Il comportamento politico DELLA SOCIETÀ SOLOFRANA NEI PRIMI ANNI DEL DOPOGUERRA

 

 

 

Alla caduta del fascismo prevalse a Solofra un diffuso conservatorismo che si era consolidato nel ventennio e con l’emigrazione. Esso si  manifestò nel referendum che dette un’alta percentuale  - il 78% -  a favore della monarchia. Tutto d’altra parte nel primo dopoguerra avvenne sotto l’egida della moderazione. Tale fu il ritorno alla vita democratica infatti non ci fu subito la proclamazione della libertà di associazione mentre ci si poggiò ai sindacati per tenere a bada le masse operaie. Tale fu il comportamento del Comando alleato che, se inizialmente sostenne il Fronte di Liberazione Nazionale, dove erano confluiti gli antifascisti e dove prevaleva il Partito d’Azione di Guido Dorso, poi scelse una linea più moderata avvicinandosi agli esponenti liberali della politica prefascista. Gli stessi partiti che ebbero voti alla Costituente si presentarono in veste moderata, quasi ad assicurare che il cambio istituzionale sarebbe avvenuto lontano da qualsiasi pericolosa avventura. Ma bisogna anche considerare che la presenza monarchica era molto radicata nella nostra società, come in tutto il meridione, oltre qualsiasi altra considerazione. Nel sud il re era stato sempre visto come un’entità lontana e irraggiungibile che assicurava stabilità e certezza anche se permetteva le angherie feudali. Anche allora dominava la figura di questo monarca che si configurava più come un’idea o un simbolo che come una reale figura umana. Perciò si verificò, allorquando si dovette scegliere tra questa rassicurante entità atavicamente presente nella storia meridionale e quella senz’altro poco chiara di una istituzione sconosciuta e quindi pregna di incognite, che molti votarono per il re e ciò successe anche nelle famiglie dove c’erano persone che militavano nei ranghi più estremi della ribellione comunista.

Tuttavia il 22% dei voti a favore della repubblica e la percentuale, intorno al 20%, raggiunta dal PSIUP-PC alla Costituente, confermarono la permanenza nella società solofrana di un nocciolo progressista che si richiamava alla importante esperienza socialista d’inizio secolo, che aveva raggiunto la sua massima espressione intorno agli anni venti quando Solofra era stata governata dal socialista Vincenzo Napoli, confluito, dopo la scissione di Livorno (1921) nel partito comunista, e la vicina S. Agata Irpina, allora comune a sé, dai socialisti capeggiati da Antonio Famiglietti.

Ed ancora un voto moderato espresse la società solofrana all’alba della sua vita repubblicana nel 1948. Siamo in un ambiente permeato di filo-americanismo a cui la guerra fredda dava una forte  impronta anticomunista. Gli organizzatori della DC locale, usciti dall’Azione Cattolica, incentrarono infatti la propaganda sulla lotta al comunismo posta come lotta all’anticristo che si instaurava sulla base essenzialmente cattolica ed anticomunista del fascismo. Fu facile in questo frangente far presa sulle masse largamente ignoranti sventolando sullo scudo la croce che difendeva la religione e Cristo che i comunisti in Russia avevano tolto dalle chiese, il tutto supportato dalla scomunica che Pio XII aveva inferto ai comunisti e dal fatto che il massimo rappresentante locale del comunismo, Vincenzo Napoli, era un sacerdote che aveva abbandonato l’abito talare. Inoltre gli USA erano presentati come il paese che avrebbe risolto i problemi sociali e quelli della ricostruzione, cosa che concretamente si toccava con gli aiuti del piano Marshall. Tante furono infatti le famiglie solofrane che trovarono sollievo nei buoni dell’Eca che permettevano loro di ritirare presso i locali comunali un sacchetto di pasta o di farina, il formaggio o altri generi che sollevavano i disagi del dopoguerra.

Comunque la classe politica cattolica locale apparve più matura e capace di maggiore presa. Vale considerare che la Chiesa e i cattolici si sentivano portatori d’un progetto di civiltà alternativo sia a quello capitalista che a quello socialista: era la famosa terza via dell’associazionismo cattolico, che appariva un’esigenza dei tempi, capace di soddisfare vedute più ampie, ma era legata alla conservazione in coerente opposizione al progressismo e alla laicità delle sinistre.

Contro questo conservatorismo lottarono gli uomini della sinistra e la loro non fu una campagna antireligiosa ma indirizzata contro quelli che dietro la bandiera del sentimento religioso difendevano la vecchia struttura sociale. In verità l’asse politico nella società solofrana si era spostato di poco verso la DC poiché la sinistra ebbe una percentuale pur sempre alta visto che il Partito comunista (al 38,72%) aveva avuto un distacco di 12 punti che si riduceva al Senato di soli due punti dove gli elettori erano i più anziani, cioè coloro che si richiamavano alla esperienza socialista. Infine va considerato il 4,45 % della Fiamma e il 6,69% di Stella e Corona alla Camera dei Deputati, il 10,07% della Sciabola e il 7,85% dell’Uomo Qualunque (in campo nazionale raccoglieva consensi tra i disoccupati, gli ex combattenti e in genere nella piccola borghesia proletarizzata) che erano espressione di un estremismo conservatore da una parte e di un’apertura verso nuove esperienze dall’altra, cosa che si spiega bene in una società duttile come quella solofrana.

Cinque anni dopo, siamo nel 1952, a Solofra si delineò un’avanzata della destra che raggiunse il 30% alla Camera e il 31,96% al Senato. Il partito monarchico era divenuto il secondo partito, sostenuto da una ripresa, anche se in tono minore, della Fiamma, e ciò sottolineava che la parte conservatrice della società solofrana aveva preso una strada più chiara con l’avvicinamento dei cattolici ai monarchici. L’avanzata delle destre infatti avvenne a spese della DC che si vide decurtata la sua ala conservatrice che l’aveva sostenuta nel ’48. I dati delle sinistre, che registrarono un aumento considerevole rispetto alla precedente consultazione, dimostrarono l’esistenza di una fetta operaia, impoverita senz’altro da un sostenuto movimento migratorio, ma ampia e che soffriva dell’alto indice di disoccupazione e della crisi di produzione di quegli anni in una economia “periferica” come quella solofrana priva di ogni sostegno. Negli anni 50 infatti ci fu una stagione di lotte sindacali sui temi dell’occupazione e per il rispetto della remunerazione, che portò tra il ’54 e il ’58 a significativi successi come l’assicurazione obbligatoria, il pagamento di 200 ore annuali che mascherava una forma di tredicesima. Le rivendicazioni sociali solofrane, però si muovevano in una situazione complessa in un ambiente in cui non ancora si era stabilita una giusta equazione tra conceria e sviluppo segnato da un grado di analfabetismo ancora alto, da una carenza di servizi urbani e di abitazioni e da una forbice aperta tra benessere e qualità della vita. Il vero cambiamento avverrà solo negli anni sessanta legato alle mutazioni sociali del boom economico e alle opportunità della Cassa del Mezzogiorno che Solofra seppe cogliere e che le daranno definitivamente la fisionomia industriale.

 

 

 

Dagli anni sessanta

 

 

Nel 1968 i dati elettorali misero in evidenza un netto cambiamento legato alle mutazioni sociali avvenute a Solofra. Si era in pieno boom economico, la società solofrana si trasformava dietro l’evoluzione della sua economia che dalla costruzione dell’autostrada (1963-1968) e dalla Cassa per il Mezzogiorno aveva quella spinta che la porterà ad una più chiara fisionomia industriale coll’abbandono delle strutture artigianali. La Camera del Lavoro aveva raggiunto all’inizio degli anni 60 l’iscrizione di circa la metà degli operai conciari e il significativo successo del primo accordo a livello provinciale del dopoguerra. Il primo sciopero sindacale e il primo contratto nazionale aveva visto la partecipazione solofrana e gli scioperi che seguiranno a scadenza quasi regolare indicheranno la maturazione di cui si diceva..

 Il segno più evidente di questo cambiamento fu la quasi scomparsa della destra che nel 1963 aveva avuto un tracollo. In questa occasione l’affermazione della DC col 48% alla Camera, un voto giovane, e il 35% al Senato si spiega con la politica del centro-sinistra avviata da questo partito e sentita dalla società solofrana come rispondente alle esigenze di tutto il mondo della industria sia quello imprenditoriale che quello operaio. La tenuta della DC locale fu dunque riverbero della politica democristiana nazionale, ma sia il PC che i partiti socialisti erano sempre forti.

I risultati misero ancora una volta in risalto una forte contrapposizione nella società solofrana: da una parte i padroni che, in piena guerra fredda, tendevano al conservatorismo, dall’altra l’elemento operaio che aspirava alle rivendicazioni socialiste. C’è da considerare che l’esistenza di piccole e medie aziende e il diffuso lavoro par-time, se facevano sì che Solofra costituisse un’«isola» nel contesto della economia meridionale, determinavano una realtà piccolo imprenditoriale dove la classe operaia vera e propria non esisteva. La conceria a Solofra è stata sempre a dimensione familiare e l’operaio distaccato dall’azienda-famiglia è sempre esistito in numero limitato.

La sostanziale scomparsa del conservatorismo solofrano nel secondo periodo del dopoguerra si spiega col fatto che la società imprenditoriale riusciva ora a cogliere le opportunità del mercato internazionale, a utilizzare le riserve economiche e ad avviare un processo di ammodernamento tecnologico anche se c’erano ancora ostacoli determinati da una mentalità poco imprenditoriale, c’era solo il 40% di lavoro regolare, mentre comparivano la speculazione edilizia e i consumi privati.

Negli anni 70 iniziò un periodo più spregiudicato: si passò ad uno sviluppo sostenuto dall’intervento pubblico che creò lo sviluppo della zona industriale, si creò l’Agglomerato di Sviluppo Industriale in cui nel 1974 entrò a far parte l’area solofrana; si affermarono nuovi sistemi di concia che permisero una diversificazione produttiva, ci si aprì al settore dell’abbigliamento, si sviluppò il part-time e il terziario. Questa situazione si registrò nei risultati elettorali che confermarono la DC come primo partito, seguita dal PC e dal PSI, ma risultati positivi furono raggiunti anche dal PL e dal MSI. Fu una parcellizzazione che rispecchiava quella nazionale ma evidenziava anche la situazione di maggiore sicurezza sociale che dava un nuovo senso alla voce della Sinistra e a quella delle destre e che era priva, ora che la guerra fredda aveva ceduto il posto alla coesistenza pacifica, di quella «paura» che aveva aleggiato nelle tornate precedenti. 

Se si considerano i risultati del referendum sul divorzio, con una percentuale del 53% contro il 48% del fronte del no, si vedono confermate due cose: il sostanziale equilibrio che caratterizza gli schieramenti politici della società solofrana e la tendenza progressista che si inquadra nella caratteristica di una società aperta e capace di cogliere se non altro le istanze più forti del rinnovamento. Nel 1976 si evidenziò l’adesione ai due partiti maggiori con l’accantonamento dei partiti minori verso cui non andarono le preferenze degli elettori solofrani. Si manifestò insomma un coinvolgimento di interessi più ampi, il che era conforme alla realtà socio-economica locale, ai problemi che essa viveva e alla duplice visione di una loro risoluzione. Se si considera che si era in pieno regime di centro-sinistra si comprende perché a Solofra la forte componente comunista determinò un deciso spostamento verso sinistra, d’altra parte in campo nazionale si era negli anni del temuto o sperato sorpasso. Anche tra gli imprenditori si cominciava a far strada una maggiore sensibilità verso i problemi sociali. Nel 1979 l’egemonia della DC, che non cancellava una sostanziale presenza della sinistra, si spiega anche col fatto che Solofra era entrata nell’enclave democristiana irpina che si era formata intorno a De Mita-Mancino.

Con gli anni 80 la società solofrana colse solo in parte le opportunità del terremoto, le nocque la ingerenza della politica nazionale in quella locale che avrebbe dovuto cogliere dal terremoto una delle più straordinarie opportunità della sua storia. Si ebbe invece solo l’accentuazione del per altro già iniziato processo di delocalizzazione delle industrie. Il rinnovo del complesso abitativo fatto senza una lungimirante politica di interesse locale o di salvaguardia pur anco di un minimo di ambiente storico ma essenzialmente per rispondere a necessità di equilibri politici, fece scegliere la strada di una più comoda ma disastrosa ricostruzione in loco. Mentre si distruggeva il tessuto urbano antico che una più accorta politica avrebbe potuto salvaguardare con vincoli di costruzione almeno per alcune strade medioevali, per le cortine longobarde, per i palazzi seicento-settecenteschi, creando intorno a loro un’area di rispetto, dall’altra si creavano dei veri e propri mostri di cemento armato malamente posti in stretti ambiti medioevali che invece conservavano se non altro la loro tortuosità e ampiezza.

Solofra, diventò in questi anni però un centro di sviluppo regionale, offriva posti di lavoro ai paesi limitrofi, non aveva un terziario sviluppato e l’agricoltura era completamente scomparsa. Si delineavano nella cittadina i caratteri di una società mista con forte presenza operaia dove l’immigrazione di ritorno cominciava a farsi sentire e dove si determinava in modo evidente una caratteristica che già nel decennio precedente si cominciava a delineare. Il facile guadagno, la possibilità anche per i giovani di avere molto denaro in tasca procurato senza eccessiva fatica e di essere indipendenti dalle famiglie per i bisogni personali anche con lavori estivi, determinava un distacco forte tra cultura e lavoro. Anzi la prima veniva sempre più misurata col metro del denaro che facilmente permetteva l’accesso e il godimento di parametri di difficile gestione. Ne ebbe un danno l’evoluzione della società che restò a livelli bassi e non seppe cogliere, anche negli strati più alti, le opportunità di uno sviluppo industriale legato al confronto, alla sfida concorrenziale del mondo di oggi. Se nel 1983 la DC fece registrare un calo e poi nella successiva tornata dell’87 una ripresa, sempre seguita a ruota dalle sinistre, è perché ormai si era perso il legame tra classe ed esigenze sociali e politica nazionale, mostrandosi in eguale misura sia il grosso centro politico che i partiti di sinistra, ora capaci di rispondere alle esigenze della comunità.

Negli anni novanta si registrò una svolta verso sinistra legata alle trasformazioni avvenute in questi partiti e alla nuova legge elettorale che aveva creato i due poli e che aveva permesso all’ala di sinistra della DC e ad una miriade di piccoli partiti di centrosinistra di confluire in una grande sinistra. La società solofrana, libera da contrapposizioni ideologiche, ora potette scegliere più facilmente i due indirizzi in cui si divideva la politica nazionale.

Sostanzialmente i due schieramenti si equivalsero e di poco prevalse ora l’uno ora l’altro, permanendo nella società la grande contrapposizione tra il moderatismo di destra cui guardava la parte più conservatrice della borghesia imprenditoriale e il progressismo delle sinistre cui guardavano i gruppi che erano più attenti al sociale e alla prevalenza dei problemi delle fasce deboli o volevano che i problemi si risolvessero guardando dal basso.

 

 

 

 

 

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