Donato
Papa
1890-1973
Generale
dell’Esercito italiano
Nato
a Solofra nel 1890 da Nicola e Anna Maria Rubino, studiò nell’allora Istituto
Tecnico, sezione fisico-matematica, il futuro Liceo Scientifico, e si iscrisse a Napoli alla facoltà di Ingegneria. Chiamato
alle armi nel 1910 frequentò i corsi per allievi ufficiali di complemento a
Pavia e poi nel Primo Reggimento Zappatori.
In
quegli anni l’Italia indirizzava la politica estera nel Mediterraneo per
rispondere all’espansionismo francese nell’Africa settentrionale e a quello austro-ungarico nei Balcani,
dirigendo la propria espansione verso
Dichiarata
nel 1911 guerra alla Turchia, da Napoli partirono i primi contingenti verso
l’Africa Settentrionale tra cui il Battaglione Zappatori che inquadrava
l’allievo ufficiale Donato Papa. Da sottotenente partecipò alle prime
operazioni in Tripolitania. Passò poi a Rodi dove fu impegnato in importanti
lavori di organizzazione per la difesa di quella
piazza, quindi fu sul Gebel e a Iefren,
con operazioni militari e di sistemazione del territorio. Tornato in Italia nel
1914 fu assegnato al IV Reggimento del Genio col quale
partecipò alla guerra contro l’Austria, prima con grado di tenente poi con
quello di capitano, distinguendosi al comando della VI Compagnia Pontieri nel
ripiegamento dall’Isonzo al Piave e nel rafforzamento di questo fiume alle
Grave di Papadopoli, che aprì la strada alla vittoria
finale. Per queste azioni meritò una medaglia di bronzo ed una d’argento al
valor militare.
Nel
dopoguerra prestò servizio col grado di Maggiore e poi di Tenente colonnello in
diversi reggimenti e prevalentemente al comando del Battaglione Pontieri di
Verona. Fu questo un periodo di grande attività di
addestramento e di studio sui materiali, durante il quale ideò miglioramenti a
vari congegni per ponti d’equipaggio e per ponti scorrevoli su corsi d’acqua
che si mostrarono utilissimi nelle azioni dei pontieri in Albania e in Russia
durante
Dal
1936 al 1938 fu volontario in Africa Orientale al comando prima del XXX Battaglione Artieri di marcia poi del Reggimento
Speciale d’Africa e, per alcuni periodi, anche di centurie di lavoratori, svolgendo
la sua attività su percorsi di centinaia di chilometri in zone dal clima
insalubre e infestate dalla guerriglia abissina. Progettò, diresse e costruì
numerose opere militari che permisero la riuscita di grandi operazioni di
polizia militare. Meritoria fu anche l’opera prestata a favore di necessità
civili.
Durante
Ritornato
in Italia nel 1942 fu nominato Comandante titolare del Primo Reggimento
Pontieri di Verona.
Nelle primissime ore del 9 settembre del 1943 molti ufficiali del
Reggimento erano riuniti nella caserma Piave insieme col Comandante. Era
accaduto che due soldati alpini si erano rifugiati nel
Corpo di guardia della caserma informando che alla stazione ferroviaria e in
altri punti della città truppe tedesche disarmavano e trattenevano soldati e
ufficiali. Il Colonnello Papa telefonò al Generale comandante della Zona
militare di Verona per chiedere istruzioni e ricevette l’ordine di
asserragliarsi in caserma e resistere in caso di attacco,
senza però provocarlo. Il generale confermava poco dopo tale disposizione in
sottordine, informando che erano “in corso trattative
con le Autorità tedesche”.
In quei giorni nella Caserma Pontieri si trovava un solo
battaglione: un altro era di stanza a Legnago come
distaccamento permanente e un terzo, di truppe miste, era stato inviato a
Milano per il soccorso alla città devastata dai bombardamenti. Altri
contingenti erano di guardia a vari forti del presidio e in servizio di ordine pubblico. In tutto erano presenti 500 pontieri e
50 ufficiali all’incirca. Gli uomini erano armati di moschetti e disponevano di tre mitragliatrici e poche bombe a mano.
Inadeguato il munizionamento.
Con tali forze il Colonnello Papa dispose per la difesa della
caserma, deciso a resistere ad oltranza. Divise la
caserma in tre settori, ciascuno agli ordini di un ufficiale superiore, e
provvide a dislocare uomini e mezzi, compresi quelli incendiari come bottiglie
di benzina, approntati al momento.
Alle ore 9 truppe della Divisione SS Adolf
Hitler, che avevano già occupato le vicine caserme
del 79° Fanteria e del 5° Lancieri, circondarono la caserma facendo avanzare contro
i due ingressi principali tre carri armati Tigre, appoggiati da mitragliatrici
a terra e postando tre o quattro cannoni e mitragliatrici al
di là dell’Adige verso la parte più aperta della caserma dov’era lo
scalo con le barche.
Accompagnato da un interprete si presentò in caserma il capitano
tedesco Mayer, comandante di quelle truppe, e chiese
di conferire col colonnello. Ammesso al colloquio, alla presenza di un tenente
colonnello italiano, si dichiarò spiacente di dover chiedere la consegna delle
armi per assicurare la ritirata delle truppe germaniche, consegna già eseguita
dagli altri reggimenti di Verona in base a ordine del
generale comandante del Presidio. Il colonnello telefonò personalmente al
generale stesso e seppe che tale ordine non era stato affatto
emanato. Rispose al Capitano Mayer che se avesse
tentato di impadronirsi della caserma egli sarebbe stato costretto a reagire
col fuoco. Il colloquio divenne aspro e si protrasse per un’ora. Si trovavano
di fronte due ufficiali di due diversi eserciti che, indipendentemente
dalle tante considerazioni che si potevano fare, erano stati alleati fino a
poche ore prima. “Non vorrei trovarmi nei vostri panni, Colonnello” concluse il
capitano tedesco dandogli mezz’ora di tempo per consegnare le armi. Trascorso
tale tempo avrebbe iniziato il tiro. Secondo quanto ricorda
l’ufficiale presente la risposta fu questa:”Potete iniziare anche subito. La
resistenza m’è imposta dall’onore della bandiera e dalla mia dignità di
soldato”. In seguito il Comandante ispezionò tutti i settori. Animati dalla
fermezza dei loro comandanti i soldati erano al loro posto
pronti a sostenere lo scontro imminente. Nel settore dello scalo furono
innestate le baionette per meglio fronteggiare possibili improvvise
infiltrazioni di tedeschi. Quei soldati meritavano rispetto. Considerata la
situazione e la proporzione dei mezzi tutti sapevano quale tragica conclusione
avrebbe avuto il combattimento. E il Capitano Mayer non aveva parlato a vuoto. La caserma era un insieme
di palazzine di capannoni che non offrivano alcuna difesa passiva. Egli col
fuoco dei suoi cannoni, la cui devastante potenza era nota, avrebbe potuto
distruggere la caserma decidendo le sorti dello scontro. Il Colonnello Papa si
rendeva conto dell’inconsistenza dell’armamento dei
pontieri, ma nemmeno poteva essere sicuro che non ci sarebbero state sorprese.
Trascorsa la mezz’ora il Capitano Mayer
tornò a chiedere la resa che fu di nuovo respinta.
Allora diede al Colonnello altre tre ore di tempo,
scadute le quali il comandante tedesco propose di riunire le armi nella stessa
caserma dove sarebbero state vigilate da una guardia mista italo-tedesca.
Anche questa proposta fu respinta per cui il capitano Mayer propose di recarsi dal Generale italiano per ricevere
l’ordine di cedere. Il Colonnello Papa inviò al Comando di Zona un suo ufficiale
che portò prima un ordine orale e poi un ordine scritto di raccogliere le armi “in attesa di essere consegnate all’Ufficiale
incaricato della raccolta munito di una regolare autorizzazione”. Alle ore 21
le armi furono depositate in una sala della caserma, mentre gli ufficiali
rimasero armati. Il mattino seguente un inviato del Comando di Zona andò a
ritirare le armi insieme con un ufficiale tedesco che ne prese possesso. Poi
gli ufficiali riuniti dal Capitano tedesco furono invitati a scegliere: “o entrare nelle SS tedesche o essere considerati prigionieri di
guerra”. Il colonnello Papa dichiarò, a nome di tutti
i presenti, che gli ufficiali italiani avevano giurato fedeltà al S. M. il re e
rimanevano fedeli al giuramento prestato. Allora tutti furono dichiarati prigionieri insieme con la truppa. Non pochi soldati
riuscirono ad evadere sottraendosi alla cattura. Il Capitano Mayer trattò con ogni riguardo il
Colonnello Papa anche dopo averlo fatto trasferire in un campo di
concentramento a Mantova. Il Papa subì quindi una dolorosa prigionia nei campi
di prigionia di Polonia e di Germania .
Tornato
in Italia nel settembre del 1945 riprese il servizio nell’esercito e fu
nominato nel 1946 Direttore dell’Officina Riparazione del Genio militare di Peschiera. Divenuto Generale di brigata in posizione
ausiliaria e passato definitivamente nella riserva fu promosso successivamente al grado di generale di divisione a titolo
onorifico.
Morì
a Legnago nel
Decorazioni al valor militare:
Medaglia
d’argento sul campo (1918)
Medaglia
di bronzo (1917)
Avanzamento
per merito di guerra con distintivo d’onore d’oro (fronte greco-albanese
1941)
Altre decorazioni di guerra e militari:
Quattro
croci al merito di guerra
Medaglie commemorative guerre: italo-turca;
1915-1918; A. O. 1940-1943.
Due
medaglie di benemerenza per volontariato (1940-1945)
Medaglia
d’oro al merito di lungo comando.
Medaglia
mauriaziana alò merito di dieci lustri di carriera
militare.
Onorificenze cavalleresche e altre
Commenda
della Corona d’Italia
Croce
di Ufficiale dell’Ordine di Scanderbeg
Cavalierato
dell’Ordine di Vittorio Veneto.
Cittadinanza
onoraria della città di Vittorio Veneto.
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Da un testo inedito di Nicola Papa, figlio di Donato, depositato,
insieme ad altri documenti, presso l’Archivio della Biblioteca
Comunale di Solofra. Centro studi di storia locale.
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