La costruzione della ferrovia a Solofra

 

Documenti

 

 

Gli interventi dell’Onorevole Brescia-Morra alla Camera dei Deputati per la costruzione del tratto di Ferrovia da San Severino ad Avellino:

tornata del:

11 maggio 1871; 21 dicembre 1871; 8 maggio 1872; 12 maggio 1872; 20 giugno 1872; 20 dicembre 1873.

 

Lettera inviata all’on. Brescia-Morra

 

Comune di Solofra (16 maggio 1871)

 

Onorevole signor barone. Dal resoconto della tornata parlamentare del dì 11 stante pervenuto a questa Amministrazione si è avuta la piacevole opportunità di rilevare il modo e l’impegno con cui la S. V. ha saputo svolgere la sua interrogazione al Signor Ministro pei Lavori Pubblici circa la nostra ferrovia. I sottoscritti quindi sia in proprio nome, che a nome dell’intera popolazione solofrano, nel dimostrasene soddisfattissimi, e di stima, non tralasciano di dichiarare che quantunque gli schiarimenti dati sul proposito dell’Onorevolissimo Ministro informassero un carattere vero e schietto,pure occorre che la S. V. si dia la pazienza di fargliene ricordo di tanto in tanto. Diego Vitale sindaco, Sabino Pirolo consigliere, Aurelio Giliberti assessore, Costantino Vigilante consigliere, Nicola Grimaldi, Bartolomeo Vigilante consigliere, De Vita Vincenzo consigliere, Bartolomeo di Donato, Alessandro Ronca Capitano della Guardia Nazionale, Domenico Guarino consigliere, S. Vigilante, Luigi Ronca assessore, Cesare Ronca consigliere, dott. Michele Giliberti, dottor fisico Michele Napoli, dottor Lorenzo Moscati, Giacinto Landolfi, Pompilio Napoli, Pompeo Napoli, Alessandro Mari, Bernardino Napoli, Lorenzo Napoli, Valerio Giannattasio capitano comandante, Gaetano Guarino, Giuseppe Pellegrino Segretario Comunale.

 

 

 

Municipio di Solofra (21 maggio 1872).

Oggetto: Ferrovia Laura-Avellino. All’onorevole Signor Barone Brescia-Morra. Deputato al Parlamento nazionale. Roma.

 

 

Al seguito della massima pubblicità data al resoconto della Tornata della Camera del 12 stante relativamente alla destinazione di altre somme  - oltre le  600.000 -  abbisognevoli per veder compiuti a senso della Legge 1870, i lavori di questo Tronco di Ferrovia, si è veramente ammirata e la fermezza con cui la S. V. Ill.ma ne ha sostenuta la necessità, il dovere e la convenienza. E questa popolazione solofrano, entusiasmata dalla certezza di vedere ormai appagato il suo desiderio, ha esternati vivi sensi di tripudio e di gratitudine verso la V. S. Ill.ma come suo legittimo ed operoso rappresentante nel Parlamento Nazionale, rimostranze queste che con attestato di profonda stima i sottoscritti componenti questa giunta municipale presentano alla S. V. Ill.ma, come la vera sincera espressione dell’animo dei cittadini solofrani. Firmato: Diego Vitale sindaco. Vigilante Costantino assessore. Sabino Pirolo, assessore, Cesare Ronca assessore.

 

 

 

 

Camera di Commercio di Avellino (26 giugno 1872)  

 

 

L’apertura del tronco ferroviario in Avellino.

Da Avellino a Solofra.

Avellino 1° aprile.

 

da “L’Eco del Sabato”, periodico settimanale del 10 aprile 1879.

 

 

Avellino ha tutto imbandierato; al palazzo della Prefettura, al palazzo Municipale, sui balconi sventolano le bandiere tricolori: bandiere tricolori per tutta la città, bandiere tricolori attaccate ai pali del telegrafo fino alla Stazione. Le carrozze della città vanno e vengono, scappano e ritornano per riprender gente; la trombetta del tram omnibus suona, tutti salgono sui tramway, anch’io co’ miei amici. Arriviamo alla Stazione, ove una folla immensa, indescrivibile, attende il primo treno proveniente da Napoli, e che dovea giungere alle ore 10,31’. Si attende, i minuti sembrano ore; incominciano i motti dei giovanotti, i sorridi delle fanciulle. Ognuno dice la sua, ognuno manifesta un’opinione sua propria. Quanti cafoni guardano stupefatti, quante forosette coi loro corpetti al dì di festa fanno di sé bella mostra vicino ai loro fidanzati presenti ed in prospettiva di divenir tali; quanti operai parlano tra loro e vogliono fare sfoggio di tutta la loro scienza in materia ferroviaria. ‘Proprio bello!, dice uno, “questa macchina è fatta così e così, dice un altro, “questa stazione mi dà infanzia di quella d’Alessandria, aggiunge un terzo, che dava di vedere con quelle parole di aver fatto il militare. Buh! Ti rìting ti ri ting. S’ode un colpo, ed un rumore come di vetri andati in frantumi. Bella! il treno s’inaugura con una rottura! È forse qualche iettatore, ch’entra nella stazione. Sono le parole di tutti, si ride, si scherza, si motteggia, le signorine avellinesi col loro cappellino in moda, vestite con semplicità, con gusto ed eleganza, passeggiano di qua e di là, guardando, sorridendo, saettando coi loro occhi più di quei raggi di sole, da cui difendansi coi loro ombrellini. E i giovanotti dei più chics loro stanno vicino ed offrono a chi  la mano per discendere dal tramway, a chi il braccio pel passeggio, a chi un fiore, che hanno svelto chi sa da qual pianta. Anche le signore e signorine dei paesi rurali si veggono fra quel panteon di gente, attirate dalla novità della cosa, ed anche dalla giornata, ch’è bellissima. Chi sa quanti non avevano sentito ancora il fischio della locomotiva! quanti forse non l’hanno veduta, e sentendo parlar di macchine a vapore e delle loro meraviglie, chi sa che cosa s’avranno immaginato, e come! Paiono tutti contenti, ed era contento anch’io co’ miei amici. Mo’ viene! S’ode una voce sola, e la gente s’urta, si spinge, rincula; e le guardie coi modi cortesi fanno fare due ale una a dritta, l’altra a sinistra del vagone che doveva giungere.

A sinistra, ch’era l’uscita della Stazione, v’era molta gente colta, i più sono in tubo e detti. Tutti gli alunni del Liceo Colletta, molti funzionari giudiziari ed amministrativi, impiegati di Prefettura, il Capitano dei Carabinieri, la Società operaia di Avellino con la bandiera; la Deputazione Provinciale rappresentata dai signori Di Marzo e de Cristofaro non so se ufficialmente o no, tutti questi io ho veduto a sinistra; ed a dritta quisque de populo, sebbene più lungi si stendevano certe coppie, che parlavano a loro libertà senza darsi pensiero del resto, e passeggiavano, e poi si fermavano e guardavano contente di quel quarto d’ora felice.

Sono circa le 11: la locomotiva non giunge. Cominciano i perché, l’ansia è giunta al colmo, ma ecco poco lungi si vede una nube di fumo nerastro, e quindi s’ode il fischio, Oh! il fischio! eccolo, eccolo! e tutti a battere le mani, a gridare Evviva; a muovere i fazzoletti: suona la banda; il treno giunge adornato di grandi mazzi di fiori. Un applauso generale lo saluta; alcuni attendono che smontasse di lì il Segretario generale del Ministro dei Lavori Pubblici. Ma quell’eccellenza ministeriale non si vede, invece ne smontano il Sindaco ed il Presidente della Società operaia, ch’erano partiti col primo treno per ritornare con questo. La Società attornia il Presidente, i consiglieri ed i gentiluomini circondano le loro belle, le signore e signorine accompagnate dai mariti e dai fratelli circondano le carrozze; i cocchieri fanno sentire lo schioppettìo della scuoiada, il tramway fa sentire la sua trombetta da Venerdì santo, ed ecco tutti alla volta di Avellino.

Io rimasi; volea fare una gita di piacere a Solofra con alcuni miei amici col treno delle 12,15. Detto, fatto. Era arrivata l’ora; salimmo sul vagone e via. Il fischio della locomotiva addimostra ch’è partita. È partita, e in pochi minuti siamo a Serino, ove troviamo altra folla plaudente, più di contadini e contadine curiose, meravigliate di quello che vedevamo, che di gentiluomini; questi stavano in Avellino, e molti altri sopra l’altro treno, là fermato, stavano in procinto di partire, Ci si disse che tutto il Municipio insieme al Sindaco sig. Cesare Mariconda stava in quel vagone per andare in Avellino, accompagnato dalla Banda musicale, di cui sentimmo vecchie polke e valzer eccitanti.

Si riparte; ci immettiamo nel tunnel: tutto è oscuro. E se questo durasse! Ecco un pensiero che come un lampo, si affaccia alla mia mente. L’uomo è fatto per la luce; la luce lo anima, gli dà vita,brio, pensiero: il buio lo opprime come una mano di piombo preme anche sulla intelligenza, lo scoraggia, gl’infonde un senso di paura, di scoramento, di morte. Ma ecco la luce! un sospirone esce dai nostri petti, ci sentiamo come alleggeriti da un peso enorme. Siamo a Solofra, Scendiamo; passiamo per quella via che dalla Stazione mena al teatro della città. Un brecciame fitto, minuto, di pietre aguzze ci rompe gli stivaletti e le gambe. Oh!, dicemmo, non potrebbe il Sindaco provvedere alle gambe e agli stivali dei passeggeri col far mettere un po’ di terra su queste pietre? Ci fu detto ch’era una via aperta da pochi giorni, che si sarebbe provveduto. Utinam! Lo stomaco chiedeva il suo tributo e noi cercammo di daglielo. L’appetito si facea sentire. Andammo in cerca di un restaurant, di un luogo qualunque dove si potesse mangiare. Ci fu additato un tal Cristofaro. Entrammo: Cristofaro stava lì col suo naso aquilino, col viso rosso, come un peparuolo, con quel napoleone maestoso. Egli bestemmiava: perché? Perché aveva dovuto fare un pranzo alla casina, cioè al Consiglio comunale di Solofra, a spese proprie dei consiglieri, non della cassa comunale, come si fa in parecchi Comuni; e frattanto da 15 persone per quante avea avuto l’incarico, erano diventate 24. E bestemmiava il poveretto perché non avea che dar loro da mangiare. Fu un brutto annuncio per noi. Ad ogni modo ci acconciammo per un piatto di maccheroni, un po’ di carne al forno, un po’ di prosciutto, come ci promise.

Aspettammo più di un’ora, finalmente ci venne presentato il pane, ed il pane sapea di terra, sotto i denti facea una brutta sensazione; ci si disse ch’era di grano macinato in un mulino di fresco ammolato; ed è una: ci fu portato un piatto di orecchie di prete, erano crude; non importa; l’appetito non guarda a nulla; e son due. In capo a pochi minuti il cameriere annuncia che carne non ce n’era. Ci acconciammo col prosciutto e un pezzo di capretto, capitatoci non so come. Chiedemmo l’insalata; l’insalata venne, ma piena di terra; e sono quattro. Con tutto ciò il vino era ottimo e fece mettere in allegria, tanto più che il povero Cristoforo non ci avea colpa; ci avea colpa la casina, la festa ed i forestieri ch’erano molti e non si era preveduto che sarebbero venuti tanto. Di fatti i più erano venuti come una gita di piacere e non mancarono delle signore.

La città di Solofra presentava ieri un aspetto ridente; il popolo era sinceramente contento. Aveva veduto avverarsi il sogno; e quel sogno avverato significava, industria, commercio, ricchezza per Solofra. Suonava la banda per una tale memorazione e noi andammo da diversi amici a congratularci seco loro: cercammo dei fiori e ce ne furono dati. Era gioia che veniva dal fondo del cuore, e gli abitanti la vollero addimostrare la sera con fiaccole e grida di evviva.

Viva Solofra gridarono alcuni atripaldesi e altri forestieri: Viva Atripalda! Viva Avellino! ci fu risposto. E quel grido fu ripetuto le migliaia di volte fino alla stazione, ove ci accompagnò tutto il popolo festante, preceduto dal funzionante Sindaco signor Cesare Ronghi, dal Vice-pretore signor Pirolo Sabino, e seguito dalla Banda musicale di Serino. Là trovammo tutti i signori che dovevano far ritorno in Avellino, parecchi consiglieri municipali di Solofra e fra gli altri l’assessore signor Vigilante. Viva il signor Ronghi. Viva il capo Grimaldi!. Si udì molte volte, ma questi rispondevano: Viva l’Italia, Viva Umberto! Viva Margherita! Viva il Principe di Napoli! Viva Garibaldi! ed il popolo faceva eco.

Attendemmo con impazienza il treno, parve che ritardasse, finalmente alle 8,40 venne e noi tutti ci riversammo sul vagone. Eravamo venuti in seconda classe; volemmo andare in terza; ma… ma, non so come, ci trovammo in prima; in quel luogo invece di otto persone c’erano più di sedici atripaldesi. Fu un baccano indescrivibile; una certa confusione; povero chi non si fosse trovato il primo a salire: le carrozze mancavano perché la folla era immensa. Il Sindaco di Solofra, col Vicepretore e col Segretario municipale, insieme alla banda, era con noi nella locomotiva. La musica ci rinfrancava con le sue armonie di tratto in tratto.

Giungemmo in Avellino; oltre di una buona illuminazione tutta a gareelles per tutta la città, e che faceva un ottimo effetto, nella Piazza della Libertà; non v’era altro. Ci si disse che c’era una soirèe al Palazzo della Prefettura; e difatti parecchi cilindri sul capo di persone più o meno governative, più o meno ufficiali, si vedevano, segno che dovevano fare atto di presenza alla Soirèe […].       

 

 

 

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