La costruzione della ferrovia a Solofra
Documenti
Gli
interventi dell’Onorevole Brescia-Morra alla Camera dei Deputati per la
costruzione del tratto di Ferrovia da San Severino ad
Avellino:
tornata del:
11 maggio 1871; 21 dicembre 1871; 8 maggio 1872; 12 maggio 1872;
20 giugno 1872; 20 dicembre 1873.
Lettera
inviata all’on. Brescia-Morra
Comune di
Solofra (16 maggio 1871)
Onorevole signor barone. Dal resoconto della tornata parlamentare
del dì 11 stante pervenuto a questa Amministrazione
si è avuta la piacevole opportunità di rilevare il modo e l’impegno con cui |
Municipio di
Solofra (21 maggio 1872).
Oggetto: Ferrovia Laura-Avellino. All’onorevole Signor Barone Brescia-Morra. Deputato al Parlamento nazionale. Roma.
Al seguito della massima pubblicità data al resoconto della Tornata
della Camera del 12 stante relativamente alla
destinazione di altre somme - oltre
le 600.000 - abbisognevoli per
veder compiuti a senso della Legge 1870, i lavori di questo Tronco di
Ferrovia, si è veramente ammirata e la fermezza con cui |
Camera di
Commercio di Avellino (26 giugno 1872)
L’apertura del tronco ferroviario in Avellino.
Da Avellino a Solofra.
Avellino 1° aprile.
da “L’Eco del Sabato”, periodico settimanale del 10 aprile 1879.
Avellino ha tutto imbandierato; al palazzo della Prefettura, al
palazzo Municipale, sui balconi sventolano le bandiere tricolori: bandiere
tricolori per tutta la città, bandiere tricolori attaccate
ai pali del telegrafo fino alla Stazione. Le carrozze della città vanno e
vengono, scappano e ritornano per riprender gente; la trombetta del tram
omnibus suona, tutti salgono sui tramway, anch’io co’ miei amici. Arriviamo alla Stazione, ove una folla
immensa, indescrivibile, attende il primo treno proveniente da Napoli, e che dovea giungere alle ore 10,31’.
Si attende, i minuti sembrano ore; incominciano i motti dei giovanotti, i sorridi delle fanciulle. Ognuno dice la sua, ognuno
manifesta un’opinione sua propria. Quanti cafoni guardano stupefatti, quante forosette coi loro
corpetti al dì di festa fanno di sé bella mostra vicino ai loro fidanzati
presenti ed in prospettiva di divenir tali; quanti operai parlano tra loro e
vogliono fare sfoggio di tutta la loro scienza in materia ferroviaria. ‘Proprio bello!, dice uno, “questa macchina è fatta così e
così, dice un altro, “questa stazione mi dà infanzia di quella d’Alessandria,
aggiunge un terzo, che dava di vedere con quelle parole di aver fatto il
militare. Buh! Ti rìting
ti ri ting. S’ode un
colpo, ed un rumore come di vetri andati in frantumi. Bella! il treno s’inaugura con una rottura! È forse qualche
iettatore, ch’entra nella stazione. Sono le parole
di tutti, si ride, si scherza, si motteggia, le signorine avellinesi
col loro cappellino in moda, vestite con semplicità, con gusto ed eleganza,
passeggiano di qua e di là, guardando, sorridendo, saettando coi loro occhi più di quei raggi di sole, da cui
difendansi coi loro ombrellini. E i giovanotti dei più chics
loro stanno vicino ed offrono a chi la mano per discendere dal tramway, a chi il braccio pel passeggio, a chi un fiore,
che hanno svelto chi sa da qual pianta. Anche le signore e signorine dei
paesi rurali si veggono fra quel panteon di gente,
attirate dalla novità della cosa, ed anche dalla giornata, ch’è
bellissima. Chi sa quanti non avevano sentito ancora il fischio della
locomotiva! quanti forse non l’hanno veduta, e
sentendo parlar di macchine a vapore e delle loro meraviglie, chi sa che cosa
s’avranno immaginato, e come! Paiono tutti contenti, ed era
contento anch’io co’ miei amici. Mo’ viene! S’ode
una voce sola, e la gente s’urta, si spinge, rincula; e le guardie coi modi cortesi fanno fare due ale
una a dritta, l’altra a sinistra del vagone che doveva giungere. A sinistra, ch’era l’uscita della Stazione,
v’era molta gente colta, i più sono in tubo e detti. Tutti gli alunni del
Liceo Colletta, molti funzionari giudiziari ed amministrativi, impiegati di
Prefettura, il Capitano dei Carabinieri, Sono circa le 11: la locomotiva non giunge. Cominciano i perché,
l’ansia è giunta al colmo, ma ecco poco lungi si vede una nube di fumo
nerastro, e quindi s’ode il fischio, Oh! il fischio!
eccolo, eccolo! e tutti a
battere le mani, a gridare Evviva; a muovere i fazzoletti: suona la banda; il
treno giunge adornato di grandi mazzi di fiori. Un applauso generale lo
saluta; alcuni attendono che smontasse di lì il Segretario generale del
Ministro dei Lavori Pubblici. Ma quell’eccellenza
ministeriale non si vede, invece ne smontano il Sindaco ed il Presidente
della Società operaia, ch’erano partiti col primo
treno per ritornare con questo. Io rimasi; volea fare una gita di piacere
a Solofra con alcuni miei amici col treno delle 12,15. Detto, fatto. Era
arrivata l’ora; salimmo sul vagone e via. Il fischio della locomotiva addimostra ch’è partita. È
partita, e in pochi minuti siamo a Serino, ove troviamo altra folla
plaudente, più di contadini e contadine curiose, meravigliate di quello che
vedevamo, che di gentiluomini; questi stavano in Avellino, e molti altri
sopra l’altro treno, là fermato, stavano in procinto di partire, Ci si disse che tutto il Municipio insieme al Sindaco sig.
Cesare Mariconda stava in quel vagone per andare in
Avellino, accompagnato dalla Banda musicale, di cui sentimmo vecchie polke e
valzer eccitanti. Si riparte; ci immettiamo nel tunnel: tutto
è oscuro. E se questo durasse! Ecco un pensiero che
come un lampo, si affaccia alla mia mente. L’uomo è fatto per la luce; la
luce lo anima, gli dà vita,brio, pensiero: il buio
lo opprime come una mano di piombo preme anche sulla intelligenza, lo
scoraggia, gl’infonde un senso di paura, di scoramento, di morte. Ma ecco la luce! un sospirone esce dai nostri petti, ci sentiamo come
alleggeriti da un peso enorme. Siamo a Solofra, Scendiamo; passiamo per
quella via che dalla Stazione mena al teatro della città. Un brecciame fitto, minuto, di pietre aguzze ci rompe gli
stivaletti e le gambe. Oh!, dicemmo, non potrebbe il
Sindaco provvedere alle gambe e agli stivali dei passeggeri col far mettere
un po’ di terra su queste pietre? Ci fu detto ch’era
una via aperta da pochi giorni, che si sarebbe provveduto. Utinam! Lo stomaco chiedeva il suo tributo e noi cercammo
di daglielo. L’appetito si facea
sentire. Andammo in cerca di un restaurant, di un luogo qualunque dove si potesse mangiare. Ci fu additato un tal Cristofaro.
Entrammo: Cristofaro stava lì col suo naso aquilino, col viso rosso, come un peparuolo, con quel napoleone maestoso. Egli bestemmiava:
perché? Perché aveva dovuto fare un pranzo alla casina, cioè
al Consiglio comunale di Solofra, a spese proprie dei consiglieri, non della
cassa comunale, come si fa in parecchi Comuni; e frattanto da 15 persone per
quante avea avuto l’incarico, erano diventate 24. E bestemmiava il poveretto perché non avea
che dar loro da mangiare. Fu un brutto annuncio per noi. Ad ogni modo ci
acconciammo per un piatto di maccheroni, un po’ di carne al forno, un po’ di
prosciutto, come ci promise. Aspettammo più di un’ora, finalmente ci venne
presentato il pane, ed il pane sapea di terra,
sotto i denti facea una brutta sensazione; ci si
disse ch’era di grano macinato in un mulino di fresco ammolato;
ed è una: ci fu portato un piatto di orecchie di prete, erano crude; non
importa; l’appetito non guarda a nulla; e son due.
In capo a pochi minuti il cameriere annuncia che carne non ce n’era. Ci
acconciammo col prosciutto e un pezzo di capretto, capitatoci non so come. Chiedemmo l’insalata;
l’insalata venne, ma piena di terra; e sono quattro. Con tutto ciò il vino era ottimo e fece mettere in
allegria, tanto più che il povero Cristoforo non ci avea
colpa; ci avea colpa la casina, la festa ed i
forestieri ch’erano molti e non si era preveduto che sarebbero venuti tanto.
Di fatti i più erano venuti come una gita di piacere
e non mancarono delle signore. La città di Solofra presentava ieri un aspetto ridente; il popolo
era sinceramente contento. Aveva veduto avverarsi il sogno; e quel sogno avverato significava, industria, commercio,
ricchezza per Solofra. Suonava la banda per una tale memorazione
e noi andammo da diversi amici a congratularci seco
loro: cercammo dei fiori e ce ne furono dati. Era gioia che veniva dal fondo
del cuore, e gli abitanti la vollero addimostrare
la sera con fiaccole e grida di evviva. Viva Solofra gridarono alcuni atripaldesi
e altri forestieri: Viva Atripalda! Viva Avellino! ci fu risposto. E quel grido fu
ripetuto le migliaia di volte fino alla stazione, ove ci accompagnò tutto il
popolo festante, preceduto dal funzionante Sindaco signor Cesare Ronghi, dal Vice-pretore signor Pirolo Sabino, e seguito
dalla Banda musicale di Serino. Là trovammo tutti i signori che dovevano far
ritorno in Avellino, parecchi consiglieri municipali di Solofra e fra gli
altri l’assessore signor Vigilante. Viva il signor Ronghi.
Viva il capo Grimaldi!. Si udì molte volte, ma
questi rispondevano: Viva l’Italia, Viva Umberto! Viva Margherita! Viva il
Principe di Napoli! Viva Garibaldi! ed il popolo
faceva eco. Attendemmo con impazienza il treno, parve che ritardasse, finalmente alle 8,40 venne e noi tutti ci riversammo sul vagone. Eravamo venuti in seconda classe; volemmo andare in terza; ma… ma, non so come, ci trovammo in prima; in quel luogo invece di otto persone c’erano più di sedici atripaldesi. Fu un baccano indescrivibile; una certa confusione; povero chi non si fosse trovato il primo a salire: le carrozze mancavano perché la folla era immensa. Il Sindaco di Solofra, col Vicepretore e col Segretario municipale, insieme alla banda, era con noi nella locomotiva. La musica ci rinfrancava con le sue armonie di tratto in tratto. Giungemmo in Avellino; oltre di una buona illuminazione
tutta a gareelles per tutta la città, e che faceva
un ottimo effetto, nella Piazza della Libertà; non v’era altro. Ci si disse che c’era una soirèe al
Palazzo della Prefettura; e difatti parecchi cilindri sul capo di persone più
o meno governative, più o meno ufficiali, si vedevano, segno che dovevano
fare atto di presenza alla Soirèe […]. |
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