Va di moda il gemellaggio tra
due città.
Tanto avviene perché ci sono
interessi comuni da tutelare, perché la cultura dell’una coincide in gran parte
con la cultura dell’altra. Tanto avviene quando due comunità, scoprendo
reciproci interessi, cercano un’ideale fratellanza.
É un gemellaggio creato dalle
circostanze, come al tempo del terremoto, allorché i fratelli più ricchi
portano aiuto ai paesi disastrati.
E come ogni cosa artificiale il
gemellaggio si trasforma.
Quello che prima fu caritas, amore, altruismo, diventa sfruttamento, egoismo.
Lo Stato stanzia aiuti per le genti colpite dal sisma e la maggior parte della
torta viene “pappata” dai paesi, ove sono industrie attrezzate per allestire
prefabbricati, ove sono opifici che costruiscono mobili, elettrodomestici ed
utensili vari (a parte il cannibalismo locale e le azioni camorristiche
regionali).
Ma vi sono anche gemellaggi
spontanei, come quello di Solofra con la francese Lione: gemellaggio non
scritto su pergamene, non osannato da cerimonie ufficiali, non stigmatizzato
dalla ritualità “di pessimo gusto”.
Lione in Francia era ed è la
capitale della lana e delle pelli conciate. Solofra era un grosso centro di
produzione laniera: ora solo di pelli.
Questa comunanza di mestiere,
faceva sì che Lione e Solofra fossero legate da interessi commerciali e faceva
sì che alcuni Lionesi frequentassero Solofra.
E un giorno un commerciante
d’oltralpe giunse nella nostra industre cittadina e si rivolse per i suoi
affari ad uno dei tanti sensali che operavano sulla piazza: Peppino.
Questi, molto esperto nella
conoscenza della lana, era poco erudito nella lingua francese; anzi, non solo
era digiuno della parlata gallica, ma non sapeva nemmeno esprimersi
correttamente in lingua italiana.
Dotato di intelligenza viva,
prerogativa indiscussa da sempre di nostra gente, sapeva muoversi nel
commercio, sapeva viaggiare in Italia e in terra straniera senza alcun
impaccio.
Dopo aver trattato gli affari,
il monsieur fu invitato a pranzo dal nostro Peppino, che aveva un alto senso
dell’ospitalità ed era dotato di senso dell’avvenire: offriva per impegnare
futuri affari.
Stavano essi a tavola e allorché fu scodellata la
pasta, il cerimonioso francese aspettava che Peppino desse inizio al pranzo e
lo invitava in sua lingua:
“Sans
cerimonie!”
« Sans
compliments!”
Peppino, pensando che l’uso francese fosse quello
di invocare i propri santi protettori prima del pranzo, non sapendo come
regolarsi, impugnò la posata, prese una forchetta di succulenti spaghetti al
pomodoro e, come offerta sacrificale, escalmò:
“San Michele Arcangelo”!