Un approfondimento
NOTE SULLA FAMIGLIA MAJO
(MAJORSINI) DI SOLOFRA E ALTRE STIRPI OMONIME
di Davide Shamà
Stampa con la veduta della piazza di Solofra (1843).
Questa è la nuova edizione di
un mio vecchio articolo pubblicato on line nel 2005. Il testo originario era
nato a seguito di uno scambio di vedute con l’amica Mimma di Maio, da molti
anni attenta studiosa delle vicende storiche di Solofra, e voleva fare il punto
sulle presunte parentele di una ricca famiglia notabile del luogo. Le nuove ricerche
confermano il primo lavoro, ma la messa a fuoco di vari dettagli corregge
alcune piccole imprecisioni riguardanti le titolature nobiliari già citate e dà
ulteriori informazioni sui di Maio napoletani.
*
Il cognome Majo e le sue
varianti grafiche (Maio, di Majo, de Majo, de Maio, Maione ecc.) è tra i più
comuni nel Meridione d’Italia. Deriva dal nome longobardo Maio (Maione). La sua
diffusione copre in particolare la Campania, l’Abruzzo e il Molise, ma oggi lo
si trova anche in Calabria e Puglia. Alcune famiglie con tale cognome fecero
parte della nobiltà regnicola, ma la più illustre tra tutte è senz’altro quella
napoletana aggregata al patriziato di Montagna1. Le omonimie hanno fatto nascere
qualche confusione tra stirpi diverse, soprattutto in passato si credeva che i
de/di Majo provenissero da un unico ceppo primordiale. Ipotesi difficile da
dimostrare perchè non documentabile e, secondo noi,
anche del tutto improbabile. In particolare è interessante il caso dei Majo di
Solofra, che furono addirittura considerati, nella realtà cittadina a partire
dal Novecento, come una stirpe napoletana e per di più imparentata con gli
Orsini romani. Come dimostreremo, in entrambi i casi si tratta di confusione,
se non di pura e semplice leggenda.
1 Secondo qualche autore furono
anche aggregati alla nobiltà di Capua e al patriziato di Benevento,
quest’ultimo forse proprio con i duchi di San Pietro a Scafati.
2 Francesco Bonazzi di
Sannicandro, Famiglie nobili e titolate del Napolitano, Napoli 1902, p.
142. I gigli d’oro rimandano alla casa reale di Francia, per via del matrimonio
Durazzo avvenuto a metà del XV secolo, ma da quanto descriviamo più avanti è
evidente che era riservato a un solo ramo imparentato per motivi ereditari e
che poi l’impiego è stato usurpato anche da altre discendenze.
3 Scipione Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli
1601, p. 659.
Secondo i maggiori autori che
si sono occupati di nobiltà meridionale a partire dal XVI secolo, la dinastia
napoletana dei de Majo apparirebbe già nel primo periodo angioino. L’origine è
ignota, anche se viene indicata come genericamente autoctona, ma forse era di
ascendenza longobarda (origine, quest’ultima, comune a diverse dinastie
patrizie napoletane). Altri ancora la menzionano come originaria di Tremonti e
di Amalfi. Alcuni autori segnalano i primi rappresentanti addirittura attorno
al 1000, ma senza dare precisazioni storiche rilevanti che possano determinare
tali affermazioni. Senz’altro è priva fondamento la notizia che li vuole più
antichi dei Caracciolo, il cui filo genealogico, pur con qualche difficoltà, è
effettivamente documentato dalla fine del X secolo. La genericità del cognome,
che appare in numerosissime varianti e la scarsità delle fonti impediscono una
ricerca sistematica sugli antenati precedenti alla fine della dominazione
angioina.
Anche la ricerca sull’arma
aiuta poco e nulla, perchè se è vero che lo stemma è
comune a tutte le stirpi, resta assai difficile documentare il suo reale uso
nel corso dei secoli da parte di ogni ceppo dinastico. Lo stemma era così
delineato: d’oro al pino nodrito sopra la vetta più
alta di un monte di tre cime il tutto al naturale, con tre uccelletti
appollaiati sulla sommità dell’albero disposti in fascia, col capo di azzurro
seminato di gigli d’oro e caricato da un lambello di rosso2.
I de Majo napoletani erano una
famiglia cavalleresca della media nobiltà, probabilmente passata in primo piano
quando gli Angioini avevano epurato o ridimensionato la vecchia guardia delle
grandi dinastie regnicole legate agli Svevi. Dai primi incarichi ricordati
sembrano a tutti gli effetti appartenenti alla nobiltà di servizio. Possedevano
beni a Napoli e, per qualche tempo, anche alcuni castelli in Abruzzo. Al di là
delle varie teorie seicentesche, possiamo almeno menzionare tra i suoi membri
più antichi un Martino de Majo vivente nel 1269, quando ottiene privilegio di
esenzione delle tasse da parte di Carlo I d’Angiò3. Il suo nome ricompare anche in
seguito nei presunti discendenti, per cui è verosimile che sia stato il
capostipite di uno o più rami del casato. Nello stesso periodo, ma circa una
generazione dopo, è da segnalare anche un Matteo, menzionato nel 1294 come
Tesoriere regio in Abruzzo.
La
reale genealogia però, è documentata solo dal XV secolo, nel tardo periodo
angioino, quando appaiono nelle cronache due rami distinti della medesima
stirpe, originati da Giovanni, Maestro Razionale della Vicaria, Presidente
della Sommaria nel 1402, investito del feudo di Galatro nel 14074. Dal suo
secondogenito Brunone, marito di Maria Filangieri,
nacque quel cavaliere Francesco poi marito di Ippolita di Durazzo, sempre
ricordato dagli autori perchè sposato con una donna
di stirpe regia. In effetti, Ippolita era figlia di Rinaldo di Durazzo,
Principe di Capua, a sua volta figlio naturale di Ladislao Re di Sicilia. La
parentela capetingia, sebbene segnata dai soli autori italiani seicenteschi,
non è provata ma è almeno verosimile. Sui discendenti illegittimi del Re
Ladislao di Durazzo si sono costruite varie parentele, che non però vengono
considerate in illustri lavori genealogici moderni5. Il grande
sovrano angioino ebbe in effetti due figli illegittimi documentati, nati da una
ignota concubina, Rinaldo e Maria (quest’ultima morta bambina). Rinaldo viene
ricordato nelle cronache in due sole occasioni: nel 1403 in occasione del suo
fidanzamento poi fallito con una da Marzano e dove sembra essere appena
bambino, e nel 1423 in occasione della nomina a signore del castello di Foggia
da parte della zia Giovanna II. Ottenne dal padre il titolo di principe di
Capua e passò la sua esistenza a Foggia, dove probabilmente morì. É sepolto
presso il Re Carlo III suo nonno. Da donna ignota ebbe quattro figli: Caterina,
Camilla, Ippolita e Francesco. Le femmine risulterebbero tutte nubili, mentre
Francesco sposò un’altra ignota dalla quale ebbe un Rinaldo (II), premorto a
venticinque anni il 25.IX.1494 e sposato (ma senza figli) a Camilla Tomacella. Anche incerto rimane il periodo in cui fu
celebrato il matrimonio de Majo-Durazzo, che varia all’incirca tra il 1435 eil 1460. I discendenti di Francesco e Ippolita aggiunsero
il cognome materno e fiorirono per alcune generazioni fino all’inizio del XVII
secolo, quando è attestato un Bartolomeo sposato a Napoli nel 1610 con Beatrice
Capecelatro, dama del seggio di Nido6. Poichè dopo questo momento non sono più menzionati e non
sono compresi nelle ascrizioni ai seggi, è verosimile che la linea diretta si
sia estinta nella prima metà del Seicento. Furono ammessi nell’Ordine di San
Giovanni di Gerusalemme nel dicembre 1546 nella persona del Cavaliere Giovan Francesco (probabilmente discendente alla quarta
generazione di Francesco e Ippolita, ma nei repertori melitensi è segnato come
di origine capuana)7.
4 Mazzella, Descrittione,
pp. 659-660.
5 Patrick van Kerrebrouck, Nouvelle Histoire Généalogique
de l’Auguste Maison de France: les
Capétiens, II, Paris 2000, p. 300. Oltre a
mancare il matrimonio de Majo/Durazzo, è assente anche l’altro matrimonio
controverso de Brayda/Durazzo citato dal de Lellis
(che a sua volta cita Giulio Cesare Capaccio come sua fonte) (cfr. Carlo de
Lellis Famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Napoli 1654, p. 282).
6 Archivio di Stato di Napoli,
sezione diplomatica-politica, Archivi privati, Archivio Serra di Gerra, manoscritti genealogici, vol. III, tav. 1137, 1139 e
vol. V, tav. 1323.
7 Francesco Bonazzi, Elenco
dei Cavalieri del S.M. Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ricevuti nella
Veneranda Lingua d’Italia dalla fondazione dell’Ordine ai nostri giorni, I,
Napoli 1897, p. 109
8 Mazzella, Descrittione,
pp. 659-660.
Il cognome Durazzo continuò a
essere usato in maniera indebita anche dalla linea principale della dinastia,
discendente dal primogenito di Giovanni de Majo, Nicola Francesco, che non aveva
alcun rapporto di sangue con gli Angioini. Quest’ultimo è documentato dagli
autori tra l’inizio del XV e fino al 1452, quando partecipò a una ambasceria
del seggio di Montagna inviata al Re Alfonso V d’Aragona8. Sappiamo che
all’incirca nello stesso periodo esercitava un ufficio nella regia zecca e che
in precedenza era stato al servizio di Ladislao e Giovanna II d’Angiò. Sposato
a Faustina Zurlo, suo figlio Giovanni è citato sul finire del XV secolo come
musicista dilettante. Non sappiamo se era suo parente stretto quel Martino de
Majo9 che
fu Vescovo di Bisaccia tra il 1463 e il 1487.
9 Conrad Eubel,
Hierarchia Catholica
Medii Aevi, vol. II,
Ratisbona MDCCCCXIV, p. 106.
10 Davide Shamà,
Titoli nobiliari del Regno di Napoli, Foggia 2015, p. 168.
11 Erasmo Ricca, Istoria de’
feudi delle Due Sicile di qua dal faro, vol. III,
Napoli 1865, p. 438.
12 Che, a sua volta, lo aveva
ereditato dal secondo marito di casa López Suarez, ultimo della sua dinastia.
Sul feudo era appoggiato un altro titolo ducale concesso a questa famiglia in
precedenza e che non poteva essere ereditato dai di Majo per mancanza di linea
di sangue.
13 Archivio di Stato di Napoli,
Atti di Stato Civile di Napoli città, sezione di Vicaria, anno 1827, Atti di
morte, atto n.1222.
14 Shamà,
Titoli, p. 118.
15 Francesco Bonazzi di
Sannicandro, Le ultime intestazioni feudali nel cedolario
di Principato Ultra, Napoli 1911, p. 30; Francesco Bonazzi di Sannincandro, Le ultime intestazioni feudali nel cedolario di Principato Citra, Napoli 1914, p. 59.
Dopo alcuni secoli di relativo
buio storico, ma non genealogico in quanto la successione tra Carlo e i
discendenti è tutto sommato documentata, la dinastia ritorna a distinguersi sul
finire del XVII secolo, quando si trasforma da casata patrizia di medio livello
in una autentica casata feudataria. Muzio de Maio,
discendente alla quarta generazione di Carlo, fu padre di Giovanni Battista,
Francesco e Giuseppe, dai quali si iniziarono tre linee. Quella di Francesco
durò solo una generazione: Francesco († Foggia 1669) sposò Livia Sacchetti (†
Napoli 19.IX.1718), erede dei Marchesi di San Chirico, e sua figlia Anna
(1668-?), ricomprò il feudo materno (che era stato già venduto nel 1725) nel
1726, per poi rivenderlo ancora alla famiglia Lombardo nel 172710 ma
riservandosi il titolo marchionale già su di esso appoggiato. Il solo titolo fu
trasmesso ai discendenti di casa Cito, che lo mantengono fino ai giorni nostri.
Giovanni Battista de Majo (*
1633, † Napoli 27.VIII.1700), primogenito di Muzio, comprò il feudo di Pago11 da Ippolita
Cutillo Brancaccio per la somma di 10.000 ducati e regio assenso del
27.VII.1685, trasmettendolo ai discendenti. Suo figlio Annibale de Majo (*
Napoli 13.VII.1693, † ivi 10.I.1736), ottenne il titolo di Duca di San Pietro a
Scafati con privilegio dato a Vienna il 16.VII.1718, feudo che aveva ereditato
dalla madre Marianna Rodolovich dei Marchesi di
Polignano12. I suoi discendenti diretti si estinsero sul finire del XVIII secolo,
ed essendo privi di eredi la successione passò al cugino Carlo de Majo13 (* Vienna
XII.1754, † Napoli 30.XII.1827). Costui era figlio di Nicola (* 1697, † Napoli
27.IX.1774), figlio cadetto di Giovanni Battista, che era stato ambasciatore di
Carlo III di Borbone alla corte di Maria Teresa d’Austria e per meriti
diplomatici aveva ottenuto il titolo di Marchese sul cognome14 con diploma
del 12.V.1754. Il Duca Carlo de Majo s’intestò15 per l’ultima
volta il titolo ducale e i feudi di Pago nel cedolario
di Principato Ultra e di San Pietro a Scafati nel cedolario
di Principato Citra il 17.VI.1789. Insieme ai suoi figli Luigi Nicola
(1778-1860) e Filippo (* Napoli 21.III.1780, † ivi 26.IV.1871) venne registrato
nella Platea delle famiglie patrizie napolitane
ascritte al Libro d’Oro (1800). Al medesimo registro di nobiltà si
aggiungerà ancora il nipote Giulio (1809-1893) il 9.II.1809. Il figlio
primogenito del Duca Carlo, il Duca Luigi Nicola (* Napoli 6.IV.1778, † ivi
18.II.1860), fu Maresciallo di campo, Comandante Generale e Luogotenente della
Sicilia (nominato il 27.IX.1840) e Tenente Generale (promosso l’11.XII.1841).
Suo figlio il Duca Giulio Luigi Augusto (* Napoli 9.II.1809, † Nizza
22.IV.1893) abbandonò l’Italia e seguì in esilio Re Francesco II. Fu l’ultimo
discendente del ramo, perchè dalla moglie Maddalena
di Sangro dei Principi di Fondi aveva avuto solo quattro figlie. La terzogenita
Ernesta (* Napoli 22.IX.1835, † Parigi 24.IV.1883), moglie del Conte Francesco
Maria de La Tour-en-Voivre (1832-1897) (di famiglia
fieramente borbonica andata in esilio con Francesco II, figlio del Conte
Emanuele, Aiutante di campo del Re Ferdinando II, e nipote del ben noto
Francesco, Maresciallo del Re Francesco II), trasmise la successione alla
figlia Vittoria de La Tour-en-Voivre, che a sua volta
la trasmise agli Avati, attuali detentori dei titoli dei de Majo16. La linea
ducale appare registrata nell’elenco regionale napoletano del 1900 e
nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano del 1922 con il cognome “de Maio”.
16 Autorizzazione all’assunzione
maritali nomine per Domenico Avati con Decreto Ministeriale del 13.X.1912 e autorizzazione alla successione anticipata del
titolo ducale per Pio Avati con Decreto Ministeriale del 8.XI.1925.
17 Capitano del reggimento
Cacciatori il 1.VI.1826.
18 Francesco Bonazzi, I
Registri della nobiltà nelle province napoletane, Napoli 1879, p. 31.
19 Battezzato Raffaele Carmelo
Baldassarre Ambrogio; Archivio di Stato di Napoli, Atti di Stato Civile di
Napoli città, sezione di Stella,
anno 1825, processetto annesso all’atto di matrimonio
n.45; sezione di Stella, atti di morte, anno 1852, atto n.246.
La linea terzogenita dei de
Majo napoletani discendeva da Giuseppe, figlio di Muzio, e portava
arbitrariamente sia il cognome de Majo che de Majo-Durazzo. Suo figlio Muzio jr
(* Benevento 20.III.1685, † ?) ricoprì le cariche di
Consigliere e Caporuota della Vicaria. Il pronipote
Bartolomeo (* Napoli 6.V.1754, † ivi 21.III.1816) con
i figli Gennaro17 (* Napoli 25.VIII.1787, † ivi 9.I.1842), Francesco (*
Napoli 15.VII.1791, † ivi 2.XI.1860) e Raffaele (1798-1852) furono registrati
nella Platea delle famiglie patrizie napolitane
ascritte al Libro d’Oro (1800), alla quale furono poi aggiunti anche
Gennaro (* Napoli 9.VI.1828, † ivi 17.III.1881) (di Francesco [1791-1860]) e
suo figlio Francesco Onorato (* Napoli 30.VII.1852, † ivi 4.X.1889) il
22.VIII.185318.
Raffaele de Majo Durazzo19 (* Napoli
22.III.1798, † ivi 22.III.1852) (di Bartolomeo) fu ammesso nelle Regie Guardie
del Corpo nel 1815. Suo nipote Domenico Francesco Vincenzo (* Napoli
16.III.1861, † ?) (di Carlo [1824-1883], di Raffaele
[1798-1852]) ottenne riconoscimento del titolo di Patrizio Napoletano (per solo
maschio) con Decreto Ministeriale del 31.V.1912. La
discendenza di questo ramo sembra essersi estinta nella prima metà del XX
secolo. Con un altro Decreto Ministeriale del 21.IV.1924 ottenne riconoscimento
dello stesso titolo anche il cugino Arturo (* Napoli 17.III.1879, † ?) (di Francesco Onorato [1852-1889]), a sua volta morto
senza figli. Entrambe le linee appaiono registrate in tutti gli elenchi
ufficiali del Regno d’Italia (regionale 1900, ufficiali 1922 e 1933, successivo
Elenco Storico dello S.M.O.M. 1960) con cognome “de Maio Durazzo”. Arturo de
Majo Durazzo (1879-?) sposò nel 1914 una ricchissima americana, Elizabeth Frances Hanan, una vedova di vent’anni più anziana e sorella del
milionario John H. Hanan noto industriale delle
scarpe, e rimase ricordato nelle cronache mondane statunitensi del primo
novecento per le sue eccentricità. Si faceva chiamare Duca e tentò anche di
arricchirsi con l’esportazione in U.S.A. di prodotti alimentari napoletani
(spaghetti e pomodori), ma senza successo.
Senz’altro omonimi dei patrizi
napoletani erano i de Mayo di Chieti, originari di Tramonti. La variante
"Mayo" sembra in apparenza di origine ispanica, probabilmente
arrivata in Italia all’epoca della dominazione aragonese. Il cognome, però,
come riportato negli atti di stato civile ottocenteschi della città di Chieti
era solo Majo, in seguito si stabilizzò graficamente in de Mayo sul finire di
quel secolo. Facevano uso di un titolo marchionale (sembra di concessione
pontificia, per maschio primogenito) che fu riconosciuto con Decreto
Ministeriale del 21.V.1879 e del titolo di Nobile
Romano (per maschi e femmine) riconosciuto con Decreto Ministeriale del
18.VI.1890 ad Accindino de Mayo (* Chieti
13.VIII.1823, † 2.VII.1911). Suo figlio Corrado de Mayo (* Chieti 25.VI.1859, †
Napoli 30.XI.1944) fu commendatore del Sovrano Militare Ordine di Malta e sposò
Maria Cristina de Mari dei principi di Acquaviva. Il loro figlio Mario de Mayo
(* Napoli 1.I.1897, † in guerra, Libia 14.XI.1942) fu
adottato da uno zio di casa de Mari e avrebbe potuto succedere nei titoli di
questa illustre famiglia, se non fosse morto scapolo in guerra. Fu Cavaliere
del S.M.O.M., dell’Ordine della Corona d’Italia, del Costantiniano di San
Giorgio e della Legione d’Onore, oltre che comandante di squadrone in
Tripolitania. La discendenza dei de Mayo di Chieti si estinse completamente con
la sorella minore Laura, moglie del Marchese Pasquale Pinto, morta senza figli
nel corso del XX secolo.
Tra tutte le famiglie Majo a
Solofra, numerosissime e che riguardano tutte le classe
sociali come abbiamo potuto verificare dalla lettura diretta degli atti di
stato civile ottocenteschi, si distinguono i Majorsini.
I documenti, rintracciati negli
archivi pubblici ed ecclesiastici di Solofra e del suo circondario20, permettono di
ricostruire la vita della famiglia dal XVI secolo. In origine il cognome era
semplicemente Majo e i primi componenti rintracciati possedevano una fattoria.
Divennero successivamente piccoli proprietari terrieri di provincia e
possessori di una conceria. Erano segnati nei documenti con il trattamento di
"Don" e "Donna", ma senza
indicazione di titoli particolari. In effetti, un tale appellativo aveva,
all’epoca, il semplice valore di "Signore" o "Signora" ed
era un modo per distinguere dal volgo i componenti facoltosi o importanti di
una comunità. Possedevano uno stemma borghese21 che in seguito al matrimonio
Orsini ebbe alcune modifiche: gli venne aggiunto un orso rampante (sembra,
però, che fosse un cavallo in origine). Una volta raggiunta una posizione
ragguardevole, nel corso del XIX secolo iniziarono a nascere anche leggende
sulle origini e il suo reale status sociale precedente. A questo
proposito possiamo ricordare la parentela con i de Majo napoletani, il presunto
possesso di feudi, l’esistenza di un loro cardinale tra gli antenati prossimi e
la discendenza in via femminile dai principi romani di casa Orsini.
A volte vengono indicati come
feudatari di Sant’Agata dei Goti. Per quanto riguarda Sant’Agata, la
successione dei suoi feudatari è ben conosciuta. Sappiamo che nel XIV secolo la
cittadina fu infeudata ai Conti di Caserta, poi passò ai de Sabran.
Nel 1343 fu ceduta a un figlio illegittimo di Roberto Re di Sicilia, Carlo
d’Artois, al quale venne confiscata tre anni dopo. Nel XV secolo vennero
infeudati i della Marra, successivamente nel 1528 gli Acquaviva d’Aragona
(Duchi di Atri e Conti di Conversano), poi venne venduta ai Cosso e nel 1696
passò agli ultimi feudatari, i Carafa Duchi di
Maddaloni22. In nessun caso esistono documenti che provano il dominio da parte di
famiglie con il cognome Majo e con, addirittura, un titolo principesco23
20 Nei documenti studiati da
Mimma di Majo (www.solofrastorica.it) si attesta l’antichità della famiglia non oltre la
metà del XVI secolo. Neppure i documenti notarili accennano mai a origini
nobili. Il trattamento di "Don" o l’appellativo di "Illustrissimus", che appare nei documenti coevi, è
solo un uso di cortesia comune all’epoca alle famiglie di condizione agitata.
21 Mimma di Majo ipotizza che in
origine lo stemma era l’insegna posta fuori dalla conceria dei Majo, poi
divenuta stemma vero e proprio quando la famiglia fece fortuna. Ipotesi,
secondo noi, del tutto verosimile.
22 Ricca, Storia dei feudi,
IV, Napoli 1869, pp. 283-287; Memorie istoriche
della città di S. Agata de' Goti per l'epoca dal principio dell’era volgare al
1840, Napoli 1841.
23 Sant’Agata
dei Goti fu sempre e solo un ducato (concesso alla famiglia Cossa
con diploma dato a Lisbona il 12.II.1582 per Giovanni Paolo Cossa).
È una evidente confusione con Sant’Agata
all’Esaro, che fu elevata a principato per i Firrato
il 30.VI.1620, titolo poi passato in successione (e ancora oggi da loro
portato) ai Costa Sanseverino.
Di certo la leggenda del feudo
di Sant’Agata deve essere nata nel XIX secolo, evidentemente legata al luogo
d’origine della famiglia in quel periodo (Sant’Agata Irpina). Come e perché si
sia formata tale leggenda è un mistero, ma probabilmente prese piede quando la
famiglia, di recenti fortune e illustrata da un importante ecclesiastico e da
uno stemma di recente acquisizione, iniziò a vantare origini “mitologiche”.
Si dice che i Majorsini solofrani abbiano dato un cardinale alla Chiesa.
L’illustre prelato, don Francesco Majorsini
(1812-1893), in realtà è stato solamente Vescovo di Lacedonia e Arcivescovo di
Amalfi. Non appare mai in un elenco ufficiale della Santa Sede nelle vesti di
Cardinale, come pure manca ogni traccia, o almeno non ne abbiamo trovato, di
una sua nomina a Barone di San Biagio da parte di Pio IX e la conferma di uno
stemma cardinalizio (prerogativa dei cardinali in quanto principi della Chiesa).
Nel dizionario del Crollalanza24 è riportato lo stemma dell’Arcivescovo, che come
sappiamo mancava di corona e non è riferito a famiglia nobile. Riportiamo qui
di seguito la trascrizione integrale della lapide dell’arcivescovo presente
nella cattedrale di Amalfi (mancante di stemma, titoli cardinalizi e baronali):
FRANCISCO MAJORSINI
QUIS
MITIS ET HUMILIS COR DE
CLARIS VIRTUTIBUS ET MERITIS
EFFUSA PRAESERTIM IN PAUPERES LARGITATE
ZELO ET CARITATE FLAGRANS
CUM REXISSET
ANNOS PENE XXII
AMALPHITANAM ECCLESIAM
NATUS ANNO MDCCCXII
NONO KALENDAS DECEMBRIS
ANNO REP SAL MDCCCXCIII
DIEM OBIIT SUPREMUM
CAPITULUM METROPOLITANUM
AD PERPETUAM REI MEMORIAM
HOC MONUMENTUM E MARMORE CONFECTUM
PIGNUS GRATI ANIMI ET AMORIS
ERICI CONSTITUIT
Gli elementi essenziali
riguardanti la vita del prelato sono riportati succintamente da S. Bardaro25: Francesco Majorsini (1859-1871, date riferite al periodo di governo
della diocesi) – Nato a Solofra, Archidiocesi di Salerno, Vescovo titolare di Elenopoli e Ausiliare di Capua, prese possesso della nostra
Diocesi il 1° novembre 1859. Intervenne al Concilio Vaticano I e fu promosso
Arcivescovo di Amalfi il 27 ottobre 1871. Progettista e politico. Fece ampliare
il seminario facedovi il nuovo portone al largo del
Castello. Cominciò l’ampliamento della Cattedrale con l’obolo dei fedeli nel
1860.
Altre notizie si trovano
nell’Annuario Pontificio26 per l’anno 1870, da dove si evince che era nato a
Castel Sant’Agata di Salerno (sic) il 22 gennaio 1812, era stato promosso alla
sede di Elenopolis in partibus
il 30.XI.1854 e poi trasferito alla sede di Lacedonia il 20.VI.1859. Dal
repertorio di Gams27 sappiamo che il 27.X.1871 era stato nominato
Arcivescovo di Amalfi.
24 Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie
nobili e notabili italine estinte e fiorenti, II,
Pisa 1888, p. 51.
25 Salvatore Bardaro,
La cattedrale di Lacedonia (tra passato e presente), Delta3 ed., 2000².
26 Annuario pontificio 1870,
Roma 1870, p. 174.
27 Pius
Bonifacius Gams, Serie Episcoporum Ecclesiae Catholicae quotquot innotuerunt a Beato Petro Apostolo, Graz 1957, p. 32.
28 Pompeo Litta, Gli Orsini
di Roma, in Famiglie celebri italiane, tavola XXX, Milano 1848;
ancora più preciso lo schema di Serra di Gerace, in Archivio di Stato di
Napoli, Archivi privati, Archivio Serra di Gerra,
manoscritti genealogici, vol. VI, tav. 1955.
29 Il feudo acquistato da
Beatrice Ferrillo nel 1555, poi trasmesso nel 1558 al figlio Ostilio Orsini.
Pietro Francesco Orsini fu autorizzato a trasferire il titolo di Principe dal
feudo di Sorbo a quello di Solofra con Regio Assenso dato a El
Pardo il 27.II.1620. Da quel momento, il titolo di Principe di Solofra è
rimasto sempre della dinastia. L’ultima intestazione feudale risaliva al
11.XII.1790.
Ancora più interessante la
presunta parentela dei Majo con gli Orsini romani, riguardante un Francesco
Majo e una Elena Orsini. Queste nozze vengono anche presentate come prova della
nobiltà antica dei Majorsini solofrani, ma dai dati
disponibili nei documenti parrocchiali possiamo solo confermare che i due erano
omonimi di grandi dinastie. Francesco de Majo era un semplice avvocato, mentre
Elena Orsini era figlia di un camerario napoletano. Francesco Majo, da vedovo,
iniziò a firmarsi Majo-Orsini (Majorsini) sul finire
del XVIII secolo e il nuovo cognome rimase ai discendenti. Come si evince in
numerosi autori che hanno trattato la genealogia degli Orsini28, è assurdo
pensare che la celebre dinastia romana avesse permesso il matrimonio di una sua
donna con un provinciale di nessuna nobiltà. Elena Orsini sarebbe stata figlia
del Cardinale e Duca Don Domenico (* Roma 5.VI.1719, † ivi 19.I.1789), uno dei
principali membri del Sacro Collegio, artefice dell’elezione di un paio di
pontefici e alto dignitario della Curia! Il Cardinale, da giovane, aveva avuto
dalla moglie almeno quattro figli. A parte un’altra femmina morta infante,
sopravvisse Giacinta Orsini (1741-1759), moglie uno dei più importanti principi
italiani, Don Antonio II Boncompagni-Ludovisi Principe sovrano di Piombino. È
stato suggerito che Elena forse poteva essere sorella del Cardinale e non sua
figlia, ma anche in questo caso i dati genealogici sono definitivi e non
permettono alcuna ipotesi. Inoltre, è interessante notare come, per paradosso,
la Orsini avrebbe sposato un suo suddito, essendo il Duca Domenico anche
Principe di Solofra29. La parentela con la grande dinastia romana è,
dunque, un’altra leggenda.
(manca)
Arma grande della famiglia
Orsini di Roma (da una miniatura proveniente dalla famiglia, Archivio privato
di Davide Shamà).
(manca)
Arma classica degli Orsini
romani (da Scipione Mazzella, Descrittione
del Regno di Napoli, 1601; colorazione di Lucia Lopriore
per “Genealogie delle famiglie nobili italiane” http://www.sardimpex.com).
Dalle ricerche effettuate negli
archivi di Sant’Agata Irpina e Solofra si evince che la discendenza Majorsini si estinse alla fine del XIX secolo. Da Solofra
erano passati momentaneamente a Napoli tra il 1820 e il 1840. Questa è la
genealogia ricostruita sugli atti parrocchiali di Solofra e lo stato civile di
Sant’Agata Irpina:
(dal Libro dei battezzati
1736/1764) "Don" Francesco Antonio Pasquale Majo figlio di
Gennaro e di Chiara Garzilli (nato il 2.IV.1737 e
morto il 29.XI.1822)30 (avvocato e detentore di uno stemma senza corona)
contrasse un matrimonio extra a Sant’Agata di Solofra (forse la prima cerimonia
per procura aveva avuto luogo a Napoli ?) con Elena
Orsini, figlia di Antonio Orsini, camerario a Napoli (morta a Sant’Agata
Irpina il 15.V.1782, definita negli atti solamente "mulier
prudens"). Aggiunse il cognome della moglie al
proprio in data ignota e per motivi ignoti, appare come "Majorsini" in atti del 1795 e 1798. È probabile che a
questo periodo sia da anche assegnare la mutazione
dello stemma. Figli:
a) Chiara (de) Majo
(nata il 13.VII.1762);
b) Isidoro (de) Majo
(nato il 20.IX.1763);
(Dal Libro dei battezzati di
Solofra 1765/1795):
c) Grazia Maria Majo e
Majorsini31 (nata il 26.IV.1765, morta il 5.III.1834);
d) Casimiro Majo (nato
il 24.XI.1766, morto a Napoli 20.II.1786);
e) Dionisio Majo (nato
il 20.V.1769, morto a Napoli dopo il 1795), sposa a Napoli Camilla Ferola;
f) Maria Teresa Majo e
Majorsini32 (nata il 19.IX.1771, morta il 31.VIII.1833);
g) Maria Lucia Carmela Majo
(nata il 15.IV.1773);
h) Maria Elisabetta Majo
(nata il 17.V.1775);
i) Pasquale Maria Antonio
Giuseppe Vincenzo Consolato (de) Majorsini (nato a
Napoli il 18.V.1778), era proprietario di una conceria, attestato quale Sindaco
di Sant’Agata Irpina nel 1829. Sposa Maria Giuseppina Ciccarelli, nata
attorno al 1789, dalla quale ha (dal Libro dei battezzati di Solofra
1795/1811):
1) Maria Maddalena Anna
Antonia Raffaella (nata il 24.VII.1804), sposa nel 1834 un componente della
famiglia Russo, da Aterrana.
2) Gennaro Antonio Aloisio
Raffaele Alfonso Simone (nato il 29.X.1805), era Giudice alla Corte Criminale
di Potenza.
3) Francesco Antonio Vincenzo
Luca Aloisio Raffaele33 (nato il 17.X.1807, morto il 29.VII.1810);
4) Maria Bernardina Agata
Antonia Raffaella Lorenza Anna34 (nata il 15.XII.1809, battezzata dal nonno Francesco
Antonio Majorsini in Solofra), sposa nel 1832 un
componente della famiglia Vigilante.
(Dal Libro dei battezzati
1812/1847):
5) Francesco Antonio Maria
Luigi Raffaele Vincenzo Alfonzo Nicola Luca Sebastiano35 (nato il
20.I.1812), questo è l’Arcivescovo di Amalfi.
6) Alfonso Maria Isidoro
Domenico (nato il 31.X.1815, morto nel 1854), nel suo testamento, conservato ad
Avellino, il padre è chiamato "Cavaliere", ma anche in questo caso si
tratta di un titolo di cortesia.
7) Agata Maria Anna36 (nata il
5.XI.1817);
8) Maria Giustina Concetta
Anna37 (nata
il 29.XI.1821), sposa Francesco Pelosi, figlio di Ciriaco Pelosi.
9) Isidoro Maria Alfonso
Battista38 (nato il 31.I.1824), segue;
10) Casimiro Maria
Dionisio (nato il 13.IX.1826, morto nel 1827);
11) Maria Elisabetta Anna
(nata il 13.V.1829);
12) Casimiro Maria
Salvatore Gaetano39 (nato il 6.VIII.1831, morto il 25.VII.1856), era
sacerdote.
Isidoro (nato il 31.I.1824), sposa Elisabetta Maurelli,
proveniente da Canale di Serino, dalla quale ha (Libro dei battezzati 1848/1883):
1) Antonietta Giuseppina
Maria Filomena40 (nata il 6.VII.1864), battezzata dallo zio Vescovo.
Sposa un Michele de Majo41, da Napoli, da cui ha: Carolina (nata il
12.VII.1883, morta il 31.VII.1917), Girolamo (nato nel 1885), Gaetano
(nato nel 1886), Arcangelo (nato nel 1888), Isidoro (nato nel
1889), Claudina (nata nel 1893), Elisabetta (nata nel 1894), Giuseppe
(nato nel 1896) e Antonio (nato nel 1898). Con discendenza oggi
fiorente.
2) Maria Giuseppa
Francesca Cristina Raffaella (nata l’11.VII.1865), battezzata dallo zio
Arcivescovo.
3) Raffaella Maria
Margherita Anastasia (nata il 23.I.1867).
4) Lucia Maria Michela
Francesca Filomena42 (nata l’8.V.1870, morta l’11.VII.1870).
Con queste quattro donne si
estinse la famiglia solofrana dei Majorsini.
30 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1822, atti di morte, atto n.14. In questo documento si
specifica che era nativo di Sant’Agata di Sotto, oggi Sant’Agata Irpina, e
segnato con il cognome Majorsini.
31 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1834, atti di morte, n.8, dov’è segnata con il cognome Majorsini.
32 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1833, atti di morte, n.12, dov’è segnata con il cognome Majorsini.
33 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1810, atti di morte, atto n.11.
34 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1809, atti di nascita, atto n.32.
35 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1812, atti di nascita, atto n.1.
36 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1817, atti di nascita, atto n.15.
37 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1821, atti di nascita, atto n.30.
38 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1824, atti di nascita, atto n.3.
39 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1856, atti di morte, atto n.16.
40 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1864, atti di nascita, atto n.10.
41 Questo era un suo omonimo,
non apparteneva alla dinastia segnata nella Platea del Libro d’Oro napoletano.
42 Sant’Agata Irpina, Atti di
Stato Civile, anno 1870, atti di morte, atto n.25.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
Sant’Agata Irpina (già
Sant’Agata di Sotto), Atti di stato civile, atti di nascita e morte, anni
1809-1870
Solofra, Cattedrale, libri dei
battezzati, anni 1736/1883
Archivio di Stato di Napoli,
Archivi privati, Archivio Serra di Gerra, manoscritti
genealogici, voll. III, V, VI
Archivio di Stato di Napoli,
Atti di stato civile di Napoli città, sezioni Stella, atti di nascita 1825) e
matrimonio (1852); sezione Vicaria, atti di morte (1827)
Annuario pontificio 1870, Roma 1870
Salvatore Bardaro,
La cattedrale di Lacedonia (tra passato e presente), Delta3 ed., 2000².
Francesco Bonazzi, Elenco
dei Cavalieri del S.M. Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ricevuti nella
Veneranda Lingua d’Italia dalla fondazione dell’Ordine ai nostri giorni,
vol. I, Napoli 1897
Francesco Bonazzi, I
Registri della nobiltà delle province napoletane, Napoli 1879
Francesco Bonazzi di
Sannicandro, Famiglie nobili e titolate del Napolitano, Napoli 1902
Francesco Bonazzi di
Sannicandro, Le ultime intestazioni feudali nel cedolario
di Principato Ultra, Napoli 1911
Francesco Bonazzi di Sannincandro, Le ultime intestazioni feudali nel cedolario di Principato Citra, Napoli 1914
Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie
nobili e notabili italine estinte e fiorenti, tre
volumi, Pisa 1886-1890
Elenco Ufficiale Nobiliare
Italiano, Torino 1922
Conrad Eubel,
Hierarchia Catholica
Medii Aevi, vol. II,
Ratisbona MDCCCCXIV
Pius Bonifacius Gams, Serie Episcoporum Ecclesiae Catholicae quotquot innotuerunt a Beato
Petro Apostolo, Graz 1957
Patrick van Kerrebrouck,
Nouvelle Histoire Généalogique de l’Auguste Maison de France: les Capétiens, Paris 2000
Pompeo Litta, Gli Orsini di
Roma, in Famiglie celebri italiane, Milano 1848
Mimma de Maio, Alle radici
di Solofra. Dal tratturo transumantico all’autonomia
territoriale, Avellino 1997
Scipione Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1601
Memorie istoriche
della città di S. Agata de' Goti per l'epoca dal principio dell’era volgare al
1840, Napoli 1841.
Erasmo Ricca, Istoria de’
feudi delle Due Sicile di qua dal faro, voll. III
e IV, Napoli 1865 e 1869
Davide Shamà, Titoli nobiliari del Regno di Napoli, Foggia
2015
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