UN SOCIALISTA ALL’INIZIO DEL SECOLO
ANGELO ANTONIO FAMIGLIETTI
*
I
miei ricordi di Angelo Antonio
Famiglietti e la presenza socialista nell’area solofrano-santagatina
Introduzione
di Mimma De Maio
a
I
miei ricordi
di A.
A. Famiglietti
"Spesso le autobiografie",
ha detto Gramsci, "sono un atto di orgoglio" che potrebbe essere
quello di chi è animato da un vivissimo sentimento degli eventi della propria
vita; ma che sia vero ciò o che le autobiografie siano semplicemente il
racconto di episodi che hanno costellato un'esistenza in entrambi i casi si può
individuare una situazione di fondo che è l'indistinto bisogno, che prova
l'uomo che ha vissuto, dì guardare agli anni passati nella essenziale ricerca
di un significato. D'altronde può anche avvenire, come avverte Croce, di
colorire quel racconto "alla luce del [ ... ] sentire presente
favorevolmente o sfavorevolmente disposti". La "memoria" in ogni
modo è una finestra che si apre su qualcosa che più o meno ci ha coinvolti e
che poi è stato assorbito nella nostra complessione personale, sicché nel
momento in cui gli eventi vengono evocati, pur se privi dei condizionamenti
dell'esperienza effettuale o forse proprio per quello, acquistano una carica
ideale tale da provocare complessi stati d'animo. Ecco allora la
"nostalgia" di cui parla l'autore di questi Ricordi, ben lungi dalla
banale ricerca di un rifugio contro l'insoddisfazione del presente e quel
"rimuginare" il passato col conseguente rimedio freudiano di quietarsi
nel racconto.
Ma c'è di più.
Antonio Famiglietti è un appassionato raccoglitore di "fatti
accaduti" che narra in "articoletti" sui giornali del tempo, è,
dunque, un attento osservatore degli accadimenti, un cronista. Il racconto
allora, guidato da questa abitudine, acquista quello scarno lindore che emana
freschezza. 1 fatti sono richiamati alla memoria e sistemati sulla pagina con
pacatezza tanto che si ha l'impressione che l'autore parli di eventi accaduti
ad altri; anche quando lo stesso è costretto ad esprimere un giudizio o a
muovere una denuncia lo fa senza acredine con quel decoro che è proprio di chi
ha acquisito un abito professionale.
Questa
autobiografia ha però un motivo esplicitamente dichiarato: vuole l'autore far
conoscere una parte del suo tempo. E ciò ha dato a noi la possibilità di
scavare in un lungo periodo della vita locale e provinciale, di incontrarci con
gli eventi grandi della storia, di vedere come questi affondano le radici nel
substrato essenziale di quella che viene chiamata "storia minima" o
come questa alimenti l'evento storico che solo per tali apporti è diventato
grande.
1. Duri sono i
ricordi "più lontani" che s'inoltrano al di là della Grande Guerra e
si collocano in un paese, S. Agata di Sotto, allora Comune autonomo, ora S.
Agata Irpina, frazione di Solofra, ove i contadini dovevano dare ai padroni
"tre quarti del prodotto della terra, oltre a servizi di tutte le
specie" e gli operai delle fabbriche di concia delle pelli
"faticavano non meno di 14 ore al giorno senza alcuna assistenza".
Angelo Antonio Famiglietti,
figlio di un artigiano, appartiene a quella classe intermedia che riesce a fare
del lavoro un mezzo per superare l'impasse in cui le prerogative della classe
dominante la vorrebbe inchiodata, e che, se è incline a non rinnegare la
condizione sociale che la caratterizza, non è restia a raccogliere stimoli
innovatori proprio per quella apertura ed indipendenza prodotta ed assicurata
dall'attività artigianale, qualificandosi come quel tratto della società che
meglio riesce ad innestare nel solco della tradizione l'evoluzione delle
proprie strutture.
Questo artigiano,
nella cui bottega, ove si confezionano e riparano calzature, c'è anche qualche
dipendente, svolge un'attività a quei tempi apprezzata che gli permette di
vivere decorosamente. Egli vede nell'unico figlio il naturale erede anche del
suo mestiere, proprio come per generazioni hanno fatto gli artigiani della
valle a volte talmente gelosi custodi della propria "arte" da fame
perdere la memoria con l'estinzione della trasmissione ereditaria.
Il giovane, però,
insieme alla passione per il canto, confortata da doti naturali, accarezza
un'idea: diventare uno di quei professori di musica sacra che le allora
numerose feste religiose e ricorrenze varie portavano nei paesi. Per questa
realizzazione dovrà intraprendere una dura lotta contro abitudini rese solide
dalla tradizione a favore della quale giocava un ruolo determinante, più che la
condizione economica, il fatto che la sua inclinazione non corrispondeva a
quelle permesse alla classe sociale di appartenenza. Egli ha però la ferrea
volontà che nasce dalle passioni vere, e dalla sua parte, le donne della
famiglia - la madre e le sorelle - che, impegnate in attività di lavoro,
avevano già a quei tempi con l'indipendenza economica la possibilità d'introdursi
attivamente nel processo evolutivo sociale.
In questa luce
devono vedersi tutti quegli interventi l'acquisto del pianoforte, le lezioni di
musica - operate dalle donne a carico della parte più tradizionalmente stabile
della famiglia, il padre, per dare al giovane la possibilità di secondare una
tendenza che gli avrebbe permesso di elevarsi anche socialmente. Tali
interventi femminili sono sostenuti da parenti, amici e conoscenti, espressione
essi stessi di quella intraprendenza di comportamento depositata nel carattere
del solofrano da attività antiche quali l'artigianato e la mercatura.
Inizia così
l'ascesa del giovane, il cui coraggio, sostenuto dalle qualità precedentemente
indicate, lo porta ad infrangere, dopo quella del padre, anche la ferrea legge
del maestro di musica e a dare, più presto del previsto, buone prove di sé.
Era l'avvio di una
carriera che già nel
"Sì andava
avanti così" - continua il Nostro - "papà col proposito fisso che
dovevo perfezionarmi nel suo mestiere, io con quello altrettanto fermo di
diventare almeno uno di quei professori [ ... ] che coll'organo e col canto
vivevano abbastanza bene ed erano considerati ad un livello più elevato nella
società".
La
"ribellione" di Antonio Famiglietti avveniva nel rispetto delle
fondamentali ragioni dell'uomo. Le innovazioni, quelle destinate con i loro
frutti a portare avanti, sulla linea ascendente del progresso l'operato
dell'uomo, non rigettano il già acquisito, ma sono un innesto su questo.
L"elevato posto nella società" viepiù si costruisce con l'impegno,
personale senza ricorrere ad astratti appelli alla giustizia sociale: - che,
mai dono gratuito, può realizzarsi solo col contributo di ognuno.
Gli impegni intanto
diventano più frequenti e, sconfinando da Solofra, fanno conoscere anche in
provincia il giovane, il quale, quando nel marzo del 1917 sarà chiamato alle
armi, durante tutto il periodo "delle istruzioni" a Pescara avrà
l'incarico di suonare per la truppa.
Dopo ì cruciali
mesi sul fronte - sarà in prima linea sul Carso e, dopo Caporetto, sul Piave -
a Trento liberata Antonio Famiglietti arriverà ad avere la direzione di una
Banda militare per tutta la lunga permanenza in quella città, fino al
definitivo congedo del 5 maggio 1920.
Il ritorno a
Solofra lo riporta all'attività di organista mentre sente il bisogno di
perfezionarsi alla guida di un noto maestro, l'avellinese Gino Imbimbo, che egli sostituirà in molti impegni quando
costui, per motivi di salute, vi sarà impedito.
2. Subito dopo la
guerra Antonio Famiglietti si trova coinvolto nella lotta politica molto viva
in paese, dalla quale "per coerenza" neanche in seguito seppe
distaccarsi.
Quindicenne era
venuto a contatto col socialismo innestatosi su un vivo movimento operaio - il
Manacorda ne ha dimostrato l'indipendenza dallo sviluppo industriale - che già
alla fine del secolo aveva interessato i lavoratori di Solofra e di S. Agata di
Sotto.
Dalla vasta area
che costituisce l'entroterra di Salerno e Napoli, su cui gravita l'asse
geografico della conca del Solofrana, proveniva l'eco della complessa
problematica delle masse lavoratrici, che ivi si dibatteva, e concretamente si
rifrangeva nella realtà locale determinandone anche qui il lento ed inesorabile
sbocco sul terreno della lotta di classe. E importante per una corretta lettura
degli eventi solofrano-santagatini considerare la
naturale apertura della conca sulla piana del Sarno e dell'Irno attraverso la
quale è avvenuto come abbiamo dimostrato altrove - un continuo apporto di
consistenti elementi storico-culturali. La stessa attività economica locale ha
sempre gravitato sui mercati di Salerno e soprattutto su quello di Napoli,
dagli Angioini e dagli Aragonesi alla Napoli mercantile dei Borbone. A mo'
d'esempio consideriamo la lotta concorrenziale sviluppatasi all'inizio del
secolo scorso per la lavorazione dell'oro fiorente ed antico monopolio
solofrano - del quale il capoluogo campano pretese l'esclusività (nella
controversia non furono estranei gli stessi artigiani solofrani trasferitisi a
Napoli) causando la fine di quest'arte nel più piccolo centro.
Per il problema che
stiamo considerando non bisogna quindi sottovalutare il consistente movimento
operaio sviluppato nelle zone industriali del salernitano, che aveva fatto
sentire la sua voce nelle rivendicazioni dell'epoca e dal '95 era presente
anche in Parlamento con un seggio socialista dei quindici che quel partito
aveva conquistato in tutta Italia.
Ma soprattutto
bisogna tener presente che da Napoli Solofra ha sempre avuto con la città anche
intensi rapporti culturali attraverso i molti suoi figli ivi distintisi in
tutti i campi del sapere giungevano nella cittadina gli echi dell'anarchismo di
Bakunin. Quando il rivoluzionario russo scopri a Napoli "molta più energia
politica e sociale che a Firenze" e giudicò il napoletano un "terreno
fertile che vale la pena di coltivare" per la "carica rivoluzionaria
delle masse contadine" - e le vicende del brigantaggio non solo quello
post-unitario mostravano che queste masse mancavano solo di organizzazione - si
riferiva alle sue aree più vive nelle quali è da includere la zona solofrana,
dove per altro contribuivano a rafforzare quella carica le locali attività
artigiano-commerciali. Il movimento che fece capo a Bakunin si diffuse con
un'attivissima propaganda nelle isole proletarie del napoletano tanto è vero
che alla prima sezione dell'Internazionale sorta a Napoli se ne aggiunse subito
una a Castellammare dì Stabia.
D'altronde che il bakunismo fosse arrivato a Solofra lo si apprende da una
nota prefettizia del 1878 che paventa la diffusione in loco di idee improntate
d'internazionalismo che avrebbe potuto fomentare un movimento insurrezionale.
Comunque tra la fine del secolo e gli inizi di questo abbiamo concrete
testimonianze di una presenza anarchico-rivoluzionaria a Solofra. La stessa
Lega Pellettieri del 1903 era considerata. nei rapporti di polizia
"eminentemente sovversiva".
Questi influssi
s'innestavano in una società segnata da una lunga tradizione rivendicativa che
aveva visto. Solofra presente in tutti i momenti cruciali della vita del
meridione dal moto masanelliano, al '99, ai carbonari
o, risalendo nel tempo, alle lotte feudali.
Quello solofrano
era dunque un terreno adatto per esprimere un movimento operaio la cui identità
è 'stata sottovalutata dagli studi precedenti, mancando in essi l'attenzione
all'essenziale legame della cittadina con la capitale del meridione e col
salernitano. Né pensiamo che una indagine in tal senso possa essere
infruttuosa, anche perché i dati relativi alla realtà solofrana negli studi
specifici spesso sono stati inglobati in quelli dell'entroterra napoletano e
salernitano.
In tutta Italia non
escluso il meridione il movimento operaio aveva trovato dopo l'Unità la sua
prima organizzazione nelle Società di Mutuo Soccorso, che gradatamente avevano
abbandonato l'originario moderatismo assistenziale per affrontare problemi più
specifici del mondo del lavoro, financo questioni politiche. Questo cambiamento
apparve evidente proprio a Napoli quando - siamo nel 1864 - il primo congresso
delle società operaie del centro-sud adottò quello Statuto, opera del Mazzini,
che superava nettamente le posizioni precedenti. E nel napoletano il movimento
rivendicativo si colorò di consistenti elementi anarcoidi che lo fecero avviare
decisamente verso forme di lotta e di organizzazione più avanzate.
Conseguenza di
questa evoluzione fu la generale fioritura di società e organizzazioni operaie
dell'ultimo ventennio del secolo nelle quali per altro le forze moderate
cercarono di introdursi per attenuare le tendenze dell'anarchismo.
Questo fenomeno di
così vasta portata, già capace di coniugare istanze sociali ed esigenze
produttive, si diffonde nell'area agricolo-piccolo industriale solofrana dove
nel 1884 sorge
In campo nazionale
intanto il movimento operaio, approdato a forme legalitarie, si era organizzato
nel Partito Operaio inalberando tra le rivendicazioni il diritto di sciopero,
che sarà il coagulo di tutto il movimento anche dopo lo scioglimento del
partito ed il motore degli scioperi di fine secolo.
Sull'eco di questi
sommovimenti - a Napoli ci sono violenti scioperi soprattutto nel ramo della
lavorazione delle pelli - anche Solofra è agitata - siamo nel 1898 - da
fermenti per il pane "che non era fatto con la farina e costava quanto
quello" e per le richieste dei pellettieri di aumenti salariali e di
diminuzione dell'orario di lavoro, mentre la forza pubblica ha buon gioco a far
abortire sul nascere questi primi tentativi.
Ormai il movimento
operaio mostrava quella maturità per la costituzione dei primi nuclei
sindacali. Questi nascono in seno alle Società di Mutuo Soccorso che si
trasformano in Leghe di resistenza - dal 1891 aumentano considerevolmente - che
costituiscono un ulteriore passo avanti perché si svincolano dalla tutela
borghese, infatti escludono i padroni, ed hanno compiti di aiuto ai lavoratori
in sciopero o in carcere.
Anche Solofra fa
questo passo avanti con
E da questi
ambienti attraverso Solofra -
Se consideriamo che
le 300 adesioni alla Lega comprendono anche piccoli artigiani a domicilio uniti
con l'operaio contro il monopolio della più grande industria vediamo questi
influssi penetrare ampiamente gli strati della società solofrana dell'epoca. E
se teniamo presente che anche
Le due Leghe
solofrane si configurano come organizzazioni su base professionale e ciò dà una
struttura corporativa al movimento operaio locale che ereditava, trasferendolo
sul piano della lotta per il miglioramento dei lavoratori, di corporativismo
rinascimentale, elemento peculiare delle attività artigianali locali.
Particolarmente
Sono le stesse
rivendicazioni che in quegli anni faceva il PSI in, Parlamento quando, guidato
dall'ala riformista, aveva iniziato quella collaborazione con il governo che
andrà con il nome di svolta giolittiana. E queste sono le richieste - aumento
salariale del 25%, riduzione da
Solofra produsse un
vero e proprio braccio di ferro tra gli operai e gli industriali durato 11
giorni, durante i quali tutta la zona e le fabbriche furono presidiate dalle
forze dell'ordine sostenute da un reparto di fanteria proveniente da Sarno. La
mediazione cercata dal segretario della C.d.L. di Salerno e dal rappresentante
della Lega solofrana, Ernesto De Maio, non riuscì poiché gli industriali
tennero duro e si rivolsero alla manodopera dei paesi limitrofi arrivando a
condizionare l'assunzione all'iscrizione alla società di Mutuo Soccorso da loro
controllata.
La solidarietà dei
partiti popolari del Blocco Democratico di Avellino e direttamente l'appoggio
del partito socialista irpino, i cui rappresentanti, Pagnotta e Cianciulli, giunsero a Solofra, e di quello beneventano
tramite il propagantista Luigi Basile, dimostra come
le esigenze avanzate dal movimento operaio divenivano problemi politici sul cui
piano se ne cercava la soluzione.
Lo sciopero
solofrano naufragò, come la maggioranza delle rivendicazioni di quegli anni,
dinanzi allo spiegamento della forza pubblica e alla consistente resistenza del
patronato, segno che la borghesia liberale solofrana si schierava sulle
posizioni di opposizione alla esperienza giolittiana. In Parlamento invece il
PSI dibatteva anche il problema dei pellettieri solofrani ad opera dell'On.
Cabrini - prendiamo la notizia da Covino - che lamentava l'astio della classe
patronale a "regolare con leggi" i rapporti tra "capitale e
lavoro". Invero gli industriali solofrani con sistematiche e volute
astensioni ostacolavano persino il funzionamento del probivirato
quell'istituto che aveva per scopo l'instaurazione di rapporti meno tesi tra
operai e padroni - dimostrando che il nemico del socialismo solofrano non era,
come è stato sottolineato per il socialismo irpino - "quella generale
arretratezza delle masse", bensì l'opposizione della classe che si vedeva
scalzata da pretesi diritti di nascita o acquisiti.
All'uopo ci
serviamo dell'esame del Famiglietti che dice "se per progredire
economicamente era difficile, culturalmente ([... ] per tutti ì figli dei
lavoratori) era assolutamente impossibile. Gli operai e i contadini vivevano
sotto lo sguardo maligno dei cosiddetti aristocratici, maledettamente invidiosi
e gelosi, i quali, con i mezzi abbondanti che avevano a disposizione, erano
capaci di schiacciare chiunque avesse tentato di elevarsi un tantino dallo
stato in cui era nato".
Vogliamo commentare
questa situazione con il lucido giudizio di Dorso quando parla di
"rivoluzione politica e sociale delle coscienze" come l'unica
corretta via che avrebbe permesso agli uni di abbandonare il sopruso e agli
altri di non essere passivi strumenti di quelli.
Un fatto legato
allo sciopero del 1903 acquista rilievo nella storia del movimento operaio di
Solofra e ne stigmatizza la debolezza: il fallimento della C.d.L. solofrana.
L'esigenza di una sua costituzione era apparsa proprio all'indomani dello
sciopero per dare maggiore forza alle richieste degli operai. Nell'agosto di
quell'anno l'ori. Tedeschini tenne a Solofra una conferenza che, secondo la
stampa di parte, fece affluire 2000 persone, nella quale si dibattette questo
problema. Il 17 dicembre dello stesso anno abbiamo notizia della fondazione
della C.d.L. solofrana.
Lo stato attuale
delle ricerche non ci permette di essere più chiari sull'argomento, possiamo
comunque dire che la specificità del lavoro svolto esclusivamente in loco
avrebbe dato alla Camera solofrana il carattere di una Federazione di mestiere
e possiamo ascrivere alla crisi che in quegli anni coinvolse tutte le C. d. L.
l'aborto sul nascere del tentativo solofrano. Esso è un episodio dì quella
crisi del socialismo meridionale che - è stato detto - fu soprattutto
"crisi di penetrazione sindacale" anche dove, aggiungiamo noi,
esisteva una realtà come quella solofrana idonea a consentirla.
La coscienza della
lotta dì classe non sarà scalfita dal fallimento del moto insurrezionale
solofrano, continuerà ad esprimersi nel malcontento diffuso intorno alle 55
industrie locali e alle otto santagatine e nell'impegno
con cui fu mantenuta in vita
In Irpinia chiusa
Languì anche
L'opera di
proselitismo però non si fermava se proprio in ucgli
anni - nel 1915 - il Famigliettí sarà instradato al
socialismo da quell'Ernesto De Maio che era stato un elemento chiave del
movimento socialista all'inizio del secolo.
Prima di concludere
questo lungo exursus che, necessario per
inquadrare i fatti narrati nei Ricordi, ci ha permesso la ricostruzione di un
momento di storia solofrana, dobbiamo soffermarci sui contrasti durio e
frequenti che dilaniavano il già debole tessuto sociale. Cogliamo questa
atmosfera sulla stampa locale faziosa e di parte nella quale se è difficile
individuare il preciso contorno degli avvenimenti è possibile invece scoprire
quella impreparazione delle coscienze di cui parlava Dorso alle soglie del
fascismo.
3. Ritorniamo ad
Antonio Famiglietti che nel 1915 viene a contatto col socialismo. Siamo
nell'epoca in cui il partito, aveva visto fallire il collaborazionismo
riformista e si era sfibrato dividendosi sulla questione della guerra dinanzi
alla quale aveva dovuto soccombere, ma non avrebbe rinunziato ad un'attiva
presenza nella realtà sociale che la guerra stava creando, a sostegno delle
masse che o direttamente o indirettamente ne subivano il peso.
In Irpinia il
partito, nato nel 1899 intorno a Cianciulli, aveva
cominciato ad operare nell’"Unione dei partiti popolari", che aveva
raggiunto risultati positivi conquistando nel 1903 il Comune del capoluogo ed
ottenendo nella Solofra della Lega Pellettieri - siamo nell'anno dello sciopero
- una buona affermazione.
Fallita
l'esperienza del Blocco dell'Unione il socialismo irpino si era trovato diviso
tra il rivoluzionarismo del Cianciulli e
l'intransigentismo riformista dì Pagnotta anche qui debole come tutto il
socialismo meridionale, mentre i suoi precedenti alleati venivano sempre più
assorbiti dalla logica del potere trovando nel trasformismo la via più comoda
per soddisfare gli interessi personali e, di conseguenza, facendo
dell'amministrazione della cosa pubblica un terreno di conquista e di dominio.
Dinanzi a questa
situazione il socialismo irpino, come quello meridionale improntato
all'insegnamento di Giovanni Bovio - il filosofo siciliano entusiasmava i
giovani dalle aule dell'Università di Napoli e scriveva sulle pagine de
"II Grido" -, acquista una carica ideale, ma si attarda nella più
piccola problematica della gestione del potere allontanato dai grandi problemi
proprio da quel trasformismo che voleva combattere. E così sarà necessariamente
lontano dalle masse su cui avrebbe dovuto far presa - i molti contadini, i
pochi operai - o perché facilmente manovrabili o perché difficilmente
raggiungibili. "Classi impaurite" annoterà più semplicemente il
Famiglietti riferendosi ad una piccola fetta della società irpina del tempo, la
realtà santagatina.
E questo
socialismo, 'che inalberava proprio la bandiera moralizzatrice contro le
oligarchie locali e la corruzione amministrativa, sembrò "bello" al
giovane Famiglietti (ma in questo aggettivo, ripetiamo col Missiroli, avrà
insieme la sua grandezza e la sua debolezza).
Nel suo paese,
roccaforte di un patronato della terra e dell'industria - a S. Agata c'erano 28
famiglie di proprietari su una popolazione di 966 persone al censimento del
1911 - i "signorotti" avevano da sempre tenuto il potere e lo usavano
commettendo soprusi e violazioni di diritti sulla facilmente domabile massa dei
sottoposti. Contadini e operai, contadini che sono anche operai o che convivono
con essi, ma anche lavoratori a domicilio o piccolissimi proprietari, gente
legata dalla tradizione e da un'ingiusta servitù alla terra o all'industria dei
signori.
Questa massa
contadino-operaio-piccolo artigiana dopo la guerra vede risvegliarsi le
speranze deluse vent'anni prima ma non sopite. E il medesimo movimento operaio,
reso più maturo dalle esperienze di quegli anni - le rivendicazioni nel
napoletano, la guerra, le conquiste in campo nazionale -, che ha acquistato
coscienza politica e si è organizzato in partito diffuso nella zona con due sezionì, una a Solofra e una a S. Agata di Sotto, causando
la violenta e preoccupata reazione della classe che fino ad allora aveva
dominato incontrastata.
Questa società
complessa e in fermento era perciò dilaniata da lotte che degeneravano in odi
personali o di famiglia e che costituivano la debolezza dì fondo della parte
meno forte giocando invece a favore dell'altra che si presentava come tutrice
dell'ordine di contro alla facinorosità popolare.
Già abbiamo detto
di questa conflittualità di fondo presente nella società irpina, essa però
maggiormente invadeva quegli ambienti più esposti per l'eterogeneità delle sue
stratificazioni. Uno studioso della realtà irpina di quel periodo, Giuseppe
Covino, ha colto dalla lettura del periodico solofrano "Le rane" una
"conflittualità operaia" che sfociava in risse e coltellate e noi
aggiungiamo che la medesima irrequietezza abbiamo notato nelle cronache del
"Corriere dell'Irpinia" o di altri giornali provinciali, sempre in
relazione alla realtà solofrana e santagatina,
situazione peraltro denunziata dallo stesso Famiglietti il quale ne individuava
le cause nell'abbandono in cui erano tenuti gli operai che per distrarsi
avevano solo la cantina e nell'ubriachezza commettevano finanche omicidi. A
questi operai, che i signori sia a Solofra che a S. Agata escludevano dai loro
circoli - nella prima gli eleganti locali del L. Santoro, nella seconda un
circolo ove "si giocava fino a notte inoltrata" -, il giovane
Famiglietti, divenuto sindaco del paese, crea insieme ai suoi amici di fede un
ritrovo civile, l'"Unione Operaia", subito ficca di 80 adesioni.
La capacità organizzativa
proletaria, nuova per un minuscolo paese che aveva sempre gravitato intorno al
più grande centro, provoca timorose apprensioni, inoltre quella associazione
metteva a nudo la mutata consistenza dell'elettorato, frutto delle riforme del
'
Siamo nel 1920
Antonio Famiglietti, ritornato dalla guerra, capeggia una lista socialista che
conquista il Comune di S. Agata di Sotto. E una ripresa anche del socialismo
solofrano.
In tutta Italia
infatti il PSI, uscito dalle restrizioni della guerra, si era organizzato dando
vita ad "una delle stagioni più inquiete" con scontri, disordini,
agitazioni - erano dibattuti i problemi causati dal rientro dei reduci, dal
carovita, ma c'erano anche vaghe aspettative di un rinnovamento generale -, un
periodo che va col nome di biennio rosso e che, in campo sindacale, coglie una
delle conquiste più grandi del movimento operaio, le otto ore lavorative, e, in
campo politico, fa appunto registrare una decisa avanzata del partito.
Questo fervore si
riscontra anche in provincia dove sorgono sezioni, circoli operai, leghe di
resistenza, secondo la linea indicata da Cianciulli
fin dal '14 al Congresso Socialista Campano di Napoli, quando il socialista
montellese aveva presentato come problema prioritario un ampio reclutamento
soprattutto in quelle aree dove già esisteva un proletariato industriale.
L'intento di politicizzare il movimento operaio si realizzava. E neanche in
Irpinia mancavano episodi di fermento (notevoli gli scioperi dei ferrovieri
organizzati ad Avellino da un solofrano, Carmine Guacci che introduceva nella
nostra provincia istanze colte a Rimini e a Brindisi, dove il lavoro lo
portava), espressioni del malessere che serpeggiava fra le masse.
Solofra è uno dei
centri più interessati a questi fatti. Qui il movimento operaio ha trovato in
Vincenzo Napoli ed Emanuele Papa due organizzatori capaci di ridargli vita.
Vincenzo Napoli
(1882-1958), nato a Solofra e compagno di studi del Cianciulli
a Benevento, aveva abbandonato l'abito talare e si era dedicato al movimento
operaio sostenendolo nelle sue rivendicazioni e guidandolo nella lotta
politica. Rifondata
Il cospicuo
movimento solofrano ebbe da lui una sistemazione politica nella sezione
socialista nel luglio del 1920, lo stesso anno in cui alle elezioni
amministrative dell'autunno Solofra farà registrare il maggiore successo
socialista in Irpinia. L'evento elettorale di Solofra è sottolineato da quello
di S. Agata di Sotto e dai risultati alle provinciali dove l'altro compagno di
lotta del Napoli, Emanuele Papa (1887-1956), professore di matematica, passato
dal riformismo al rivoluzionarismo del Cianciulli,
riesce a soppiantare alla provincia il forte compaesano Eugenio Giliberti.
Solofra in quegli
anni è con Atripalda e Montella tra le protagoniste del socialismo irpino e
come tale sarà presente al Congresso di Livorno nel gennaio del 1921, dove il
Napoli insieme al Cianciulli aderì alla mozione di
Firenze, cioè a quella parte del socialismo che "faceva appello al
patriottismo del partito", che difendeva "i successi del movimento
operaio" e la volontà delle masse nel rispetto della realtà italiana. Nel
mese di marzo dello stesso anno si terrà a Solofra - ospite il salone della
Lega Pellettieri - il III Congresso Socialista Irpino con l'ìmportante
scopo di "puntualizzare le posizioni emerse dalla scissione di
Livorno".
Nella cittadina
accanto alla prospera Lega Pellettieri c'era la lega Coloni. Entrambe però non
erano le uniche voci che mantenevano viva la lotta politica locale. Intorno
alla lavorazione delle pelli si era andata formando una ricca rete di tensioni
acuita dall'accresciuta ricchezza dei grandi industriali per le forniture
belliche - in provincia sarà chiamato "pescecanesimo"
-. Già prima della guerra le pelli di agnello ed agnellone col pelo erano
vendute a prezzi altissimi agli austriaci, allora nostri alleati, che le
ricercavano che essa, se pure è nella scia di quella più grande solofrana, ha
un suo particolare rilievo poiché qui si riescono a "scalzare" dal
Comune "i signorotti che lo detenevano da data immemorabile".
Di questo Comune
Antonio Famiglietti diventa, nel settembre del '21, dopo le burrascose
dimissioni del socialista Michele Cotone, il sindaco più giovane d'Italia.
Il paesello è
povero, poiché costituito nella maggior parte da gente indigente e perché gli
amministratori precedenti, tutti appartenenti ai pochi abbienti, avrebbero
dovuto autotassarsi per realizzare quelle opere necessarie ad una civile vita
in comune.
In quel paese
langue tutto, dal servizio sanitario a quello amministrativo, dalla scuola
all'illuminazione, dalle strade alla cura del cimitero, problemi che il giovane
sindaco affronta con la stessa determinatezza che aveva animato le lotte
personali. Gli ostacoli da superare - maggiori e certamente più ardui
-comportavano lo scontro con i "signorotti" che divennero suoi
acerrimi nemici.
Accettando
"una vita di combattimento incessante [ ... 1 intrapresi l'opera
mia", commenta il Famiglietti nel dare l'arida elencazione delle cose
fatte - tra cui il cambio del nome del paese in quello di S. Agata Irpina - nel
breve periodo del suo sindacato che termina il 24 gennaio del 1924 con lo
scioglimento del Consiglio Comunale travolto dall'incessante opera di
assorbimento fascista di tutte quelle amministrazioni che, in seguito alla
mutata situazione politica dell'ottobre del '22, non si erano liberamente
sciolte.
Non sono i molti e
validi problemi risolti a favore della comunità santagatina
che vogliamo sottolineare - dei quali leggendo i ricordi si ha completa notizia
- quanto quell'atmosfera di lotta e odi che visse il piccolo paese in cui lo
scontro, che già era contrasto personale, diverrà col fascismo feroce odio
politico. Atmosfera che a stento si coglie nel racconto scarno del Famiglietti
invece più chiara si evidenzia in quei processi che colpirono entrambe le parti
e ancora una volta si individua sulla stampa dell'epoca. Da questa abbiamo
tratto e riportato in Appendice solo alcuni "pezzi" riguardanti
episodi esplicitamente citati nei Ricordi o altri che servono a meglio
illustrarli. Interessano per il periodo del sindacato del Famiglietti tutte
quelle note dì cronaca apparse sul "Corriere dell'Irpinia" che ci
danno un ampio spaccato della situazione solofrana e santagatina
prima che il silenzio fascista cadesse sul settimanale irpino.
Troviamo Angelo
Antonio Famiglietti corrispondente di questo giornale dal '23, ma molte note di
cronaca sono firmate dalla sigla T. Il tono delle stesse e la prosa sono
chiaramente dì mano del Famiglietti il quale d'altronde era l'unico
corrispondente del giornale. Abbiamo utilizzato per l'Appendice solo gli
articoli autografi, gli altri, insieme a quelli riguardanti la vicina Solofra,
ci hanno dato la possibilità di chiarire degli episodi citati. Anche il
quindicinale solofrano "Le rane" ha permesso di ritrovare personaggi
e situazioni per lo meno fino al 1922 quando quel giornale pose termine alle
pubblicazioni essendo stato nominato il suo direttore-proprietario commissario
regio nel Comune di Pattì in provincia di Messina.
Le speranze che
avevano determinato la vittoria amministrativa non vengono deluse. Il piccolo
paese si sveglia non solo ad una vita più civile con l'ampliamento della scuola
che raggiungerà le zone più isolate, ma anche alla vita politica che in un
paese con una base industriale significherà lotta di classe. Vedrà questa
contrada svilupparsi contro i nuovi amministratori la feroce opposizione di
quella classe che si era vista privata di un potere che non significava solo
predominio e che troverà nel fascismo non solo la possibilità di riavere quel
potere, ma la sicurezza contro avventure pericolose. Allora si comprende che il
fascismo fu pure, come è stato autorevolmente dimostrato, l'estremo sussulto di
una classe - imprenditori, notabili, proprietari - che non vuole cedere dinanzi
agli orizzonti della democrazia e che alle prospettive che R socialismo apriva
alle masse "impreparate" preferì gli orizzonti più calmi del conservatorismo.
Il piccolo paese di
S. Agata slitta dunque nel fascismo dei signori e degli imprenditori: sembrò un
ritorno ai tempi precedenti l'avventura socialista. E c'era il deteriore
trasformismo a spiegare il caso del segretario della sezione fascista santagatina, poi Commissario Regio del Comune,
quell'Ernesto De Maio che aveva inculcato nel giovane Famiglietti le idee
socialiste col quale il Nostro condusse un'acre lotta combattuta a suon di
processi e di denunzie.
La situazione
cambiò prima a Solofra poco dopo la marcia su Roma, quando - siamo nel marzo
del '23 - il sindaco Napoli rassegnò le dimissioni nelle mani del prefetto
"in omaggio alla mutata situazione italiana", mentre i subentranti
fascisti riconoscevano i meriti del suo operato.
In realtà la resa
del Napoli dinanzi all'avanzata fascista non fu così pacifica come le
dichiarazioni ufficiali vollero far apparire. Costui, come abbiamo visto
organizzatore del socialismo solofrano, fu oggetto di pesanti minacce e
costretto finanche all'espatrio. Insieme a lui emigrarono oltre 500 operai
"spinti da un moto di fierezza e indipendenza", cosa che darà un
colpo sia al fascismo che all'economia del paese, ma mentre il primo ebbe il
campo libero, l'economia, che gravitava intorno al lavoro nelle concerie, non
si rialzerà più fino ad essere completamente messa in ginocchio dalla politica
autarchica del regime. D'altronde Solofra, nonostante la realtà operaia, aveva
un esteso ceto piccolo borghese di commercianti e medi artigiani timorosi
dell'avventura operaia, ed un clero con le associazioni cattoliche di chiara
tendenza conservatrice; inoltre contribuiva a creare un pesante alone di anticlericità intorno al movimento operaio il fatto che il
Napoli fosse un ex-prete, per cui non fu molto difficile scardinare il pur
forte fronte socialista.
Diversa la
situazione a S. Agata in cui c'era una netta contrapposizione di due precisi
schieramenti, da una parte la maggioranza operaio-contadina, che gravitava
intorno all'unica chiesa, improntava le associazioni cattoliche e quella
combattenti, che deteneva il Comune, e che nel socialismo esprimeva la protesta
contro il potere patronale; dall'altra c'era la borghesia rurale e industriale
in netta minoranza.
Questa essenzialità
di contrapposte posizioni rese più acre la lotta politica quando il fascismo vi
si introdusse con la prospettiva, per la parte patronale, come abbiamo detto,
di riconquistare il potere, e per gli operai e i contadini con lo spettro dei
soprusi di quel governo che essi avevano abbattuto.
Già prima della
conquista del potere da parte dei fascisti si colgono i prodomi di ciò che sarà
in seguito lo scontro tra le due fazioni che finiscono spesso sulla stampa con
reciproche accuse, mostrando come quella conflittualità andasse molto più in là
della morbida politica seguita dai fascisti prima del '25.
La realtà santagatina, dunque, rendeva più difficile la conquista del
potere locale da parte fascista: si procedette per gradi.
La calma che
avvolse la vita solofrana dopo la presa della cittadina aiutò questo processo.
li primo atto in loco fu svolto contro il circolo Unione Operaia, considerato
"un covo di sovversivi", che fu soppresso con decreto prefettizio nel
luglio del '23 "per gravi motivi di ordine pubblico". Gli operai
confluiranno nella sezione combattenti. La defenestrazione dell'Amministrazione
socialista con la posta sotto giudizio degli amministratori potette avvenire
solo dopo il dicembre del '23, quando il Prefetto di Avellino sarà sostituito
da un Commissario regio con maggiori poteri. Si ha quindi la soppressione della
sezione socialista e della "Combattenti" di S. Agata Irpina che,
costituita da operai e contadini e gravitante nell'orbita dell'Amministrazione,
presentava una realtà ben diversa dalle altre associazioni combattentistiche.
Il movimento
combattentistico, come ha lucidamente messo in risalto Guido Dorso, fu
fluttuante tra i vari schieramenti per carenze contraddizioni e caratteristiche
proprie risentendo in special modo delle realtà in cui operava. A S. Agata la
sezione combattenti sarà una cellula socialista, a Solofra, invece, in virtù
della più ampia conformazione di quella società, avrà una costituzione
eterogenei sono dirigenti fascisti e combattivi socialisti, lo stesso
Famiglietti vi entrerà come rappresentante di S. Agata quando quella sezione
sarà soppressa -il che la rendeva meno pericolosa.
L'ibridismo del
combattentismo solofrano, come avveniva altrove, fu la debolezza di questa
associazione. Se da una parte, infatti, i socialisti trovavano nel
combattentismo i loro stessi aneliti di rinnovamento, dall'altra gli elementi
fascisti o comunque borghesi cercavano di mantenere queste esigenze nell'ambito
del sistema che intanto il fascismo andava trasformando.
Queste
contraddizioni di fondo di tutto il combattentismo meridionale, ben messe in
evidenza dal meridionalista irpino, risultano anche a Solofra. Ed anche il
movimento solofrano sfociò nella dichiarazione dì apoliticità del luglio del
'24, che fu quel "comodo velo" dietro il quale si camuffava una
intenzionale o involontaria, comunque sempre colpevole, alzata di scudi.
Ma ritorniamo al
giovane sindaco che, estromesso dal Comune, si dibatterà per ben sei armì nelle more di vari giudizi, dai quali uscirà sempre
con piena assoluzione.
Egli continuò a
seguire la vita del suo paese e gli atti dell'Amministrazione commissariale
dalle colonne del "Corriere dell'Irpinia".
Le sue note di
cronaca, coraggiose - e ciò spiega il ricorso alla sigla che le firmava - ci
hanno permesso la ricostruzione del clima, caratteristico di quel periodo, che
lacerava la vita di tante realtà italiane. "Se noi facessimo sentire la
nostra voce" dice l'articolista "appena sì verificasse uno sconcio
nell'Amministrazione del nostro Comune si potrebbe dire che facciamo la caccia
al pretesto, ma, quando come nell'attuale lagnanza, parliamo dopo due mesi che
lo sconcio perdura ai danni assoluti della cittadinanza crediamo di compiere
precisamente il nostro dovere".
Lo scontro tra il
fascismo emergente e il socialismo soccombente continua crudo anche dopo la
presa del potere, lo si conosce fino a quando sarà possibile all'opposizione
parlare, ma non si esaurirà quando il silenzio cadde sulla vita del paese.
Questi scontri spesso si trasferiranno nelle aule della giustizia per insulti,
bastonature, accuse varie, dove finivano sia gli uni che gli altri, espressione
di una lotta che si combatteva senza esclusione di colpi. A questo proposito
riportiamo il commento di un cronista solofrano nel riferire la conclusione del
processo più lungo in cui era sfociato lo scontro politico santagatino
che "da ben sei anni aveva sconvolto ed agitato gli animi di Solofra e
dell'ex Comune di S. Agata Irpina [ ... ] che per quanto sia stato un comune
microscopico è stato sempre, da tempo immemorabile, uno dei focolai più
bellicosi per duelli politici".
Siamo in grado di
seguire l'opera capillare di fascistizzazione da parte dell'Amministrazione
commissariale di S. Agata Irpina, opera importante ed essenziale in un paese ad
ampia base socialista.
Per la
"pacificazione degli animi" si addiviene ad un accordo "con i
ferrovieri tutti combattenti in modo che ogni accusa a loro carico viene a
cadere" (questa categoria era stata sempre un focolaio di agitazioni), né
mancarono azioni più precise dirette verso elementi socialisti di spicco nel
paese. à il caso dì Francesco Barbarisi segretario
del partito socialista santagatino, attivista ed ex amministratore, ma
soprattutto dotato di carisma presso gli operai. Costui è circuito e nello
stesso tempo è impaurito (era coinvolto nel processo intentato contro gli
amministratori). Aderirà al fascismo e si trasformerà in fiduciario dei
sindacati agrari a Banzano dì Montoro Superiore ove era nato nel 1881. Altri
socialisti vengono illegalmente cancellati dalle liste elettorali e riammessi
solo ìn tempi più sicuri, nel maggio del '25.
Il governo
commissariale inoltre tende a carpire fl favore della
cittadinanza quando non aumenta la tariffa daziaria che in tutti i Comuni
d'Italia aveva provocato il rincaro dei generi alimentari (la manovra poi
scemerà nel ritocco dei prezzi che saranno uniformati agli altri con lo scarto
ingiustamente assorbito dal Comune).
Nello stesso tempo
si cerca di colpire gli amministratori o i simpatizzanti e collaboratori col
chiaro intento intimidatorio e di discredito presso la massa operaia.
Il Famiglietti
intanto, ancora non libero dai processi, ha vita difficile a S. Agata, per cui
sarà costretto a trasferirsi a Napoli nel 1926 alla morte del padre "che
rappresentava per me", dirà lo stesso, "una forza contro i fascisti
che lo temevano".
Dalla città
partenopea, dove s'era sposato, verrà dì tanto in tanto a Solofra per non
perdere i contatti di lavoro. In quegli anni sarà accompagnato dai rapporti
della polizia fino al '36, quando, avendo abbandonato ogni attività politica,
sarà radiato dall'albo dei sovversivi e potrà avere la tessera pulita senza la
qualifica di sorvegliato speciale. Finivano le paure per il Nostro che per non
essere ospite indesiderato nei paesi dove il lavoro di organista lo portava era
ricorso al pericoloso espediente di una doppia tessera che usava secondo le
esigenze.
Intanto il
consolidato regime fascista aveva allentato la morsa repressiva. A S. Agata,
assorbita nel '26 nel comune di Solofra, era stata soppressa la sezione
fascista. Il commissario per la fusione dei due Comuni, amico del Famiglietti,
gli renderà facile il ritorno al paese d'origine. Sarà il Nostro costretto a
convivere come tanti con una realtà che non accettava.
D'altronde il
socialismo del Famiglietti nasceva dall'esigenza di vedere più umane le
condizioni di vita degli umili ed era un credo tanto simile a quello che si
predicava nelle chiese dove egli si era formato e dove quotidianamente lo
portava il lavoro.
La vita nel sistema
non intaccava quindi le convinzioni personali, era sostenuta dalla coscienza
della irreversibilità della situazione italiana, era riconoscimento della
sconfitta, accettazione della realtà quando ci sono forze superiori che la
governano. Il suo spirito essenzialmente concreto lo faceva rifuggire da ogni
sogno utopistico, volto invece solo a ciò che si può realizzare.
In questa luce è da
vedersi la richiesta prodotta dallo stesso su consiglio di un amico di
iscrizione all'Unione Artisti e Professionisti, che avrebbe risolto qualche suo
problema, richiesta respinta a Roma per "cattivi precedenti politici"
che egli commenterà con un "le cose non potevano andare
diversamente".
Il realismo ancora
una volta si esprimeva nella concreta lettura della realtà.
6. E siamo alla
guerra fascista allo scoppio della quale Famiglietti viene richiamato alle anni nel ruolo e col grado col quale si era congedato
nel 1919 e cioè come "sergente furiere" e viene assegnato al 2390
Battaglione territoriale mobile della 4.a Compagnia di stanza ad Avellino per
essere, dopo un congedo momentaneo ed un nuovo richiamo, nell'aprile del '41,
definitivamente posto a riposo.
L'annunzio
dell'arresto di Mussolini lo colse mentre era intento al suo lavoro e lo portò,
dopo una corsa a casa, a suggellare nell'abbraccio con i figli un complesso
sentimento che era di gioia per la liberazione dalle catene del regime,
offuscata dal triste presentimento di futuri tempi calamitosi. E questi
verranno il 21 settembre quando in un mezzogiorno dì sole la cittadina darà il
suo contributo di vittime civili e di distruzioni alla cacciata del nemico.
Intanto lentamente
in Irpinia riprendeva la vita democratica e ancora pìù
lento ed incerto era il processo di defascistizzazione che acquisterà maggiore
incidenza, e solo per un breve periodo, immediatamente dopo l'insediamento, il
1° ottobre 1943, del governo militare alleato nel capoluogo irpino. Il maggiore
americano Sisson, infatti, nel prendere contatto con
gli elementi antifascisti locali, che erano confluiti nel Fronte di Liberazione
Nazionale, dove prevaleva il Partito d'Azione costituitosi intorno alla figura
più rappresentativa dell'antifascismo irpino, Guido Dorso, accetta, in un primo
momento, il piano dorsiano di un'ampia estromissione
dai gangli amministrativi e politici degli esponenti fascisti che ancora erano
al loro posto dopo il 25 luglio.
In conseguenza di
questo iniziale indirizzo dei governo alleato il 7 dicembre del 1943 ci fu la
deposizione del podestà di Solofra e la nomina di un Commissario Civile
socialista, nella persona di quel Vincenzo Napoli che abbiamo conosciuto
protagonista della vita solofrana all'inizio degli anni venti. Egli scelse come
suo collaboratore il Famiglietti affidandogli la responsabilità dell'Ufficio
del "tesseramento generi alimentari", quell'Ufficio che si era reso
necessario per difendere la popolazione nella complessa situazione alimentare
determinata con l'invasione alleata. Alla maggiore richiesta dei consumi
provocata dalle truppe di occupazione, a favore delle quali giocava un positivo
cambio, corrispondeva la scarsità di merci e il loro dìfíicile
approvvigionamento col conseguente ricorso al mercato nero.
In seguito, ma non
più tardi della fine di dicembre di quell'anno, il governo alleato ad Avellino
si assesterà su di una linea più moderata avvicinandosi agli esponenti liberali
della politica prefascista perché nel frattempo le posizioni dorsiane si erano andate irrigidendosi in un radicalismo
considerato pericoloso da chi voleva realizzare la ricostruzione della libertà
nella salvaguardia della continuità delle istituzioni.
Nonostante
l'arretramento moderato del Comando alleato - e questo è un esempio dì quella
che sarà chiamata "discontinua tolleranza anglo-americana" - il
commissario socialista solofrano sarà confermato dal prefetto che conferiva al
Famiglietti l'incarico di assessore nella Giunta Comunale dì nomina prefettizia
e la direzione dell'Ufficio di Stato Civile, nonché accettava la proposta fatta
dal medesimo comando alleato di nominare lo stesso dirigente della Sottosezione
dell'Ufficio Provinciale del Lavoro istituito nell'aprile dei
La situazione
cambiò nell'aprile del 1948 quando si profilò il pericolo comunista determinato
dal chiaro asservimento dei partiti di sinistra alle direttive dì Mosca. Allora
le forze di centro, forti dell'appoggio popolare, tesero a purificare le
istituzioni da elementi di sinistra. Fu istituita quella famosa
"Commissione ministeriale" i cui poteri insindacabili allontaneranno
dagli uffici pubblici impiegati o dirigenti provvisori con precedenti
socialisti o comunisti. Il Famiglietti sarà licenziato dall'Ufficio del Lavoro
e reintegrato solo dopo quindici anni in un clima politico migliore.
A questo punto ì
ricordi sì interrompono nella loro successione cronologica per lasciare alla
memoria lo spazio di soffermarsi su figure di amici o conoscenti che emergono
dalla massa indistinta di coloro che partecipavano ai riti religiosi che il
Nostro accompagnava con la sua musica: musicisti, oratori sacri, monsignori,
vescovi o semplicemente i "signori" che lo ospitavano dopo la
funzione religiosa, come era d'uso.
Corona, dunque,
queste memorie una ricca serie di episodi legati all'attività professionale dei
Famiglietti che lo stesso racconta con l'espresso intento di far conoscere
"i costumi del suo tempo" quando nelle zone povere delle province
interne del Meridione "regnava l'analfabetismo in larga misura e la
massima parte della popolazione artigiana ed agricola viveva tra l'ingenuità e
la rassegnazione ricca solo di una fede incrollabile". Episodi che
dipingono momenti di vita provinciale e paesana fatta di semplici cose che
permettono il pulsare di quella vita. E questa è permeata tutta di quella
"fede incrollabile" che raggiunge nell'atto ultimo della vita, la
morte, al suo acme fino al punto che il fedele vede nel suo funerale il
suggello della propria esistenza quasi un obbligato passaggio di frontiera.
Veniamo a contatto
di quel grosso fenomeno antropologico culturale che furono le feste religiose,
sia nei loro momenti liturgici che nelle manifestazioni in piazza. Siamo in un
tempo in cui queste sono ancora la specifica manifestazione della religiosità
popolare fatta di superstizioso abbandono fideistico alla divinità che domina
ed è preposta alla vita del singolo e della comunità - ma rappresentano pure un
momento importante come occasione inglobante esigenze civili e commerciali, e
soprattutto psicologiche per dimenticare, in un giro tra le vie addobbate, tra
le note del complesso bandistico o nello scoppiettante tributo dei fuochi
pirotecnici, i problemi e i momenti tristi che la vita non lesina a nessuno.
E la chiesa era il
fulcro intorno al quale ruotava non solo l'intera vita dì ognuno ma quella
della cittadina tutta. Qui il Famiglietti accompagnava con la musica momenti di
vita, di gioia o di tristezza, ma essenziali e come tali carichi di quella
forza coagulante che ingloba in sé tutti gli elementi che vi prendono parte.
Per questo motivo egli diveniva di ogni comunità o famiglia parte della stessa
solidità affettiva. E una tale esperienza è un privilegio che non capita a
molti.
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Da A.
A. Famiglietti, I miei ricordi, Solofra, 1989.
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