Casale
Forna
Il casale
si snodava lungo la via che univa il Sorbo alla Platea e al Fiume-Toppolo.
Sorse
intorno alla famiglia Giliberti che ne fu diretta espressione e si chiamò così
dal forno che Domaschino aveva fatto costruire ad uso comune.
Lungo
questa strada sorsero diverse cortine ben strutturate e squadrate senza le
forme contorte degli altri insediamenti di più antico impianto. Quando,
infatti, tra sei-settecento, la cittadina subì un’ampia evoluzione urbanistica
queste cortine divennero palazzi con cortile, porticato, magazzini, giardino di
delizie murato e piano nobile.
Gli spazi
stretti della via furono rotti da un ampio spiazzo, che divise la via in due
tronconi e che fu chiamato Piazza del popolo dal
nome della omonima chiesa, dotata dalle famiglie del posto
Confinava
a nord con il Sorbo, a sud col vallone detto degli insertielli o della Forna,
ad ovest giungeva alla Platea-Piazza. Lungo il
vallone, che sfociava, al Toppolo, nel fiume delle
Bocche, c’era una località, detta campi, che il casale divideva con i Balsami. Nella
parte alta c’era la località tagli detta sopra
Alla
originaria famiglia Giliberti, che si dispiegava in numerosi rami, si
aggiunsero i Murena, i Landolfi, i Buonanno, i Caiafa, i Garzilli, che vi
costruirono ricchi e ben strutturati palazzi.
In epoca
moderna la via prese vari nomi e si ampliò di una nuova diramazione. A
cominciare dal largo
Santa Caterina (dalla chiesa patronale dei Giliberti) si chiamò via
Luigi Landolfi, e, dopo Piazza del popolo, una parte
conservò l’antico nome di Forna, mentre l’ultima
parte si chiamò via Cupa.
Da Piazza del popolo una diramazione giungeva in via San Giacomo e si chiamò via
Agostino Landolfi fino alla Platea-Piazza.
Il casale
ebbe una serie di botteghe di conceria lungo il vallone, ma fu anche un casale
residenziale.
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