Famiglie solofrane

 

Fasano

 

Antico ceppo solofrano il primo che ha dato lustro a Solofra con i tre medici del Trecento, l’unico che si fregiava del titolo di nobilis legato ad un riconoscimento angioino che lo incartò sul fondo Arco ai confini con Montoro.

Proveniva da Fasanella del Cilento, distrutta da Manfredi al tempo della Congiura contro di lui. Manfredi tolse a Pandolfo di Fasanella la baronia, che poi gli fu restituita da Carlo I. Il ceppo si insediò nel salernitano (Giffoni-Salerno-Montoro-Solofra) sotto la protezione di Carlo d’Angiò che lo remunerò con suffeudi in tutto il salernitano. A Solofra ebbe l’incartamento su un possedimento del fondovalle la masseria dell’Arco Torre all’entrata della conca.

Intorno a questa famiglia si intensificarono i rapporti con il centro mercantile di Salerno, di cui Bartolomeo possedeva i diritti. Si ha menzione di un Giovanni e Guglielmo de Fasana possessori tra Montoro e Solofra (chiancarola e galdo), quest’ultimo "fondachiere del sale" del Principato Ultra. All’inizio del Trecento era al primo posto nell’elenco delle famiglie "civili" di Solofra (1329).

Di questa famiglia dice B. Candida Gonzaga (Memoria delle Famiglie nobili delle province meridionali, Napoli, 1875, V-VI, p. 85) "ha goduto nobiltà in Sicilia, in Solofra, in Somma vesuviana"; "è famiglia originaria di Solofra"; ha per stemma "un albero in fiore e due ragazzi affrontati che colgono dall’albero di azzurro al fagiano fermo nel suo colore" e che "godeva del privilegio di portare la mazza del Pallio nella festa del Corpus Domini". Parla di tale famiglia G. Crollalanza (Dizionario delle famiglie nobili, Pisa, 1886, s. v.)  e Beltrano (Breve descrittione del Regno di Napoli, Napoli, 1640, p. 238).

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I Fasano del Trecento

Riccardo, Andrea, Niccolò

 

Nel Trecento si conoscono tre medici - Riccardo, Andrea suo figlio e Niccolò suo nipote (1360) - che permisero a Solofra di aprirsi al ricco ed emergente mercato napoletano. La loro vicenda percorse tutto il secolo accentrandosi intorno a Riccardo, che studiò a Salerno dove fu medico di Carlo II, principe di questa città, fu amico di re Roberto che seguì nel 1318 in Provenza (G. M. Monti, Da Carlo d’Angiò a Roberto d’Angiò, ASPN, VII, 1934, p. 471) e membro del Consiglio ducale quando Roberto fu duca di Calabria. Fu molto noto come professore, carica che lasciò nel 1319 (Reg. Ang., n. 223, 3, 10 marzo 1319) per quella di Protomedico del Regno. Quando nel 1328 Napoli fu minacciata da Ludovico il Bavaro, il Fasano, insieme a Bartolomeo di Capua e ad altri dottori e studenti contribuì alle necessità della Corte. Morì nel 1333. Possedeva una terra "in casali Carpignani de pertinentiis Neapolis" che gli permise, come possessore napoletano di godere i privilegi che questa città dava ai suoi cittadini. Fu sempre chiamato, anche quando non insegnava più, "medicinalis scientia professor" (Reg. ang., n. 223, c2t, 3).

Riccardo visse nel periodo in cui la Scuola medica salernitana era al centro di preoccupazioni, odi, gelosie e di timori per il consolidarsi dello studio di Napoli, di cui egli stesso fu propugnatore e organizzatore. Infatti seguì a Napoli Carlo II e sostenne il re nell’opera di sviluppo dello studio napoletano di cui fu rettore nel 1313 e insegnante così noto da essere chiamato "professore" anche dopo aver lasciato questa carica per quella di Protomedico. Come tale potette completare la riforma degli studi medici a Napoli, della professione medica e regolare il suo esercizio. Nello stesso tempo a Napoli seguiva da vicino le vicende del regno. I Registri Angioini danno una traccia delle solenni proclamazioni di dottorati degli studenti fatte da lui, il medico Riccardo come era semplicemente chiamato, in qualità di Protomedico del Regno. Tra queste ci fu quella di Niccolò da Reggio (Reg. ang. 1319).

A Riccardo gli Angioini concessero benemerenze e privilegi nel commercio della lana e del grano che la sua famiglia svolgeva con i centri della Puglia e di cui godettero tutti i solofrani che si recavano a commerciare in quella regione. Per questo motivo dietro a questo commercio ci fu un sostanzioso trasferimento di famiglie dalla Puglia a Solofra.

 

Il figlio Andrea e il nipote Niccolò furono medici della corte angioina tenuti in grande considerazione. Prestarono la loro opera a re Ladislao seguendolo anche nei suoi spostamenti. Ladislao confermò per la società solofrana e per le sue attività importanti immunità nel 1392 e privilegi personali a Nicolò che ebbe l’esenzione dai tributi sui suoi beni posseduti a Solofra sulla masseria dell’Arco (1409 e 1413) Montella e in Sicilia. Particolarmente preziosi furono i privilegi goduti dal commercio della lana e delle pelli, tra cui il libero passaggio di alcuni passi, tanto che l’Universitas esonerò la sua famiglia dai tributi locali con pubblico atto del notaio "Antonio" di cui ci sono traccia anche negli Statuti.

 

XV

 

In questo secolo si ha notizia di un P. Angelo, "Capitaneo" di Solofra (1458) e del ven. Andrea, archipresbitero di S. Angelo, che ebbe nel 1487 da Giovanni Zurlo la committenza dei suoi beni ecclesiastici, incarico di rappresentanza che la famiglia portò anche in seguito.

Altri membri sono:

I fratelli Agiasio, Ladislao, Ercole e Gioe figli di Alberiano, gestori della Cappella di San Filippo e Giacomo in S. Angelo.

Biagio senior e junior, entrambi dottori in legge, il figlio di quest'ultimo, Valerio, dott. fisico, che continua la tradizione di famiglia.

Giovan Tommaso, figlio di Valerio, fu uomo di lettere e politico, fece parte del Collegio napoletano. Quando Solofra in questo secolo diventò demanio, per l'estinzione dei Filangieri, si batté per mantenere questo stato e conservare i privilegi legati ad esso. Giovanni Tommaso, a nome del popolo, si reca in Spagna a Pamplona per porgere una supplica all’imperatore Carlo V per patrocinare il mantenimento dell’autonomia, senza però ottenerla. Solofra infatti venne venduta al Barone di Serino Ludovico della Tolfa inviso ai solofrani.

 

Francesco Domenico fu Cappellano di Camera del re e dottore in Teologia (Scipione Ammirato in Famiglie nobili napoletane (I e II) parla di questo personaggio.

 

Andrea fu archipresbitero di S. Angelo, gestì i beni delle chiese di cui era rettore Giovanni Zurlo, fu archipresbitero di S. Andrea (1487). Morì nel 1500.

 

XVI 

In questo secolo il ceppo ebbe i fratelli Galeno, Alberiano, Ortensio, G. Paolo, i sacerdoti Valerio e Cesare, il notaio Jacobo Antonio.

Aveva beni a canale, alla platea e ai Balsami dove erano ubicate le loro abitazioni. Possedeva diverse botteghe, al fiume, ai Burrelli, una conceria ai Balsami (Valerio, Adante, Andrea), era impegnato nell’industria armentizia con rapporti con i centri pastorali dell’Irpinia, nella produzione del vino, della carne salata e della calce.

Tra i suoi rappresentanti da citare: Valerio - fisico - che continua una tradizione familiare; e che fece parte della commissione per gli Statuti insieme a Lanzaleo.

Molti sono nel ceto ecclesiale come gestori della Cappella di famiglia (Marcello, Cesare, Ippolito).

Andrea, figlio di Giovanni Tommaso e Porzia Ronca, fu canonico della Collegiata, morì nel 1603.

La politica delle alleanze familiari legò questo ceppo a famiglie napoletane dove un ramo risiedeva, ed a famiglie commerciali solofrane come i Vigilante (Alberiano sposò Lisa, Lisabella figlia di Agiasio sposò Altobello), ai Ronca (Vincenzo sposò Giulia), ai Petrone, ai Papa. Il ricordo dell’origine di questa famiglia si trova nell’appellativo dato a un suo membro, Lorenzo chiamato di Fasanella (1521).

In casa Fasano c'era una Cappella dedicata alla Madonna dell’Arco.

Il ramo interessato alla gestione della Badia di S. Maria di Vietri.

Alberico (Alberino o Alberiano) è marito di Polita Moscato di Serino. Manda i figli alla scuola del notaio Andrea Alfano. Suoi figli sono: Giovanni Benedetto (impara a lavorare le scarpe nella bottega di Nicola Garzilli), Vincenzo, Galieno (sposa una donna di Amalfi, ha Gio Tommaso col figlio Basilio, Ortensio, Agiasio), Giosia, Cesare (sacerdote), Grasso, Giovanni Tommaso.

Giovanni Benedetto è detto di Napoli, commercia animali, anche con Cesare (58), col fratello Giovanni Tommaso fa costruire un condotto d’acqua per la conceria e assume Angelo Gentile da Montefusco per l’arte dei calzarelli e menare asini. Si aggiudica la gabella della farina (34). Basilio e Tommaso commerciano buoi (1581).

Galieno di Alberico sposa una donna di Amalfi, ha Gio Tommaso col figlio Basilio, Ortensio, Agiasio.

Ortensio di Valerio sposa Sebastiana Ronca, è molto ricco in grado di prestare del denaro al feudatario Orsini che gli consegna l’Abbazia di Santa Maria di Vietri estensibile agli eredi, Valerio e Ortensio (B7093, 1574-75, f. 18).

 

XVII

Un ramo importante: una famiglia di aromatari. L’ambiente in cui si formarono Gabriele e Tommaso Fasano

Alessandro di Ettore Emilio seniore, sposa nel 1627 Porzia Fasano (di Nicola) ha Milio Marcello 1628, Gio Camillo nel 1631 (speziale), Giovanni 1634, Innocenza 1634, poi sposa Livia Morena (di Ambrosio e di Giuditta Giliberti, erede di Onofrio), ha Felice 1637, Giovanni Battista (medico), Filippo (1640-1694, nella lite della comunità con gli Orsini capeggiò la parte cittadina), Giovanni Tommaso (1646, pittore detto napoletano perchè abitante a Napoli),  Innocenza (33, nel 1657 sposa Gio Camillo Morena), Gio Grazio, Pietro, Giuseppe (sacerdote, morì nel 1646, fu beneficiario della Cappella di Filippo e Giacomo), Livia o Lilla (sposa Costantino Ronca, testamento 1686 ASA, B6735, f. 194), Bartolomeo nel 1641 (si ritira dal Consiglio dell’Università nella lotta contro l’Orsini), Fabrizio nel 1642 e Gabriele Michele Angelo nel 1645 (sacerdote e abate, visse a Napoli, fu autore de Lo Tasso napoletano, traduzione in dialetto napoletano della Gerusalemme Liberata). Ha la spezeria (rerum aromantia et medicina). Innocenza e il sacerdote Gabriele vivono con la famiglia di Costantino Ronca. La famiglia ha rapporti Giovanni Camillo e Gio Grazio Morena, fratelli di Livia (Ferdinando ne è l’erede perché nipote).

Nel 1685 (B6687, f. 31) Alessandro Ronca (marito di Laura Cammarota) col figlio Carlo e il nipote Alessandro dà la propria spezeria ai Fasano per estinguere un debito.

 

Due fratelli importanti

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Gabriele, sacerdote e abate, rettore dell'Abbazia di S. Maria di Vietri ed autore de Lo Tasso napoletano, traduzione in dialetto napoletano della Gerusalemme Liberata.

Tentativo di Salvatore Milano di attribuire la nascita di Gabriele Fasano a Vietri.

Studio che dimostra l’origine solofrana di questo studioso.

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Giovanni Tommaso fu pittore solofrano-napoletano, morì a Napoli. Come il fratello Gabriele, fu sfortunato, poiché gli studiosi non gli riconoscono il luogo di nascita.

Vedi chi è Giovanni Tommaso.

 

 

Si ricordano ancora:

Ignazio, abate dei Benedettini del monastero della Madonna di Andria e poi di Montecassino.

Ortensio, canonico della Collegiata dal 1637 al 1685.

 

 

XVIII

 

Il catasto onciario del 1754 recensisce

 

Balsami

Basilio di 56 anni sposato con Vittoria Maffei. Vive con i figli Filippo Antonio, battargento di 35 anni, sposato con Angostina Giliberti (figli Carlo Antonio e Giovanni); e Donato, battargento di 32 anni sposato con Mariangela Ferrazzano (figli Michele, Felice e Basilio). Vivono con lui ancora la cognata Lucrezia, vedova del fratello Gioacchino con i figli Tommaso e Rubino. Abita in una casa propria con giardino.

 

 

XIX

 

Della famiglia dei Balsami si ha menzione di:

Filippo (moglie Caterina Petrone e figlio Ortensio).

Felice (moglie Concetta Grassi) e figli Donato (teologo della Collegiata), Michelangelo, Giuseppe (primicerio), Paolo (fisico e matematico).

Giuseppe nacque il 21 marzo del 1811, fu primicerio per un lungo periodo (dal 1845 al 1881) che attraversò vasti rivolgimenti, tra cui la costituzione del Regno d'Italia, e vide nei primi anni uno scompiglio nel clero. Sentì il peso della diminuzione del clero e della perdita dei beni ecclesiastici che furono venduti all'asta. Morì il 16 aprile del 1881.

 Nicola, figlio di Carmine Antonio e di Nicoletta Vigilante, nato nel 1775, fu canonico della Collegiata dal 1802 al 1816, data della sua morte.

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