'ingegner Luigi che il figlio Gregorio furono animati da un profondo sentimento della Patria convinti che esso si costruisce giorno per giorno con il contributo di tutti. Erano gli anni in cui iniziava il difficile cammino dell'Italia unita e Luigi, come sindaco di Solofra, realizzò il suo ideale nel servizio onesto ed amoroso verso la patria.

Il piccolo Gregorio dunque crebbe in un ambiente vivo di sentimenti patri, in cui "l'impegno sociale era considerato una regola di vita". Gli studi scientifici, a cui si dedicava il padre, gli indicarono la via ove indirizzare questo impegno. E fin d'allora si configurò quello che fu per lui un obiettivo fisso "creare cose utili per il progresso della società" che diventò una fede, rese sicure le sue scelte e dette un senso alla sua vita17.

 
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11. Arch. Parr., cit., libro XIV, n. 1993.
12. L. Ronca, Vita di Gregorio Ronca su "Il Campanile, 1975. L’autore di questo articolo, ammiraglio della Marina Italiana, era figlio di Alessandro, fratello di Gregorio. La Basile era vedova di Nicola Tarallo, generale dell’esercito borbonico e governatore della Piazzaforte di Taranto.
13. I solofrani la chiamavano "La generala" per via dei marito, ma non è difficile che il nome le venisse anche da suo carattere forte.
14. Cfr. L. Ronca, op. cit.
15. Carlo Pisacane, cadetto dei Duchi di S. Giovanni, perdette il padre a 6 anni, non ebbe un'infanzia felice, per via della madre molto severa. Il giovane, quindi, si era molto legato alla cugina. Cfr. N. ROSSELLI, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Milano, Lerici, p. 37;  v. anche C. PISACANE e G. LA MESA, La guerra del 1848-49 in Italia, Napoli, Rossi, e particolarmente l'introduzione di S. Sacchi e poi M. D'AYALA,Vite degli italiani benemeriti della patria morti combattendo, Firenze, 1868, p. 329.
16. L. Ronca, op. cit.
17. "Il giornale d’Italia", n. 231 del 20 agosto 1911.
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3. In Marina. La carriera militare di Gregorio non fu solo il coronamento di un sogno di nonna Luisa, ma una scelta di famiglia, che si allargò anche al piccolo Alessandro che fu generale di brigata16.

La scelta della Marina s'inquadra in una tradizione radicata nel Regno di Napoli fin dai tempi dei grandi Borboni, quando l'Arma assurse a tale prestigio da essere in grado di gareggiare con quella inglese. Anche se, negli ultimi anni del regno, Ferdinando II non l’aveva curata molto, essa, all'atto dell'unità, era di gran lunga superiore a quella degli altri stati italiani tanto che Cavour ne adottò le ordinanze, le manovre, i segnali di bandiera che la flotta sarda non aveva, e, per gli ufficiali prescrisse la divisa napoletana17.

Quando vi entrò Gregorio, dunque, la Marina italiana da poco si era formata con il contributo determinante di quella napoletana. L'orgoglio del napoletano si colorava di italianità. Aveva quindici anni, quando - era il primo ottobre 1874 - giungeva a Napoli da Solofra "accompagnato da una signora attempata tutta vestita di nero". Era "un giovanottino ancora in calzoni corti e neri stretti sotto il ginocchio, che si faceva notare per via di due occhi neri bellissimi su di un volto un po’ pallido, incorniciato da una chioma ondulata nerissima, spartita sulla fronte da una discriminatura centrale com'era la moda del tempo. Egli si presentò all'ingresso della Reale Scuola di Marina, "forte già dell'ammissione a pieni voti, a far parte della prima classe dei cadetti di vascello per prendere imbarco, il giorno successivo sulla nave scuola"18.

Nel 1879 terminò gli studi in Marina con il grado di "guardiamarina"19 e prese servizio sulla nave Amedeo20. Gregorio Ronca era finalmente marinaio al servizio della sua patria che affrontava i primi difficili problemi della sua nuova realtà. Intanto la Marina Italiana si era trasformata da ramo dell'esercito in arma a sé in un processo di innovazione avvenuto sui modelli inglesi e francesi. Il Ronca dette a questa Arma la fermezza della sua fede, la forza della sua volontà, il sostegno della sua intelligenza. Per suo merito essa si arricchì di invenzioni e nuove tecniche che ne fecero un'Arma moderna e che furono anche di valido contributo al processo di ammodernamento di altre Marine.

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16. La carriera di Alessandro si sviluppò nell'esercito. Nel 1889, ad appena venti anni, fu sottotenente dei Bersaglieri e nel 1917 raggiunte il grado di colonnello con li quale partecipò alla Prima guerra mondiale comandando il 16° Bersaglieri. Fu promosso generale di Brigata nel 1931 (cfr., Enciclopedia Militare, Milano, Istituto Editoriale Scientifico, s. a., vol. IV, p. 627.
17. R.DE CESARE, La fine di un regno, Città di Castello, 1900, vol. II, p. 165.
18. Cfr. L. Ronca, op. cit. Le scuole che preparavano gli ufficiali della Marina erano due una a Genova ed una a Napoli, queste nel 1861 erano state unificate (cfr., Enc. mil., cit., vol. I, p. 47). G. DI DONATO (in Solofra nella tradizione e nella storia, Messina, 1923, III, p. 191) lo dice, erroneamente, iscritto all'Accademia di Livorno, che fu aperta solo nel 1881.
19. È il primo grado di ufficiale nel Corpo dello Stato Maggiore della Marina (ufficiali di vascello). Veniva conferito ai giovani che avevano compiuto gli studi di ufficiali di marina. Era equiparato a quello di sottotenente degli altri corpi
20. "Le Rane", cit. Questo giornale di Solofra seguiva le imprese dei solofrani che operavano in altri luoghi d’Italia e del mondo.
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CAPITOLO SECONDO

 

Il giro intorno al mondo

 

1. Sulla "Caracciolo". Il Ronca si imbarcò sulla "Caracciolo", una pirocorvetta ad elica, armata a Napoli il 16 novembre 188121 per un viaggio di circumnavigazione intorno al mondo, descritto in tre copiosi volumi dal comandante della nave Ammiraglio Carlo de Amezaga22.

Il viaggio s'inquadrava in un ampio programma iniziato dalla Marina del Regno di Sardegna che, nello sforzo di ammodernamento dello Stato, portava le nostre navi in giro per il mondo. Si univa alla necessità di addestramento dei marinai alla vita di mare, quella di aprire nuove vie commerciali, di conoscere terre e coste e, financo, di trovare luoghi di deportazione per i malviventi. Nel 1839 era stata la nave da guerra "Regina" a compiere il primo viaggio di circumnavigazione, governava, allora, lo Stato Sabaudo Carlo Alberto. Il disegno fu seguito dal nuovo Regno d'Italia con il viaggio di circumnavigazione, negli anni 1865-1868, della pirocorvetta "Magenta", comandata dal Capitano di Fregata Vittorio Arminjon che aveva nel programma una sosta in Estremo Oriente per aprire anche all'Italia i ricchi mercati orientali. Quando il taglio dell'istmo di Suez restituì al Mediterraneo l'antica funzione di crocevia dei commerci l'esigenza di queste aperture si fece ancora più chiara e ci fu la spedizione della "Caracciolo"23.

Gregorio Ronca, che sulla nave come guardiamarina aveva le funzioni di "Ufficiale sott'ordine alla rotta", partì da Napoli il 27 novembre diretto a Gibilterra, poi sulla rotta delle Isole del Capo Verde giunse a Rio de Janeiro il 26 gennaio 188224.

 
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21. Varata a Castellammare di Stabia nel 1869 (lung. 64,60 m., larg. 10,97 m., tonn. 1661) aveva lo Stato Maggiore di 8 persone e l’equipaggio di 23l (cfr., Enc. Mil., cit., vol. 11, p. 142).
22. Viaggio di circumnavigazione della nave "Caraccìolo" comandato da Carlo Da Amezaga negli anni 1884, Roma, Ed. Forzani e Comp. Tipografi dei Senato, 1885. Il De Amezaga era nato a Genova nel 1835. Aveva fatto parte della Marina Mercantile fino al 1860, quando entrò nella Marina da guerra partecipando alla terza guerra d'indipendenza (Cfr., Enc. Mil., cit, vol. IlI, p. 393). Tutte le indicazioni riguardanti questo viaggio si riferiscono alla citata opera della quale si è potuto consultare solo il primo volume che si trova presso la Biblioteca Provinciale di Avellino. Gli altri due, ivi mancanti, sono stati trovati presso la Biblioteca Centrale Vittorio Emanuele di Roma, ma le ferree leggi che regolano gli scambi di volumi tra biblioteche hanno impedito di consultare il restante resoconto di questo viaggio. Pertanto tutte le citazioni si riferiscono al solo testo effettivamente consultato.
23. Un ampio resoconto del viaggio della pirocorvetta "Magenta" si trova in Missione in Oriente di F. AMMANNATI e S. CALZOLARI, in "Storia Illustrata" n. 341 e 342, aprile e maggio, 1986. L'Ammiraglio Arminion era nato a Chambery nel 1830, aveva servito il Regno di Sardegna e poi quello d'Italia il suo fu il primo viaggio di circumnavigazione del Regno d'Italia (Cfr., Enc. Mil., cit., vol. I, p. 709).
24. C. DE AMEZAGA, op. cit., pp. 264 e 23.
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2. A Montevideo. Il due marzo, dopo aver toccato S. Caterina, la nave italiana si fermò a Montevideo. La rotta Napoli-Gibilterra-Rio de Janeiro-Montevideo era una via d'obbligo per le navi sia se impegnate nei viaggi di circumnavigazione sia se dirette verso altre destinazioni. Nella capitale uruguayana c'era una nutrita colonia italiana, alimentata dai continui viaggi che univano il paese sudamericano con il nostro e dalle prolungate soste delle nostre navi in quel porto25. La "Caracciolo" si fermò a Montevideo dal 2 marzo all'11 maggio26.

Durante queste soste i marinai facevano più o meno lunghe escursioni sulla terraferma raccogliendo campioni della fauna, della flora o della mineralogia locale, realizzando un altro scopo di questi viaggi e, cioè, quello scientifico di reperimento, catalogazione e conservazione di campioni naturali per studi e per dotare i musei di idoneo materiale. Si raccoglievano reperti storici testimonianti le civiltà locali, e i diari di bordo o di marinai addetti allo scopo avevano proprio il compito di testimoniare la vita delle popolazioni locali o descrivere città e luoghi visitati. La conoscenza che del mondo si poteva avere allora dipendeva appunto dalla capacità di chi era imbarcato su queste navi di osservare, fotografare, raccogliere, catalogare, descrivere, disegnare, fare rilievi di coste o fondali marini27. Il viaggio della "Caracciolo" fu infatti ampiamente documentato non solo dai tre volumi citati, ma da un ricco materiale alla raccolta e organizzazione del quale contribuì lo stesso Ronca, come si dirà più avanti.

Nel porto uruguayano Gregorio Ronca festeggiò la promozione a sottotenente di vascello il giorno 13 aprile 1882. Da quel momento le sue funzioni saranno di "Ufficiale di comando di guardia".

 

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25. I marinai della "Magenta" s’imbarcarono a Montevideo per il viaggio citato essendovi stati portati dalla nave "Regina". Ciò conferma il ruolo importante di questo porto per le rotte italiane.
 26. Più volte il De Amezaga si era adoperato per difendere gli interessi dei nostri connazionali all'estero specie a Montevideo (cfr., Enc. Mil., cit., vol. III, p. 393).
 27. Circa il viaggio della "Magenta" c’è il diario di Enrico Hillyer Giglioli, giovane naturalista imbarcato sulla nave, che raccolse una ricca documentazione e ne raccontò le tappe. Era costui l'aiutante dei professore di zoologia Filippo de Filippi imbarcato sulla nave "con il compito di descrivere i paesi visitati". Il diario di Hyllyer, venuto alla luce di recente, ha permesso di conoscere le tappe di quel viaggio che sono ora narrate nella pubblicazione di AMMANNATI e CALZOLARI dal titolo Un viaggio ai confini del mondo (in "Storia Illustrata", aprile 1986, p. 99).
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3. Baia Caracciolo. La nave italiana riprese il viaggio diretta a sud ed il 7 giugno entrò nello stretto di Magellano la cui traversata fu molto interessante per i paesaggi che si ammirarono e i fenomeni che si incontrarono. Il 21 giugno poi iniziò la salita lungo la frastagliatissima costa cilena tra canali, isole e scogli "che particolari condizioni di luminosità facevano apparire coperti di neve anzicchè di guano". Si cercava "un sito propizio al riassetto della nave" quando dopo Baia Rayo i marinai si accorsero che quei luoghi non erano menzionati "né dalle carte più recenti, né dai portolani, né dagli avvisi ai naviganti"28.

Si era in un periodo in cui la conoscenza del globo non era del tutto precisa, molte terre erano mal conosciute, soprattutto i rilevamenti costieri non erano completi, come apparve ai marinai della "Caracciolo" che tra i compiti avevano anche quelli di ridisegnare i contorni delle coste non precise, di fare rilevamenti per correggere ed aggiornare le carte nautiche. "Tutta la idrografia di questi paraggi apparve, dai rilevamenti fatti, assai inesatta", dirà il comandante della "Caracciolo"29. Iniziò, così, la ricognizione di un magnifico bacino acqueo che ben si prestava ad una sosta. Mentre dunque la nave era sottoposta ad un completo lavoro di riassetto si fece una completa ricognizione dell'intera zona. Con cura vennero tracciati i contorni reali della costa e delle isole che proteggevano la baia, che a differenza di altre esistenti nella zona aveva il fondo uniforme e una buona presa alle ancore. E in questo lavoro ogni scoglio, ogni isola, ogni monte della baia prese il nome di coloro che si erano interessati ai relativi rilevamenti30. Come mostra la cartina allegata nella baia ci furono gli "isolotti Ronca" esplorati e disegnati dal Ronca e che testimoniarono lungo quella lontana costa, insieme all’intera baia che si chiamò Caracciolo, la presenza italiana nel mondo.

Ecco la descrizione della baia:

 

Le alghe abbondano e contornano quasi tutta la costa e tutte le isole, ma se si eccettuano pochi punti, esse non si stendono al di là di trenta metri dalla sponda. All'entrata della baia, le alghe si staccano più che altrove da terra, e seguono nettamente i due limiti dell'imboccatura, che è spaziosissima […]. Le isole che circondano Baia Caracciolo […] sono disposte a guisa di contrafforti perpendicolarmente alle suddette montagne. […]. Le vette dei più alti monti sono nude tutte di vegetazione e di neve. In tutte le parti della baia e specialmente dove le correnti atmosferiche non arrivano, la vegetazione è foltissima rendendo quei luoghi inaccessibili all'uomo. Gli alberi nati sul versante S. O. delle isole di ponente, sono inclinati di 45° almeno, verso N. E.; quelli cresciuti dal lato della baia sulle isole stesse, sono, al contrario, diritti, dal che si deve arguire che il vento, nella baia medesima giunge sempre fiacco anche nei forti temporali. Molte cascate di eccellente acqua si incontrano qua e là. La legna da ardere è abbondante. Quantità immense di frutti di mare, uccelli marini a frotte. L'oscillazione periodica delle marce osservata non segnò mai una differenza di livello fra flusso e riflusso superiore ad un metro e quindici centimetri, ma le impronte delle acque sulle rocce della riva, accennano a maree di quasi due metri. Le correnti sono assai deboli, fatto che è in relazione con la presenza dei sedimenti alluvionali, a cui è dovuta […] la uniformità del fondo. Dalle osservazioni effettuate […] si ottenne sulla punta nord dell'isola Denaro la latitudine di 50°, 18’,16" S. e la longitudine di 75°,15',22" W. Gr. Si eresse sullo scoglio Izzo, vertice centrale della triangolazione principale, in muratura, un parallelepipedo di m. 1,20 di altezza, sul quale venne incastrata una lamina di piombo con il nome della Caracciolo e la data, ed una tabella in legno portanti uguali indicazioni. Si rinvennero due capanne abbandonate sull'isola Denaro, testimonianza dell'apparizione in quei luoghi degli indigeni. Fu fatta sul monte, citato precedentemente come il più alto del luogo, un'ardita ascensione dal tenente di vascello Manassero, accompagnato da tre marinai, mercé la quale si poté determinare l'altezza del monte stesso con la scorta di un buon barometro a mercurio […]. Ricevé il monte il nome del capo della spedizione Signor Manassero31.

 
 
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28. C. De Amezaga, op. cit., p. 62.
29. Ibidem.
30. Ibidem. Anche il Comandante Arminjon della "Magenta" aveva esplorato alcuni alcuni canali e baie della Patagonia ed aveva dato ad essi nomi italiani.
31. Ibidem, pp. 63 e sgg.
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 4. Altre tappe. Il viaggio poi continuò per Valparaiso e Callao in Perù, dove la nave restò ferma per un anno intero, per permettere varie missioni nella zona, una di queste fu una crociera di istruzione lungo tutta a restante costa sudamericana del Pacifico fino a Panama dove i marinai trascorsero il Natale del 1882 ed aspettarono il nuovo anno. Durante questa lunga sosta si arricchì la raccolta del materiale scientifico di cui si è detto. Si cacciarono esemplari rari, si misero insieme molte testimonianze delle civiltà andine.

Finalmente l’11 giugno 1883 si riprese il viaggio diretti a Tahiti dove si giunse il 14 luglio e poi, dopo aver toccato le Figi, si proseguì per Sidney (settembre 1883). Attraverso lo stretto di Torres, una via di mare ancora poco conosciuta, si giunse nel canale della Sonda e si approdò nel porto di Macassar (6 marzo 1884). Qui i marinai della "Caracciolo" ebbero dal Capo della Polizia locale il racconto del terribile "disastro della Sonda", provocato dallo scoppio del vulcano Kratatoa che poi scomparve nel mare lasciando al suo posto "una colonna rocciosa dell'ampiezza di 9 metri quadrati" che i marinai osservarono ergersi dall'acqua.

 

Per lungo tempo si ripeterono le eruzioni accompagnate da continue e potenti ondate e piogge di cenere infuocate e di massi incandescenti. Per tre giorni la zona fu interamente avvolta da una densa nube che oscurava completamente il cielo, come se una lunga notte di terrore fosse calata sulla terra, dopo di che la configurazione dei luoghi apparve completamente mutata: avvallamenti, rialzi, pianure, burroni, vulcani mai veduti si erano sostituiti alle antiche accidentalità del suolo ed un tappeto di cenere e di pomici ricopriva ovunque terra e mare disegnando uno sconfinato deserto32.

 

La tappa seguente fu Singapore, poi, attraverso lo stretto della Malesia, che aveva "estesissimi vortici di corrente", che obbligarono i timonieri a raddoppiare la vigilanza, si giunse a Sumatra, poi a Cylon. Nel porto di Colombo, i marinai osservarono un'opera idraulica di straordinaria efficacia "un molo foraneo" capace di ottenere un bacino acqueo perfettamente tranquillo di fronte ai potentissimi marosi del monsone. Il molo arrestava "meravigliosamente l'onda" e la deviava dall'entrata e la spingeva "in direzione quasi opposta" ove andava "a smorzare gradatamente ogni energia". Mentre all'esterno del molo il mare, spinto dal monsone infuriava, all'interno regnava "una pace assoluta"33.

Dopo Ceylon nuova tappa furono le Seichelle e poi Aden. Il 28 luglio 1884 iniziò la traversata del Mar Rosso, dopo una sosta all'isola di Perim al centro dello stretto di Bab el Mandeb.

 
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32. Ibidem, pp. 194-195.
33. Ibidem, p. 209.
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5. In rotta verso l'Italia. La "Caracciolo" attraversò lo stretto di Suez, da poco nuova via di comunicazione per l'Oriente e il 3 settembre fu in vista dell'Italia, il 21 a Venezia dove finì il viaggio durato due anni, dieci mesi e un giorno.

Le splendide collezioni dì antichità americane e malesi, di minerali, di piante ed animali esotici furono donati ai musei italiani. Di particolare importanza fu la collezione zoologica donata al Museo dell'Università di Roma, sia perché era la più considerevole, sia per la cura con cui le varie specie erano state conservate per evitare i guasti del viaggio, ma anche perché erano state superate difficoltà enormi dovute alla carenza di spazio. Tutto ciò lo si rileva dalla lettera del Direttore del Museo di Zoologia di Roma al Comandante De Amezaga34. La collezione in questione fu opera di quattro ufficiali della "Caracciolo" tra cui Gregorio Ronca che aveva di persona cacciato e conservato gli animali della sezione ornitologica. C'erano dei rapaci notturni, un formichiere cacciato a Panama (23 gennaio 1883), un bellissimo esemplare della famiglia delle Columbidae (cacciato nelle Molucche il 27 febbraio 1884) e due "individui" della famiglia delle Rallidae venuti vivi a bordo nel golfo di Panama durante un temporale, infine degli esemplari molto belli della famiglia delle Procellaridae "preparati e pronti per essere collocati nella collezione"35.

 

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34. Ibidem, pp. 296-299.
35. lbidem, p. 303.
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CAPITOLO TERZO

 

Lo scienziato

 

1. Il proiettore di scoperta manovrabile a distanza. Terminato il lungo servizio sui mari del mondo Gregorio Ronca lasciò la "Caracciolo". A Napoli c'è il colera, la terribile pestilenza divampata nei primi di settembre. Il Ronca ebbe l'incarico di organizzare gli aiuti alle popolazioni e pose il quartier generale ad Ischia "dando prova di abnegazione ed altruismo non comuni"36.

Fu poi in servizio alla "Scuola Cannonieri" di La Spezia37 ed imbarcato sulla nave appoggio "Cavour" e poi sulla "Palestro", dove fu promosso Tenente di Vascello il 13 febbraio del 188738.

In questo periodo iniziarono i suoi studi sulle armi subacquee e sull'elettricità applicata in cui si specializzò. Erano studi di primaria importanza poiché in quell'epoca si facevano le prime applicazioni sulle navi. Per questa sua specializzazione passò, come "ufficiale addetto alle armi subacquee e all'elettricità", sulla "Ruggiero di Lauria"39, una nave predisposta per questi esperimenti sulla quale, per la prima volta applicò un motore elettrico ai proiettori creando il primo "proiettore di scoperta manovrabile a distanza". Era la prima invenzione di Gregorio Ronca che permetteva di eliminare il complicato sistema della manovra dei proiettori di luce delle navi. I grossi fari che illuminavano il mare di notte prima venivano girati a mano con l'impiego di due persone. C'era l'osservatore che ordinava dove dirigere il fascio di luce e l'operatore che eseguiva. Questo sistema, intanto, con la maggiore velocità delle navi non era più efficiente. Il congegno ideato dal Ronca permetteva di operare a distanza mettendo in moto un motore elettrico che a sua volta guidava il movimento del proiettore. La manovra diventava così più agile, veloce ed era di facile applicazione, inoltre, prevedeva l'impiego di una sola persona. Per questa sua invenzione che egli descrisse nello studio Il proiettore manovrabile a distanza il Ronca non volle chiedere il brevetto poiché "gli bastava aver servito la patria", perciò ora nessuno sa che quando stringe comodamente in poltrona la cassettina per cambiare i canali televisivi l'idea di quell'oggetto fu di Gregorio Ronca40.

La corazzata "Lauria" per sua opera divenne, a poco a poco, una delle migliori navi che vantava un ampio sistema di impianti elettrici41.

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36. Il colera dei 1884 si era diffuso da Genova. Aveva covato nella primavera di quell'anno e nell'estate era divampato. Nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre vennero costatati improvvisamente a Napoli 60 casi e, tra il 5 e il 6, i casi arrivarono a 900 (cfr., T. GORI, Il popolo italiano. Storia civile, Milano, Vallardi, 1928, vol. III, 1, p. 126); "Le rane", cit. La base di aiuti che il Ronca dirigeva ad Ischia fu visitata dal re Umberto I che sostò a lungo nell'isola partenopea dando "una paziente e coraggiosa partecipazione" (cfr. T. GORI, op. cit., p. 126).
37. Cfr. L. RONCA, op. cit. e G. DI DONATO, op. cit., p. 191.
38 "Il Giornale d'Italia, cit.
39. L. RONCA, op. cit. La "Lauria" era una corazzata varata a Castellammare di Stabia nel 1884 (lung. 100, larg. 19,84, Tonn. 11, 1 74, CV 1 0,591, voi. 17,5 miglia; 2 cannoni da 152,4 da 120,4 mitragliere da 431,507 uomini).
40. R. PAGNOTTA, Irpinia Nuova, Avellino, 1911, p. 96.
41. La Marina riconobbe questa invenzione con un Encomio del 1893 (cfr., C. MANTU, Storia dell'Artiglieria Italiana, Rivista di Artiglieria e Genio, 1942, voi. Il 1, parte Il 1, p. 2988).
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2 - All'Accademia di Livorno. Per l'importanza dei suoi studi, intanto Gregorio Ronca fu destinato all'Accademia navale di Livorno come insegnante di "Artiglieria e Balistica"42. Queste due discipline avevano subìto una rapida evoluzione che aveva portato alla costruzione di nuove armi a grande gittata e che avevano richiesto studi di balistica sul movimento dei proietti sia nell'interno della canna del cannone (balistica interna) sia fuori della canna da fuoco (balistica esterna). In anni densi di studi e frenetici di esperimenti e valendosi dell'aiuto del matematico Alberto Bassani, suo collega nella stessa Accademia, il Ronca studiò un nuovo metodo di balistica esterna43. Poiché di facile applicazione e più rispondente alle nuove realtà, ma soprattutto perché basato su principi assolutamente scientifici, il metodo Ronca-Bassani sostituì ben presto quello esistente, il classico "Metodo Siacci"44. L'opera che contenne questi studi fu il "Trattato di Balistica Esterna", che divenne un pilastro della nuova scienza navale, adottato in tutte le Accademie navali.

Come avviene quando si tentano nuove strade, nacque una polemica con il Siacci45 sulla quale così si espresse il generale Mantù: "È ancora viva l’eco dell’interessante e sereno dibattito seguito sulle riviste militari del tempo tra il Ronca e il Siacci"46. Ma Gregorio Ronca non tardò ad avere ragione, come si vedrà.

 
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42. L'insegnamento a Livorno iniziò il primo novembre 1889. Le notizie riguardanti il periodo livornese sono state fornite direttamente dall'Accademia Navale di Livorno con lettera in data 7 novembre 85 a firma dei C. C. Riccardo Monechi.
43. Per i suoi studi il Ronca meritò la nomina a Cavaliere della Corona d'Italia con R. Decreto il 31 maggio dei 1894 e la promozione a Capitano di Corvetta il primo marzo dei 1897 con R. D. dell'11 febbraio 1897 (Dalla citata lettera dell'Acc. di Livorno).
44. Il metodo Ronca-Bassani al Balipedio di Viareggio fu seguito fino all'adozione dei moderni Metodi per archi (Cfr. C. MANTÙ, op. cit., p. 2987).
45. Angelo Francesco Siacci era nato a Roma nel 1839. Era stato ufficiale di artiglieria in Piemonte e professore di meccanica superiore all'Università di Torino dove si era segnalato per gli studi di balistica. Nel periodo della polemica con il Ronca il Siacci insegnava meccanica razionale nell'Università di Napoli (cfr., Enc. Mil., cit., vol. VI, p. 959).
46. C. MANTÙ, op. cit., p. 2987.
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3. Il tiro Ronca. Dalla teoria Gregorio Ronca passò alla pratica ed ecco questi studi di balistica esterna concretizzarsi in un Manuale del Tiro, in cui raccolse tutte le norme con le quali si sarebbe dovuto eseguire il tiro navale che egli chiamò Tiro navale migliorato a salve47.

Con le navi a vela i combattimenti avvenivano a piccole distanze e allora per il tiro delle artiglierie erano sufficienti rudimentali alzi. Ora le navi erano più veloci e le armi avevano gittata maggiore, le distanze di combattimento erano più ampie. Bisognava, così, tenere conto di tanti fattori che potevano avere anche la minima influenza sul tiro: la rotta e la velocità delle due navi, la durata del tragitto del proietto nell'aria, la distanza del tiro, lo stato di usura dei cannoni, la temperatura della polvere di lancio, la velocità e la direzione del vento, la velocità di rollio e tanti altri elementi ancora; e poterli tutti valutare in un sol momento e trasmettere gli ordini. C'era da tenere presente che quando il proietto giungeva a destinazione la nave si era spostata dal punto in cui si trovava quando era stata presa la mira, quindi esso doveva essere lanciato nel punto in cui si sarebbe dovuto trovare la nave quando questo sarebbe giunto a destinazione. Il Ronca coordinando meravigliosamente tutti questi elementi riusciva a spingere il tiro a grandissima distanza - oltre cinque miglia - con grande precisione48.

Le riviste navali e scientifiche49 ne dettero ampia divulgazione anche all'estero e presto il nuovo metodo fu adottato da molte marine. La prima fu quella giapponese e nella guerra, che questa nazione sostenne contro la Russia nel 1905, si ebbe la possibilità di verificare la validità del metodo Ronca50. La Marina italiana, così, si imponeva all'attenzione straniera51. Ma vediamo cosa successe in quella guerra.

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47. Ibidem.
48. Il generale Mantù così si esprime circa gli studi dei Ronca: "All’inizio di questo secolo le conseguenze derivanti nel campo tattico dalla realizzazione di navi sempre più veloci e dagli effetti delle nuove armi rigate e lunga gittata imponevano adeguate riforme: si rendeva pertanto necessaria la mente geniale di chi, dalla sintesi dei nuovi problemi emergenti sapesse escogitare le provvidenze per risolverli e quindi ne realizzasse le nuove metodiche" (cfr. MANTÙ, op. cit., pp. 2987 e 2988).
49. Le Riviste in cui il Ronca pubblicò i suoi studi sono la "Rivista Marittima", la "Rivista di Artiglieria e Genio", "La Corrispondenza" (cfr. MANTÙ, op. cit., pp. 2988 e 2989).
50. Si cita una frase pronunciata dal Ronca nell'introduzione al suo testo Balistica e Tiro navale, che è la spiegazione del disastro di Tsun-Shima: "Le marinerie non si sono ancora liberate da una tradizione originata nel tempo della vela".
51. La Marina italiana non fu avara verso il Ronca che fu fregiato di Medaglia d’Oro di 2° classe sia per il "Proiettore manovrabile a distanza" sia per l'"Abaco di Tiro" che per il "Trattato di balistica razionale" (Foglio d'Ordine dei 9 gennaio 1899).
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4. Tsun-Shima. L'Ammiraglio giapponese Togo52 aveva voluto, che la marina del suo paese nel processo di ammodernamento adottasse la nuova tecnica di tiro, che egli giudicava più adatta alla nuova realtà navale. E quando nel 1905 il Giappone entrò in guerra con la Russia sia l'Ammiraglio Togo che lo scienziato Ronca ebbero la loro vittoria. A pagarne le spese fu la marina russa, che vide la distruzione dell'intera flotta nella memorabile battaglia di Tsu-Shima.

Era il 26 maggio di quell'anno la flotta russa comandata dal generale Rojestvenskij si dirigeva verso Vladivostok e sarebbe passata per lo stretto di Corea. L'ammiraglio Togo, informato della manovra russa riunì il grosso della sua flotta nella baia di Asaji, un buon rifugio naturale e, in caso di guerra, un ottimo posto per tendere un'imboscata, poiché è ben difesa dalle isole giapponesi di Tsu-shima, situate appunto tra la Corea e l'isola di Kyushu che dividono lo stretto in due canali53.

Il 27 maggio le navi russe entrarono in vista di quelle giapponesi. Era una giornata di nebbia che permetteva l'avvistamento delle navi solo a poca distanza, ma a tratti la coltre nebbiosa si alzava dando una buona visibilità. La battaglia infuriò feroce, ma dalle navi giapponesi venivano sparati tiri precisi, troppo più precisi di quelli russi. In quaranta minuti le principali unità della flotta russa furono danneggiate ed alcune uscirono di formazione. Fu colpita la nave ammiraglia Savorovo, lo stesso Ammiraglio in capo fu ferito, poi altre navi, ad una ad una, e l'intera flotta russa fu distrutta54.

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52. Heiaciro Togo era nato nel 1847 e aveva partecipato alla guerra cino-giapponese dei 1894 raggiungendo il grado di Contrammiraglio. In qualità di presidente della Commissione Tecnica della Marina e di Comandante della Scuola di Marina giapponese aveva introdotto il metodo Ronca nella Marina dei suo paese. Dopo la guerra con la Russia fu fatto Visconte e nominato Grande Ammiraglio (cfr. Enc. Militare, cit., vol. VI, p. 1224).
53. Le isole di Tsun-Shima si chimano Kamino a nord e Shimono a sud. I due canali sono lo stretto di Corea, tra la Corea e le isole e quello di Tsun-Shima tra le isole ed il Giappone. V. BONAPECE e G. MOTTA, Atlante mondiale, cit., pp. 90 e 505.
54. Affondarono 22 navi tusse, 7 vennero catturate, 6 disarmate. Tre solo si salvarono. I morti furono 7000, 1 prigionieri 6500. I giapponesi perdettero, invece, 3 torpediniere ed ebbero 118 morti e 538 feriti.

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5. La preghiera del marinaio. Durante gli anni di Livorno per ottemperare agli obblighi dei marinai che prevedono il servizio effettivo su navi, il Ronca fu imbarcato sulla nave Lombardia e sulla Tripoli che stazionavano nelle acque antistanti il porto toscano per permettere al professore scienziato di continuare il suo servizio e i suoi studi presso la Reale Accademia. Intanto sulla Tripoli Gregorio Ronca fu promosso Capitano di Fregata.

Il primo ottobre del 1901 cessò di prestare servizio presso la Regia Accademia Navale di Livorno e potette riprendere il mare. Gli fu affidato il comando della Garibaldi, una nave da guerra da poco varata. In questo periodo fu istituito il bellissimo rito della "preghiera del marinaio" voluta dal comandante della Garibaldi. Lo studioso di artiglieria, che aveva dotato la Marina italiana di sistemi da guerra tanto efficienti, vedeva tutto il valore patriottico ed umano della guerra come estremo atto di difesa della Patria in pericolo. Venerava nel marinaio preposto a questo compito altissimo, in navigazione sui mari italiani per la difesa delle coste e degli approdi della sua Patria, il sacrificio di chi è costretto a stare lontano dagli affetti e di rinunciarvi per un dovere più alto. Sentiva il bisogno di esaltare questo alto compito in un momento religioso che legasse Dio alla patria e agli affetti.

C'era un momento della giornata del marinaio in cui la piena del sentimento provoca una intensa onda di nostalgia: era l'ora del tramonto quando tutti i marinai a poppa si riuniscono intorno al Comandante nella cerimonia dell'ammainabandiera. In quel vessillo c'era la patria per la quale si andava sul mare, c’erano gli effetti lontani che si sacrificavano in quel dovere, c'era un altissimo sentimento che Gregorio Ronca sentiva di dover santificare in un rito religioso. Tramite il vescovo di Cremona, mons. Bonomelli, che egli conobbe a Genova, dove la nave stazionava, riuscì ad avere dallo scrittore Antonio Fogazzaro una preghiera che sottolineava tutto il significato di quella cerimonia su una nave da guerra.

E fu così che in occasione della consegna della bandiera di combattimento all'incrociatore "Garibaldi" Antonio Fogazzano donò la preghiera al Comandante della nave.

 Essa dice:

A Te, o grande Iddio, Signore dei cielo e dell'abisso, cui obbediscono i venti e le onde, noi uomini del mare e di guerra, ufficiali e soldati d'Italia, da questa sacra nave annata della Patria, leviamo i cuori! Salva ed esalta nella tua fede, o gran Dio, la nostra Nazione, salva ed esalta il Re; dà giusta gloria e potenza alla nostra bandiera, comanda che la tempesta e i flutti servano a lei, fa che per sempre la cingano in difesa petti di ferro che cinge questa nave, a lei per sempre dona vittoria. Benedici, o Signore, le nostre case lontane, le care genti; benedici nella cadente notte il riposo del popolo, benedici noi, che per esso vegliamo in armi sul mare. Benedici!

 

Sia per la delicatezza delle immagini care ai marinai, sia per il significato che essa dava alla missione dei marinai in armi, la preghiera fu adottata da tutte le navi ed entrò nel regolamento di servizio delle navi armate. Da allora ogni sera al tramonto sulle navi da guerra in navigazione, a poppa intorno alla bandiera che viene ammainata, si riunisce tutto l'equipaggio, che, in piedi a capo scoperto ascolta dalla voce del Comandante l'invocazione religiosa voluta dal Ronca.

Lasciato il comando della Garibaldi nella vita del Ronca c’è un nuovo periodo di studi questa volta a Napoli, dove diresse la sezione "Armamenti e Artiglieria" e dove studiò la "trasmissione di ordini a distanza" dati i nuovi bisogni della guerra sul mare.

 

 

CAPITOLO QUARTO

 

Con il "Dogali" in Amazzonia

 

1. Motivi del viaggio. Nel 1904, "per rispondere alle esigenze d'imbarco che hanno i marinai", Gregorio Ronca ebbe l'incarico di comandare il "Dogali", una nave oceanica da guerra55. Con questa nave compì "una di quelle meravigliose missioni che toccano alle navi da guerra in periodo di pace"56. Il viaggio si inquadra in quell'attività caratteristica della Marina italiana che si concretizzava nei viaggi intorno al mondo dei quali si è detto. Allora Gregorio aveva partecipato ad uno di questi con compiti e ruoli ben diversi. Ora, invece, egli fu alla guida della nave impegnata nella missione; anche le istruzioni furono diverse: "visitare le Antille e l'America Centrale regolando però, l'itinerario e scegliendo i porti da toccare in modo che le visite ad essi […] riuscissero utili alla prosperità nazionale"57.

Anche per questo viaggio, come per quello precedente, la ricerca di sbocchi al commercio era lo scopo principale, affinché l’economia italiana avesse linfa vitale per il suo decollo. In questo campo si erano dovuti superare gli handicap del sistema protezionistico, poi abbandonato, c'era la difficoltà di introdursi in nuovi mercati, la necessità di superare la spietata concorrenza delle altre nazioni europee giunte prima. Ma un altro compito aveva la missione del Dogali: aiutare "quella meravigliosa attività emigratrice della nostra gente, mercé la quale la nuova Italia ha potuto spargere per il mondo 4 milioni dei suoi figli senza sentirne danni, anzi traendone benefici"58.

 Negli anni a cavallo del nostro secolo l'emigrazione risolveva quegli squilibri socio-economici che dividevano l'Italia in modo stridente, era un modo per eliminare la triste realtà, della fame e della mancanza di lavoro. Si considerava, però, anche il vantaggio di mettere a contatto civiltà diverse, di smuovere l'immobilismo di certe società. Ma, soprattutto, essa era vista come un modo per aprire nuove vie al commercio, creare punti in cui potesse espandersi l’Italia59, e, in questo i due scopi che si prefiggeva il Ronca, si completavano. Per le altre nazioni l’emigrazione si era trasformata in colonizzazione che aveva portato ricchezza e fortuna all’emigrante-colonizzatore ed espansione territoriale alla nazione di provenienza.

Il Ronca si rendeva ben conto che gli altri paesi non vivevano l'emigrazione come un moto inconsulto, una fuga cieca, ma come un moto organico di gente che si stanziava in possedimenti e che conservava rapporti normali con la madrepatria. Quelle terre erano una linfa vitale per quelle nazioni e quegli emigranti, figli non spuri, non reietti, ma i migliori a cui si affidavano i compiti più meritori. Da noi questo processo si era fermato a metà, anzi diventava una piaga per il modo come si attuava. Gruppi di persone che diventavano massa, ma anche singoli, lasciavano il paese senza guida, senza niente di preciso che li guidasse e si dirigevano là dove avevano sentito dire che si viveva meglio o dove si era già recato un paesano o, peggio, dove li portavano feroci speculatori60.

Molto spesso le conseguenze erano disastrose, poiché l'emigrante o si perdeva in terre sconosciute o finiva per essere trattato come uno schiavo. Costretti a fuggire un destino ingrato ed abbandonati a sé, i nostri emigranti portavano nelle nuove terre la delusione di una patria che non li aveva aiutati, l’amarezza di una lontananza non scelta, la nostalgia di una vita che non si voleva rinnegare, il dolore di una ferita che non si rimarginava. E questo doveva essere assolutamente evitato, l'emigrante non doveva essere qualcosa che si metteva da parte, poiché era di troppo, ma un virgulto che si innestava su terre vergini più feconde, un'emanazione di una patria che si espandeva, un antesignano della civiltà di cui si era portatori. Il Ronca sentiva tutta la portanza di questa situazione. Aveva coscienza di ciò che provocava un movimento incontrollato non guidato da "regole stabilite ". Sentiva che queste forze, che altre nazioni dirigevano ed usavano per la propria espansione e floridezza, da noi si perdevano. "Quella meravigliosa attività emigratrice" da noi diventava sperpero delle più belle energie, depauperamento di un potenziale di incalcolabile ricchezza61.

In questa dimensione si innesta e prende significato la missione di Gregorio Ronca. La patria, che non riusciva a risolvere i problemi di tutti i suoi figli e se li vedeva fuggire di casa cercava di porre ordine nel complesso fenomeno, cercava di "sommare le forze e gli sforzi dei nostri coloni e farli tendere verso scopi determinati". "Si potrebbero avere al di là dell'oceano degli interi paesi", diceva il Ronca, "colonizzati quasi esclusivamente dai nostri e quindi uniti a noi da legami indissolubili di sangue"62. Proprio per porre riparo a quegli errori e per far sì che il nostro emigrante potesse diventare una pedina di riguardo in una postazione avanzata di capitale importanza per la vita della stessa nazione, un caposaldo di quel commercio che l'Italia cercava, il Ronca navigava verso il centroamerica63.

 
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55. Il "Dogali" era stato varato in Inghilterra nel 1887 (lung. m. 76, 25, larg. m. 11,28, disi. tonn. 2088, macchine HP 7197, armamento cannoni VI 152, 1 75, Il 37, 1x 57, mitragIiatrici: 2, lanciasiluri: 2. Stato maggiore: 12, equipaggio: 232).
56. G. RONCA, Dalle Antille alle Guiane e all'Amazzonia, Roma, "Rivista Marittima", 1908, p. 6.
57. Ibidem, p. 7.
58. Ibidem.
59. Candeloro dice che l'emigrazione divenne "un elemento essenziale dell'equilibrio economico-sociale italiano […] una condizione necessaria del nostro sviluppo economico", ma a spese dei ceti più miseri. Cfr. G. CANDELONO, Storia dell'Italia moderna, VI, 1871-1896, Milano, Feltrinelli, 1970. Anche L. Einaudi afferma che il fenomeno emigratorio era visto come "fonte di benessere individuale e collettivo" (cfr., L. EINAUDI, Cronache economiche e politiche di un trentennio, 1893-1902, Einaudi, 1960).
60. La legge sull'emigrazione del 1888 aveva favorito la classe degli agenti e subagenti di emigrazione, poiché li riconosceva legalmente. Avvenne, allora, che truffatori d'ogni genere si sparsero per le campagne a fare facile propaganda tra i contadini ignoranti, allettandoli con false promesse verso le zone più inospitali dei Brasile. Si facevano pagare falsi noli, si speculava su tutto persino avviandoli a Genova una settimana prima dell’imbarco e poi intascando una percentuale dai tavernieri, che ospitavano quei poveretti (cfr. L. EINAUDI, op. cit., p. 90).
61. In Italia si cercava di arginare il problema. "Si susseguivano dibattiti e convegni, la tipografia Roux Frassati e C. nel 1899, a Torino, pubblicò un volume: Gli Italiani all’estero, in cui si riassumevano i dati del problema, si impegnavano i vescovi, il Bonomelli, lo Scalabrini e soprattutto il missionario Maldotti e il Comm. Malnati, ispettore alla sicurezza del porto di Genova. Vari onorevoli facevano progetti e intraprendevano iniziative. Si fecero processi vari, c’erano viaggi in Brasile "per vedere la sorte degli emigrati" per scernere i luoghi più adatti agli italiani, per sottrarli alle regioni, ove prevaleva il lavoro a cottimo e avviarli in paesi sani. Il Crispi nel 1891 in una circolare istituì la servitù della gleba per evitare la fuga delle terre, vietò ai prefetti il rilascio dei passaporti. L'emigrazione, purtroppo, cresceva proprio là dove ore stata vietata" (cfr. L. EINAUDI, op. cit., pp. 116 e sgg.).
 62. G. RONCA, cit., p. 8
63. Mentre dall'America anglosassone i nostri venivano rigettati con leggi restrittive essi erano più accolti in quella centro-meridionale. 

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2. Il libro. Di questo viaggio, che iniziò nel febbraio del 1904 e terminò nel luglio del 1905 e che ebbe per meta le Antille, le Guiane e l'Amazzonia, restano le interessantissime "note particolari" nel libro citato, dove il Ronca dice: "sono mie impressioni e mie osservazioni, come le sentii sui luoghi come un qualsiasi viaggiatore"64. Queste note non hanno nulla a che fare con i rapporti ufficiali che il Capitano doveva redigere, ma è chiaro che quel "viaggiatore" non era un uomo comune che faceva un viaggio di piacere. In tutto il libro ben si individua sia lo scienziato che il Capitano, ma sono costantemente presenti anche i compiti che gli erano stati affidati. Queste "note" colpiscono perché sono uno straordinario documento storico di un'epoca precisa e di certe situazioni, e piacciono per quelle "impressioni e osservazioni" dei luoghi visitati che fanno del libro, un diario di viaggio di straordinaria vivacità nella descrizione dei luoghi, nel racconto delle abitudini di vita delle popolazioni, nel ragionamento sostenuto con rigore ed agibilità non indifferenti.

Accanto ad una parte, ed alternandosi ad essa ce n'è dunque un'altra in cui la magia dei luoghi visitati prende la mano a questo speciale "viaggiatore", che si manifesta un affascinato ed attento spettatore di un viaggio straordinario lungo il fiume più misterioso del mondo. Così dalle pagine ora emerge l'ufficiale abituato ai "rapporti", ora l’esploratore di un mondo nuovo, e vi predomina, per poi cedere di nuovo il posto al primo in un'alternanza che dà varietà al racconto e che mai stanca. Le "note" hanno perciò una loro vita intima, risultano genuine e spontanee, di una freschezza e vivacità che i tempi non hanno smorzato.

  

3. Le Antille. Gregorio Ronca aveva avuto l'intuizione, che presto si era trasformata in convinzione, che l'America centrale e il Venezuela "per il clima non adatto a noi e le speciali condizioni del lavoro locale" non erano favorevoli alla nostra emigrazione. Qui inglesi e francesi si erano insediati da anni e per il nostro emigrante ci sarebbe stato solo il posto di lavoratore accanto ai negri, non come colonizzatore o civilizzatore64. Anche il commercio era difficile da impiantare poiché male impostato. Dice: "Si manda in giro […] un bastimento avente a bordo un'esposizione dei nostri principali prodotti come in una fiera". E ciò per il Ronca non era fruttuoso poiché non si potevano introdurre in un mercato sconosciuto "cose nuove". Il commercio, invece, doveva passare attraverso la conoscenza dei reali bisogni locali. "Se noi inviassimo in quei luoghi" dice il Ronca, "a prezzi concorrenziali il nostro olio limpido ed inodoro con la speranza di battere i portoghesi, non ci riusciremmo", poiché "i Brasileri sono abituati ad un olio che per noi puzza, ma che ad essi piace". Sarà, invece proponeva, bene istituire "Case di rappresentanza ed inviare persone competenti, che sul posto si facciano un'idea di ciò che serve e che noi, poi, possiamo inviare a prezzi concorrenziali"65. Nelle Antille, il Ronca scopre che il nostro commercio era chiuso in un circolo vizioso negativo non c’erano comunicazioni poiché non c'era commercio e viceversa, ma bastava aprire l'uno che sarebbe venuto dietro l'altro. Si sarebbe evitata così l'incongruenza di prodotti italiani che provengono da altre nazioni come dalla Francia.

La prima zona raggiunta fu lo spazio caraibico e precisamente alcune isole di quelle Antille che a mo’ di grande arco chiudono, sul lato atlantico, il mediterraneo centroarnericano. La descrizione delle isole visitate è precisa e minuziosa e presume un attento esame di ogni cosa, quella sensibilità di chi sa cogliere nell'ambiente osservato un dato, una nota utile alla costruzione del quadro che si vuole dare. L'ampia nota paesaggistica sottintende la sensibilità propria di un osservatore attento e partecipe, di chi, pur avvezzo a visitare terre nuove, non ha perduto la gioia di scoprire, la precisione dello scienziato e dell'inventore. Accanto ad essa ci sono precise indicazioni sulla conformazione di ogni isola, non solo per quanto riguarda il profilo della costa o la situazione dei fondali, ma anche per i monti, i corsi d'acqua, le valli, fino a toccare l'origine morfologica del luogo. Ci sono, poi, i paeselli, sparsi nel paesaggio, o le città visitate, e, di queste, le strade, le piazze, i palazzi, le case, le capanne, persino i materiali usati per la costruzione, il tutto in una visione storica del loro realizzarsi ed ampliarsi, che sottintende una ricerca precisa ed indotta in questo senso. E, poiché interessa il commercio, ecco le notizie sulle condizioni e la qualità delle coltivazioni, gli agri e i prodotti coltivati, ecco le industrie, e i manufatti, ecco i movimenti delle merci, la ricettività dei porti. Anzi per questi ultimi più spesso il Ronca si sofferma sulla possibilità di ancoraggio e di rifornimento. Il tutto con il valido supporto di ampie tabelle, che permettono paragoni d'ogni specie e un serio ragionamento sulla ricchezza presente e sulle possibilità future. Né mancano notizie militari sull'importanza strategica o meno dei luoghi.

Il supporto della storia è preminente nel resoconto del Ronca e, poiché, questi luoghi videro le epiche lotte tra Spagna, Francia ed Inghilterra che si contesero il possesso delle isole, non poteva mancare un ampio accenno a quegli eventi fino a giungere alla condizione politica del tempo. Ecco allora la conquista spagnola, che spoglia Barbados, la colonizzazione inglese, che vi immette deportati, coloni e schiavi, ma che crea anche condizioni di vita favorevoli al bianco. Si conosce la lunga e particolareggiata colonizzazione di Cuba, fino alla completa conquista americana, che mise ordine nell'isola prima di lasciare "liberi" i cubani; la saggia amministrazione francese della Martinica, quella statunitense di Portorico; e poi la lotta tra Francia ed Inghilterra per l'importanza militare di Santa Lucia.

Ma la convivenza tra l'indigeno e il bianco non è sempre pacifica e, spesso, si colora di rosso nelle lotte. D'altra parte quello realizzatosi in queste isole, dove più dove meno, è sempre il vivere di due popoli non uguali, dove l'uno prevale sull'altro, e, poiché detentore del potere e dei capitali, è più forte. In questo ambiente, dove il colono europeo si era creato un posto da secoli, il nostro emigrante non avrebbe potuto che vivere, per il Ronca, una vita misera e poco dignitosa.

 
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64. G. RONCA, op. cit., Avvertenza.
65. Ibidem, pp. 8 e sgg.
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 4. Nelle Guiane. Da Trinidad il Ronca cercò di organizzare una risalita sull'Orenoco, ma l'impresa risultò difficile per l'intrigo del delta, per la grandezza della nave, per la secca del fiume. Si diresse, allora, lungo la costa delle Gujane, dove la navigazione fu ostacolata dalle correnti e dai bassi fondali. Giunse alla foce del Demerara, che il Dogali risalì attraccando a Georgetown, e, poi, a New Amsterdam. Qui, secondo il Ronca, era possibile indirizzare la nostra emigrazione.

Dalla Guiana inglese passò in quella olandese risalendo il fiume Paramaribo fino alla capitale omonima e proseguendo con un vaporino locale lungo il fiume per farsi un’idea chiara delle cose, vedere meglio con i suoi occhi il paese. Si rese conto in tal modo che la colonizzazione italiana poteva tentarsi positivamente. Con il governatore olandese mise a punto un progetto per impiantare una colonia italiana nella zona di cui si precisarono anche le linee generali. Si escludeva ogni forma di contratto di lavoro e si stabiliva per i nostri coloni una posizione assolutamente diversa e superiore a quella che si dava agli altri emigranti nelle Indie Orientali. Il governo della colonia si impegnava a trasportare gratis i coloni dal paese di origine, a rimpatriarli a sue spese se non resistevano al clima, a concedere loro gli utensili da lavoro, a mettere a disposizione una casa provvista di tutto, a modico prezzo e a piccole rate, e ad impiegare i coloni in lavoro remunerativo fino a che la terra loro assegnata cominciasse a produrre. "Con la speranza radiosa di questo successo" il Ronca lasciò "quella bella regione, dove la civiltà ha fatto già il suo ingresso, per un'altra terra, l'Amazzonia, più ricca, ma che la civiltà ha ancora in larga misura da conquistare"66.

 
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66. Ibidem, pp. 93 e sgg.
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5. Sul Rio delle Amazzoni. L'ingresso nel grande fiume, che dà il nome a tutta la regione avvenne attraverso il Parà, quasi grossa bocca occidentale del Rio delle Amazzoni. Iniziò, così, l'avventura in una terra tutta percorsa da fiumi, spesso larghi come bracci di mare, che, tortuosi, s'infilavano nella foresta come grossi serpenti equatoriali. Quella terra era dominata dal grande fiume, emblema di una regione in cui la natura si esprimeva nelle sue forme più genuine ed immense. Ecco cosa dice il Ronca:

 

In vero, oltre la immensità, mi pare che una certa ombra di mistero sia una delle caratteristiche notevoli della valle Amazzonica, e perciò mi è occorso di figurarmela, alcune volte, come il simbolo dell'infinito, ed, altre, come il simbolo di una strana e mostruosa divinità. Infatti essa si sente, si intravede, ma non si vede mai completamente; le sue rive, quando si crede di raggiungerle, sfuggono, nascondendosi dietro isole, canali, meandri di ogni specie, le sue origini e i suoi limiti si perdono ancora nell'ignoto di montagne dirupate o di foreste interminabili […] i corsi d'acqua quasi non si possono limitare, perché quando si crede di giungere al loro termine, essi si moltiplicano in una rete intricata difficile da seguire67.

 
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67. Ibidem, p. 97.
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6. La foresta amazzonica. Spesso questi canali, dice il Ronca, "sono chiusi tra muraglie verdi che pare di navigare in un viale aperto dalle scuri di giganti in un parco immenso" . Può così il Ronca ammirare in tutto il suo splendore la meravigliosa foresta amazzonica.

 

In essa alberi immensi, arboscelli sottili come giunchi, palme delicate, parassiti di ogni forma, orchidee preziose, felci eleganti, tutto, dal filo d' erba più sottile al gigante del regno vegetale, tutto è ammassato nella più gran confusione. Riesce, perciò, difficile trovare vicine due piante uguali, tanto, che, dicesi, se ne possono contare un milione, diverse una dall'altra, in un chilometro quadrato. E tra esse è impegnata una lotta terribile, perché ciascuna tenta di alzarsi più in alto dell'altra, per guadagnare, senza pietà del vicino, l'aria e la luce, sorgenti di ogni vita. E le liane in genere, mentre rivaleggiano con le palme nel costituire una delle grandi attrattive della foresta, danno l'esempio più vivo di questa lotta; così la liana omicida appena si attacca ad un tronco, getta due rami che si sviluppano rapidamente e vanno a ricongiungersi dall'altra parte. La loro stretta è così forte che quasi sì confondono col legno della vittima, e presto dalla giunzione si propagano altre due braccia assassine che costituiscono un nuovo anello, poi un terzo ed un quarto sempre più in alto, fino alla cima dove vanno a spandere al sole, in segno di trionfo, le loro foglie. Intanto la vittima muore soffocata, ma morendo si vendica, perché cadendo trascina con sé lo strangolatore. Altre volte è il piccolo seme dell'auraca, che, portato dal vento sulla corteccia rugosa di un forte ramo, vi si attacca e genera una graziosa fogliolins, mentre getta radici poderose, che penetrano nel legno dell’albero, ne traversano il midollo e vanno a germogliare anche da1l'altro lato. Allora la pianticella si sviluppa da quel lato e si allunga per tutto il tronco coprendolo con un lucido manto, ornato di fiori rossi. Altre volte ancora il rampicante, nato, come il cipo omicida, dal suolo, sale a poco a poco lungo il tronco dell'albero, ne raggiunge la cima e poi, come una dritta corda ritorna fino alla terra di dove partì e vi mette nuove radici. E tutti questi rampicanti si cercano, si uniscono per mezzo di ponti aerei, si agglomerano e formano una fitta rete, che, insieme ai rami che s'intrecciano, agli alberi caduti, agli arbusti di ogni specie pare vogliano formare una barriera insormontabile contro l'uomo ardimentoso che tenta penetrare il mistero del bosco68.

 
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68. Ibidem, p. 119.
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7 - Da Iquitos a Santa Fè.  La nave risalì il fiume fino a giungere ad Iquitos dove "vi sono dei canali di grande regolarità e pare quasi che siano stati aperti ad arte e che accorti giardinieri tengano in bell'ordine le immense muraglie verdi che li circondano". "Oltre Iquitos le rive diventano più ridenti e sono abitate, "il bosco riacquista la grandiosità del basso corso, ma i canali adatti alle navi volgono al termine". Giunse, quindi, ai pongo, tratti del fiume incassati tra rupi dirupate che si trovano verso le Ande, dove "il colosso è ancora un piccolo fiume di montagna, che va a trovare la sua origine su un picco elevato 5000 metri e a sole 1000 miglia dal Paciftco"69.

Era il 29 gennaio del 1905 quando, alle 15,30 il Dogali giunse a Santa Fè a 2285 miglia dal mare "dove mai era arrivata altra nave". In questa zona nei pressi di Sant'Ignazio c'era un'isola senza nome a cui fu dato il nome del Dogali, a ricordare questa impresa70.

La discesa fu facile e il 23 febbraio la nave uscì dal fiume "dopo esserci stata per 74 giorni durante i quali aveva percorso 4450 miglia in acque dolci e più bionde di quelle del Tevere"71.

Il racconto di quel viaggio si rivelò così utile per le notizie economiche, politiche e militari che conteneva che sia la Società Geografica Italiana che la Rivista Marittima lo pubblicarono72. Si ebbe così il bel libro "Dalle Antille alle Gujane all'Amazzonia" in cui il Ronca mostra anche doti di scrittore73.

I risultati di questo viaggio furono esposti in due conferenze sia a Roma che a Milano. Nella città lombarda il Ronca parlò per tre ore dinanzi a tremila persone, tra cui Guglielmo Marconi, che si congratulò con lui "per l'immensa utilità e per l'importanza degli argomenti trattati".

 
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69. Ibidem, pp. 136-137.
70. Ibidem, pp. 205-206. Trovammo un'isola senza nome; pensai di darle quello dei Dogali, in ricordo della prima nave grande che le passò davanti, e al ritorno ad lquitos il Prefetto mi promise che il nuovo nome sarà conservato per simpatia a noi e all'Italia. 
71. Ibidem, p. 207. 
72. La "Rivista Marittima" pubblicò il libro che ebbe due edizioni.
73. L'Enciclopedia Treccani alla voce Amazzonia Parlando dell'esplorazione della regione così si esprime: "Merita da ultimo speciale menzione la navigazione senza precedenti compiuta sul grande fiume dalla nave Dogali della R. Marina italiana che al comando dei capitano di vascello Gregorio Ronca raggiunse nel gennaio dei 1905 Santa Fè sul Maraňon (Perů) a ben 2285 miglia dal l'Atlantico". Nella bibliografia il libro č citato tra quelli degni di nota per il contributo alla conoscenza della regione (cfr. Enciclopedia Treccani, vol. Il, p. 777).
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CAPITOLO QUINTO

 

Verso la fine

 

1. La scuola di Tiro. Intanto la guerra russo-giapponese aveva dimostrato, come si è visto, la validità del Tiro-Ronca e, come avveniva per tutte le marine che avevano adottato il nuovo metodo, anche in Italia sorse la necessità di aprire una scuola di ufficiali che avrebbero dovuto formare i futuri direttori del tiro. Poiché il tiro migliorato a salve si esegue dividendo le artiglierie in due raggruppamenti, che sparano alternativamente, si richiese un direttore bene addestrato. Infatti tutte le operazioni, che in seguito saranno fatte da appositi strumenti allora erano eseguite, mentalmente, appunto da un ufficiale che inviava per tempo i comandi.

 Al Ronca fu affidata, allora, una Scuola di Ufficiali sulla corazzata "Sardegna"74. Dopo soli due anni, in occasione di grandi manovre navali, tenute nel mare di Liguria, il Ronca potette dare un saggio di ciò a cui poteva giungere il nuovo sistema di tiro e l'addestramento degli ufficiali. In quella occasione fu decorato sul ponte di comando della "Sardegna" con la "Commenda della Corona d'Italia".

 
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74. "Le Rane", del 10 novembre 1907. La corazzata "Sardegna" era stata costruita a La Spezia e varata nel 1890. Stazzava tonn. 13.869, macch. HP 17490. Partecipò alla campagna di Libia mettendo in evidenza la preparazione degli ufficiali (Enc. Mil, cit., vol.. VI, p. 835). Tra questi c’era un altro solofrano l’ingegnere navale Felice De Stefano.
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2. Riconoscimenti. I solofrani seguivano con giustificato orgoglio la carriera del loro conterraneo e lo accoglievano con i dovuti onori, quando il comandante giungeva a Solofra. In un diario inedito si leggono i grandi festeggiamenti tributati in occasione di una visita del Ronca a Solofra:

 

Erano ad attenderlo sulla stazione ferroviaria il Consiglio Comunale al completo, una larga rappresentanza delle scuole municipali con i rispettivi insegnanti, i soci del Circolo L. Santoro con il Presidente, le Società operaie, il presidente dell'Ospedale Landolfi, il maresciallo dei Carabinieri con i suoi militi, il concerto municipale Regina Elena75. 

Lungo il percorso dalla stazione alla Piazza Umberto la cittadina presentava un colpo d'occhio stupendo: trofei, bandiere tricolori dappertutto, i balconi e le finestre delle case gremite di signori e signorine che gettavano fiori al festeggiato, sulle cantonate erano affissi cartelloni stampati inneggianti al valoroso capitano […]. Da un apposito palco eretto in Piazza il festeggiato pronunciò uno splendido discorso mostrandosi vivamente premuroso dello sviluppo industriale del paese […]. Ieri sera ci fu illuminazione e concerto musicale"76.

Gregorio Ronca ebbe poi un incarico di prestigio, quello di portare aiuto agli abitanti di Ischia in occasione della terribile alluvione. Nell'operazione, che lo vide comandante di tutta l'isola, il Ronca si distinse per attività e competenza77.

Giunse poi un riconoscimento di prestigio: l'Ordine di Savoia, con il quale il Ronca veniva insignito per i suoi meriti di studioso, come direttore della Scuola Superiore di Tiro e per tutte le altre attività78.

 
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75. Il diario è del canonico Francesco D'Urso dell’agosto del 1910, solofrano. Si ringrazia la famiglia per aver messo gentilmente a disposizione gli scritti dei loro congiunto.
76. Ibidem. In questa occasione molti solofrani apposero la loro firma sul Giornale di Bordo del Dogali che il Ronca teneva con sé. Questo documento è pubblicato nelle pagine web dedicate a Gregorio Ronca. 
77. In "Il Mattino" dell'8 novembre 1910.
78. "Le Rane", cit.
79. lbidem.
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3. La morte.  Gregorio Ronca era ormai all'apice della carriera militare con 22 anni di servizio su navi armate, con 37 anni di presenza in marina, per lui era già pronto il decreto di promozione a "Contrammiraglio" per meriti eccezionali80, quando, a soli 52 anni, morì improvvisamente a Napoli in un appartamento di via Scarlatti al Vomero dove si era ritirato già in preda ad un grave male. Il referto medico parlò di stenosi tracheale, che lo aveva colpito di notte, infatti fu trovato dall'attendente al suo servizio steso sul pavimento ormai cadavere, con in mano l'inalatore, con il quale aveva cercato invano di trovare sollievo. Era il 18 agosto del 1911.

Luigi Ronca fa piena luce sulla malattia del suo congiunto. Ecco dalla sua Vita di Gregorio Ronca il racconto di Vladimiro Pini81, un discepolo del Ronca:

 

Nei primi mesi del 1911 il Comandante era stato preso da un grave abbassamento di voce; tutti pensavamo, a cominciare da lui, che si trattasse di una cosa passeggera, ma intanto la voce non tornava […]; andò a consultare specialisti in Germania, e purtroppo tornò con una diagnosi che doveva essere di una estrema gravità, perché di essa non fece parola ad alcuno di noi […] appariva, però, alquanto mutato. . . "82.

 

Ecco infine l'ultimo episodio della sua vita di marinaio. Quando Gregorio Ronca dette le consegne della nave "Sardegna", al suo sostituto capitano di vascello Pino Pini, prima di partire per quel periodo di licenza dal quale non sarebbe tornato più, volle dare al suo collega un saggio di una serie di tiri diretti dai suoi ufficiali. Portata al largo la nave iniziò l'esercitazione e i risultati furono splendidi Quando egli fece cenno al direttore del tiro di far cessare il fuoco fu preso da un'immensa commozione, non esattamente interpretata dai presenti, che non potevano dare a quell'atto il senso che il comandante gli dava. Quella serie di tiri passò alla storia dell'Artiglieria come "il canto del cigno del Comandante Ronca83.

Con Gregorio Ronca la Marina Italiana perdeva prematuramente un valente marinaio ed un uomo che ormai avrebbe dedicato tutta la vita alla Marina, ma anche uno scienziato che avrebbe dato altri contributi agli studi in questo campo. Il suo valore era riconosciuto da tutti ed il Ministro attingeva ampiamente al suo consiglio84.

Tra le onorificenze attribuitegli, oltre a quelle ricordate, è doveroso citare anche La Croce d'oro per 25 anni di servizio, la Croce ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, la Medaglia d'oro per meriti scientifici, la Commenda dell'Aquila di Prussia, la Commenda del Medjidie turco85.

I giornali dell'epoca portano il resoconti dei funerali che furono solenni sia a Napoli, dove alla salma furono tributati i massimi onori militari, sia a Solofra con un'accorata presenza di popolo che attraverso le vie cittadine accompagnò fino all'ultima dimora chi aveva portato il nome di Solofra su tutti i mari della terra.

La sua città natale lo ricorda con una lapide sulla casa paterna, con una tomba monumentale al Cimitero, con l’intestazione di una importante strada cittadina, quella che unisce il centro storico seicentesco con quello più antico di Palazzo S. Agostino. La città di Avellino volle rendere onore al suo figlio irpino con l’intitolazione di una strada e Roma con una piazza del lido di Ostia, di fronte al mare. Anche la Marina onorò egregiamente il suo Ammiraglio, a Viareggio il Bolipedio porta il suo nome. La Spezia, la città nelle cui acque il Ronca aveva fatto scuola, eresse a lui un busto di bronzo86.

Per finire vale citare da "Le Rane" del 20 agosto 1911 uscito in edizione a lutto e quasi interamente dedicato alla commemorazione di Gregorio Ronca, i numerosi telegrammi di condoglianze giunti al Comune di Solofra e alla famiglia tra cui quelli del Re d'Italia, del Ministro della Marina e di varie personalità. Ma tra tutti acquista particolare significato il telegramma inviato da un gruppo di solofrani residenti a Buenos Aires che lamentavano "vivamente la perdita dell'illustre cittadino". Gli estensori del telegramma erano un gruppo di emigrati ai cui problemi il Ronca aveva dedicato il viaggio nell'America latina e tante accorate pagine del resoconto di quel viaggio87.

 
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80. Ibidem.
81. Era nato a Livorno nel 1879 in servizio in Marine fin dal 1898. Allievo dei Ronca sarà uno quegli ufficiali addestrati dal Ronca sulla "Sardegna" che si distinse nella guerre di Libia (Enc. Mil., cit., vol. VI, p. 117).
82. L. Ronca, op. cit.
83. Ibidem.
84. Da "Il Mattino", cit.
85. Da "Le rane", cit.
86. Circa questo monumento Luigi Ronca sempre nel suo lavoro riferisce di averne trovato solo il piedistallo in un angolo della città di La Spezia privato sia dei busto che della scritta in bronzo fatto oggetto di rapina dalle truppe tedesche durante l'ultima guerra. Una successiva indagine ha messo in evidenza che La Spezia non ha ora notizie del monumento a Gregorio Ronca.
87. Quegli emigranti sono: Antonio Vigilante, Francesco Giannattasio, Herman Guarino, Federico Guarino Federico, Giordano De Stefano, Francescantonio Grimaldi, Tommaso Brescia.
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4. Carmine Troisi a Gregorio Ronca. Un non comune solofrano assistette ai funerali del Ronca quel giorno a Napoli, ove tutta la Marina piangeva la perdita di uno dei migliori figli che la terra solofrana avesse generato. Era Carmine Troisi che non fece tacere la sua musa ed ecco un sonetto al "Marinaio" che ricorda il momento dell'estremo saluto in cui tanta fu l'ovazione tra vessilli e famose presenze che non sembrava si rimpiangesse la vittoria della morte sulla vita ma che si celebrasse la divinazione di un eroe e che gli si innalzasse un'ara in imperituro ricordo delle sue gesta. Lo stesso, un mese dopo, quando la Marina Italiana sarà impegnata nella guerra in Libia, in un’ode dedicata al Ronca, rimpianse l'immatura morte dello scienziato solofrano ricordando le ottime prove che le navi italiane facevano in quella guerra proprio perché utilizzavano per la prima volta tutti quegli strumenti di cui erano state dotate. Proprio la "Sardegna" e altre navi comandate dagli allievi della Scuola di tiro del Ronca dettero prova del punto di preparazione a cui era giunta la Marina Italiana88.

 
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88. ITALO IRPINO (CARMINE TROISI), Sonetti volanti, Montoro SUP., 1926.
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Opere di Gregorio Ronca

 

Durante gli anni dell'insegnamento all'Accademia Navale di Livorno:

Trattato di Matematica e Balistica.

Con tributo alla soluzione razionale del problema balistico. (In collaborazione con A. Bassani.) In "Rivista Marittima", agosto-settembre, 1895. Detto studio è stato pubblicato anche da Forzani, Roma, 1895 ed è reperibile presso la Biblioteca Reale di Torino.

Sulla soluzione del problema balistico. In "Rivista Marittima", Roma, 1895.

Sulla soluzione del problema balistico - Esempi e tavole balistiche. (In collaborazione con Bassani.) In "Rivista Marittima", Roma, 1895. Preferibile presso la Biblioteca Nazionale di Firenze.

Sopra un contributo alla soluzione del problema balistico. (In collaborazione con Bassani.). In "Riv. d'Artiglieria e Genio", Roma, 1896. Detto studio è edito anche da Voghera, 1896, ed è reperibile presso la Biblioteca Reale di Torino.

Sopra un contributo alla soluzione razionale del problema balistico e confutazione degli appunti dell'On. Siaccí. In " Riv. Mar. ", febbraio, 1897, Roma. Lo stesso studio è edito da Forzani, Roma, 1897, ed è reperibile presso la Bibl. R. di Torino.

 Note sul Tiro - Abbachi del tiro. In "Riv. Mar.", Roma, 1899.

 Note sul tiro navale - Regole di tiro. In "Riv. Mar.", Roma, 1900.

 Formule di perforazione. In "La Corrispondenza", 1899.

 Determinazione delle distanze col sussidio della carta.

 In "La Corrispondenza", 1899. Errore battuto e zona battuta.

In "La Corrispondenza", 1900. Norme e regole pratiche di tiro tra navi.

In "La Corrispondenza", 1900. Probabilità pratiche nel tiro di fucileria.

In "La Corrispondenza", 1901. Abbachi della balistica.

In "La Corrispondenza". Lezioni di balistica esterna -

 Sinossi litografica. Regia Accademia Navale di Livorno.

Lezioni di balistica interna. R. Acc. Nav. di Livorno.

Lezioni sul tiro delle navi da fuoco. R. Acc. Nav. di Livorno. Questi studi furono raccolti in due volumi: Manuale di baulistica Bafistica Razionale.

Trattatato di balistica esterna. (In collaborazione con Bassani). Edizioni R. Giunti, Livorno, 1901.

Manuale di tiro. (Con appendice del prof. Pesci sulla monografia). Ed. R. Giunti, Livorno, 1901. Entrambi i volumi sono reperibili presso le Biblioteche Centrali di Roma e Firenze e alla Marciana di Venezia. - Manuale di balistica esterna. Ed- R. Giunti, Livorno, 1901. Il volume è reperibile presso la Marciana di Venezia.

Telemetri Ronca e lettura continua. R. Acc. Nav. di Livorno.

Proiettore Ronca mano vrabile a distanza ed altri apparecchi Ronca. Litografia a cura del Ministero della Marina. Durante il servizio sulla "Garibaldi" ove fece altri tiri il Ronca scrisse: - Istruzioni sul puntamento e tiro vol. I e Il. ed. R. Giunti, Livorno, 1901-1903.

 Istruzioni sul puntamento e tiro. voll. I e II (ed Giunti, Livornoi, 1901-1903).

 

A Napoli mentre era alla Direzione di Artiglieria ed Armamenti:

Studio sulla tattica navale moderna.

Riflessioni sul combattimento fra navi.

Norme e regole pratiche di tiro fra navi.

 

E poi ancora:

Recensione del Compendium der theoretschen ausseren Sellistich von prof, dott C. Cranz.

Dalle Antille alle Guiane e all'Amazzonia. Pubblicato sugli "Annali della Società Geografica". Anche la "Rivista Marittima", Roma, 1908,pubblicò il resoconto del viaggio del Dogali in Amazzonia.

 N.B.: La "Rivista Marittima" su cui Gregorio Ronca ha scritto la maggior parte dei suoi studi è reperibile presso le seguenti biblioteche: Statale di Cremona - Comunale di Milano - Bibl. Centrale del Politecnico di Milano Bibl. Militare di Presidio di Milano. - Bibl. Nazionale Braidense di Milano Facoltà di ingegneria di Roma - Bibl. Universitaria Alessandrina di Roma.

 

BIBLIOGRAFIA

D’AMATO ANTONIO, Gregorio Ronca, Avellino, 1954.  

DE AMEZAGA CARLO, Viaggio di Circumnavigazione intorno al mondo della nave Caracciolo, Foriani, Roma, 1885.

Il testo riporta lo stato di servizio dei Ronca sulla nave, con note di lode anche riguardo all'attività scientifica di raccolta e catalogazione di animali fatta dallo stesso.

 Di DONATO GIUSEPPE, Solofra nella tradizione e nella storia, op. I I I, tip. Aurora, Messina, 1923.

 Alle pagg. 191-203 il testo contiene una biografia abbastanza precisa dipendente dal fatto che l'autore era contemporaneo dei Nostro per cui poteva attingere a fondi di prima mano e a ricordi personali. Lo stesso Di Donato ha diretto "Le Rane", un quindicinale solofrano, che negli anni 1907-1911 seguì l'attività dei Ronca. A lui sono dedicati ampi servizi il 20/8/1911 in occasione della sua morte con articoli di vari quotidiani dell'epoca quali "il giornale d'Italia" ed "il Mattino".

 Enciclopedia Militare, Istituto Editoriale Scientifico, S.A., Milano. Contiene una breve vita del Ronca con, alle varie voci, note sulla sua opera scientifica.

 Enciclopedia Treccani, Istituto della Enciclopedia Treccani, Roma.

Alla voce "Arnazzonia" cita in modo lusinghiero il viaggio dei Dogali sul Rio delle Amazzoni e colloca il diario di quei viaggio in bibliografia. La voce "artiglieria", capitolo sul Tiro, cita in bibliografia al primo posto il Manuale del tiro di G. R0NCA.

 GIANNATTASIO CARLO, Gregorio Ronca.

 Conosciamo l'esistenza dell'opera, ma non siamo riusciti a rintracciarla nelle Biblioteche di Avellino, nè in quella Nazionale di Napoli.

 MANTÙ CARLO, Storia dell'Artiglieria italiana, Rivista di Artiglieria e Genio, 1942. Il volume Vili, parte Ili nella sezione: Scrittori di materie artiglieresche, (1856-1919) alle pagg. 2986-2989, dedica un ampio spazio a Gregorio Ronca, Le notizie biografiche sono molto ridotte con varie inesattezze come quella di considerare Solofra in provincia di Napoli, di collocare la promozione di G. Ronca a sottotenente di vascello dei 1882 prima dei suo imbarco sulla nave Caracciolo mentre questa avvenne durante il viaggio di circumnavigazione; ne è riportato in modo preciso il servizio prestato dal Ronca sulle navi.

 La parte dedicata al Ronca, studioso di artiglieria e balistica, è, invece, molto ampia, soprattutto utile è l'elenco degli studi che lo scienziato pubblicò sulle riviste specializzate.

 PAGNOTTA R., Irpinia Nuova, Avellino, 191 l.

 Nella sezione dedicata ai grandi irpini l'autore ampiamente parla dei Ronca, della sua attività scientifica e dei suo viaggio in Amazzonia.

 RONCA LUIGI, Vita di Gregorio Ronca in "Il Campanile", mensile solofrano, 1975.

 La biografia è ampia ed attendibile dato il grado di parentela dell'autore con il Ronca, ma è generica ed in alcuni punti carente.

 TROISI CARMINE con lo pseudonimo di ITALO I RPINO, Sonetti Volanti, Avellino, 1926.

 L'autore dedica un sonetto al nostro dal titolo Il marinaio,

 Lo stesso su "Le Rane" pubblica nell'ottobre dei 1911 un'ode a G. Ronca in occasione della guerra in Libia, quando si fecero onore le navi da lui attrezzate e gli ufficiali da lui addestrati.

 Inoltre:

 AMMANNATI FRANCESCO, CALZOLARI SILVIO, Missione in Oriente. In viaggio da Napoli in Giappone con la pirocorvetta Magenta, in "Storia Illustrata", aprile-giugno, 1986.

 BONAPACE V., MOTTA G., Atlante Mondiale, Istituto Geografico De Agostini, Novara.

 CANDELORO G., Storia dell'Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1970,

 D'AYALA MARIANO, Vite degli italiani benemeriti della patria morti combattendo, Firenze, 1868.

 DE CESARE, La fine di un regno, Lapi, Città di Castello, 1900.

 ElNAUDI LUIGI, Cronache economiche e politiche di un trentennio, Einaudi, 1960.

 GOR 1 A., Storia civile dal 1870 al 1914, Vallardi, Milano, 1928.

 PISACANE CARLO-LA MESA GIANNI, La guerra del 1848-49 in Italia, Rossi, Napoli.

  ROSSELLI NICOLA, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Lerici, Milano.

 SCANDONE FRANCESCO, Documenti per la storia dei Comuni dell'Irpinia, Avellino, 1956.

 SALVEMMI G., Scritti sulla questione meridionale, Einaudi, Torino, 1955.

 VILLARI P., Scritti sull'emigrazione,. Zanichelli, Bologna, 1909.

 

 

 

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