Testimonianza |
La tradizione a San Michele Arcangelo nel dopoterremoto
.
Solofra ha visto rivivere, nell'anno della
riapertura della Collegiata di San Michele Arcangelo, la sua
tradizione più antica, la festa del patrono. Così dopo aver riscoperto nel
suo insigne monumento il valore della propria storia, il solofrano ha
ritrovato nella festa il senso di una tradizione millenaria che rivela la
realtà del suo essere. Il culto micaelo a
Solofra, infatti, si identifica con la stessa
cittadina, nato insieme ad essa dalla fecondazione longobarda, allorquando
quel popolo nordico riconobbe nelle nostre plaghe l'immagine di quelle terre
assolate, che li aveva confortati nel lungo cammino dagli originari climi
freddi attraverso mezza Europa. In un lungo particolareggiato documento dell'XI secolo Solofra ha da poco trovato unite le
testimonianze di questo culto antico e della sua realtà abitativa. La
festività del santo Angelo "de mense
magio", di cui parla il documento, da quella lontana epoca ha scandito
la vita valligiana, mentre l'esempio del bellicoso santo forgiava
l'intraprendenza del solofrano e lo guidava, nei secoli, a solcare le non
facili vie mercantili ed artigiane prima, commerciali e industriali poi. E la fantasia popolare colorava quella fede di suggestive leggende tra cui una significativa, del ponte
costruito dal principe per recarsi dal suo palazzo al Tempio senza mescolarsi
tra la folla, ponte che veniva sistematicamente distrutto dall'Arcangelo, che
si poneva così dalla parte del popolo nella dialettica feudale. Dall'antica pieve
di S. Angelo e Santa Maria l'ala protettrice dell'Arcangelo si
stendeva su tutta la conca trasformandosi in culto del patrono, diversamente
da come succedeva in altri luoghi laddove tale culto, imposto dal nobile, si
configurava come mezzo di potere. E quando l'emigrazione mandò in giro per il
mondo il solofrano, egli in terre lontane trapiantò la devozione a San
Michele, financo con associazioni come quella della
Comunità newyorchese del Bronx o quella
analoga argentina, divenendo questa fede anche un concreto legame di
quei figli con la patria di origine. Di padre in figlio il culto intanto si
concretizzava in una ricca, grande, solenne tradizione ed acquistava quelle
forme che, pur nella fluttuazione degli anni, sono giunte fino a noi:
l'accurata preparazione fin dalla domenica di Pasqua con il quadro di San
Michele innalzato nella piazza principale, cui rispondono
i preparativi nelle case; il lungo manifesto col programma civile e religioso
e la prolusione del primicerio affisso per tempo sui muri cittadini; le
luminarie, vive, festose, con l'allegro compito di accompagnare le ore
notturne della sagra; le bancarelle, moderni residui di un'antica esigenza di
scambio commerciale; la sottolineatura musicale delle parate bandistiche e
dei concerti, la sera, sui palchi; la grandiosa processione del santo
accompagnato dall'intero paese nel sole primaverile del mezzogiorno; la
passeggiata per le vie in festa per rispondere all'intimo bisogno di
mostrarsi; i fuochi, rumorose espressioni della fede dei rioni durante la
processione e colorata conclusione dell'ultima sera di festa, quando la valle
si accende di tonanti lampeggiamenti che i monti si mandano come in un gioco
a palla; e infine non bisogna dimenticare quelle manifestazioni, varie nel
tempo, che hanno dato alla tradizione una sempre diversa coloritura. Per organizzare questa poderosa sagra non basta
il semplice "mast'e festa", l'essenziale factotum
delle feste popolari, da noi è necessario un
"Comitato per la festa", che nel corso degli anni è diventato il
garante della tradizione, un punto di riferimento, un polo di coagulazione. Esso ha una storia configuratasi nel tempo
secondo le contingenze variabili degli eventi. Ci fu un periodo in cui
addirittura il Sindaco ne fu presidente, esprimendo così, ciò che realmente
era Poi la presidenza passò al Primicerio della
Collegiata che tuttora ne ha diritto. Ma di recente questo organismo ha subito un'ulteriore trasformazione,
divenendo Associazione legalmente costituita con uno statuto, dei soci, un
programma e significando che, quando una tradizione cambia, adeguandosi ai
tempi, è viva e costituisce realmente l'essenza del popolo che la esprime. Così la consuetudine si fa sangue e corpo, come
invisibile linfa alimenta il sogno solofrano durante tutto l'anno, poiché ad essa si ricomincia a pensare appena si è spento l'ultima
eco dei fuochi d'artificio della festa precedente. Onorato deve essere questo blasone cittadino,
perché è un segno di distinzione e nella solennità sia la riprova tangibile
di una realtà che è l'orgoglio del solofrano. Si capisce allora perché la festa viene ad
identificarsi con lo stesso paese o con il parentado, quando diventa
struggente richiamo per il breve ritorno in patria dell'emigrante e comunque un mai disatteso appuntamento per il solofrano
non residente in visita al luogo natio, ospite in famiglia, fedele nel suo
bel San Michele. E la partecipazione pecuniaria ad essa è da ascriversi tra quei doveri tanto più
significativi poiché liberamente scelti dal fedele e perseguiti con
orgogliosa adesione. Essa riesce a coinvolgere persino le popolazioni
dei paesi limitrofi. Una volta venivano impiegati
persino treni speciali per rispondere alle esigenze di partecipazione.
Leggiamo nelle cronache del tempo che l'inaugurazione della travagliata linea
ferroviaria Avellino-Napoli, via
San Severino, fu festeggiata con un "gran numero di vagoni colmi di
fedeli in pellegrinaggio a San Michele di Solofra" in occasione di
quella festa. E giungiamo
ai nostri giorni a quel disastroso 23 novembre 1980 che chiuse Tutti gli anni del dopo terremoto hanno visto una festa in tono minore, vedova della sua
Chiesa. Quest'anno,
dunque, è ritornata la grande sagra rimessa a nuovo,
come Accanto alle tradizionali Associazioni c'erano
però altre realtà cittadine: i giovani atleti che il 6 maggio avevano recato
da Roma la fiaccola della pace, i membri della Polifonica Collegiata e,
come una volta, anche in barba ad una lotta locale tra potere spirituale e
temporale, che deprecabilmente divide i
rappresentanti delle due realtà, abbiamo visto, dietro il santo,
l'Amministrazione Comunale al gran completo con in
prima fila il sindaco con la fascia tricolore. (su "L'Irpinia", 1986) |
Come è cambiata la
tradizione della festa del patrono
La festa di San Michele ha ripreso quest'anno il suo splendore dopo aver avuto delle
edizioni in tono minore negli anni seguenti il terremoto. Questo rinnovato splendore
ha fatto andare il pensiero agli anni passati e sulle ali del ricordo quasi
spontaneo n'è nato il confronto. La tradizione si ripete, ma è illuminata dai toni
della nuova realtà dei nostri tempi. Abbiamo visto la festa soprattutto nelle strade, uscita
dal chiuso della chiesa. Se n'è perduto, infatti, il lustro
religioso, lo slancio mistico. La chiesa non è più stracolma con alla porta i carabinieri per controllare l'afflusso
dei fedeli durante la frequentatissima novena di una volta. Oggi ci si accorge
distrattamente della figura di un sacerdote forestiero che accanto al
primicerio gira per le strade in festa. La tradizione si colora del sopito senso religioso di oggi. L'afflusso, cospicuo nelle strade rivela una popolazione, più numerosa, più propensa a spandersi
nelle vie, più disinvolta, più libera, più semplice, più calma, come
abituata. È la gioia di incontrarsi, di ammirare ed essere
ammirati, è il piacere della compagnia, il bisogno dello scambio. Corrono i commenti, i pareri, ci si confida, si
chiacchiera, si discute. È ancora con la tradizione che si rinnova questo
bisogno umano, quando si vuol trovare nell'altro un riscontro, una riprova di
quello che si è. Ma anche lo sciamare per le strade
appare in una veste moderna, plasmata dall'abitudine di stare con gli altri,
non più unica evasione, non più sola occasione. E c'è chi evita
il clangore festaiolo fin troppo frastornato da quello quotidiano. Anche le luminarie, e siamo ancora nelle strade,
ripetono un rito antico, ma ora non si limitano più
a poche vie, ora invadono le strade numerose che la cittadina industre si è
aperta nel suo espandersi. Le coloratissime figurazioni costituiscono un
festoso ornamento ai luoghi della festa, ma saranno presto dimenticate per
ben altri motivi di vanto o per ben altri impegni del nostro quotidiano
movimento. E veniamo alle bancarelle dove la festa diventava
fiera, mercato, occasione di scambio commerciale, di conoscenza del prodotto
locale, mentre ora attirano solo i capricci dei
bambini. E le giostre creano
pericolosi sobbalzi e crudi sbatacchiamenti e non sono più unici pacifici
divertimenti. Diversa la festa per le attività culturali ad essa connesse: il saggio di fine anno dell'Accademia o
delle scuole, la mostra di pittura, la presentazione del libro di recente
edizione, la gara sportiva. Diversi gli spettacoli pirotecnici nei quali si
bruciano, in smaglianti e sonore volute nel cielo, i milioni accumulati per
onorare degnamente l'Arcangelo. Diverso è anche il pranzo festivo sempre sontuoso,
ma non certo l'unico. Si è mangiato bene nei ristoranti delle prime comunioni
da poco festeggiate e ancora nelle altre domeniche, tra matrimoni e
battesimi, giugno riserverà luculliane mense. C'è sempre occasione oggi per
festeggiare intorno ad una tavola imbandita un compleanno, un onomastico, la
promozione, una ricorrenza. La festa oggi non conosce il valore del pranzo sammicheliano di una volta. In ultimo vogliamo sottolineare
una nota "diversa" che è sembrata "stonata" come una
mummia imbalsamata fatta rivivere chissà per quale cocciuta magia. Abbiamo visto una banda girare
per il centro, l'abbiamo vista sul palco malinconicamente sola.
A farle compagnia pochi nostalgici. Quel palco in seguito si è riempito di stridori
assordanti, ha vibrato di urla fragorose, è stato
scosso da frenetici sussulti. E la piazza è stata
straripante di folla urlante, plaudente, diversamente esaltata. Un altro
genere di musica ha vagato nell'aria, una musica che
ha mostrato la vecchia banda come un relitto del passato. Cara vecchia banda, gloriosa reduce da mille sagre,
unica esaltatrice di antiche tradizioni, la tua ora
è scoccata, più nulla puoi dire a uditi diversi, tu pacata, tu divina, tu
solenne, le tue note non sono per questo tempo. La tradizione si è arricchita
di nuovi elementi: la musica assordante, il canto che è schiamazzo, i balli
che sono frenesia. (Sulla stampa locale) |
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