Antonio Giliberti
(Vietri 1809-Solofra1900)
Teologo,
latinista, canonico della Collegiata
Nacque
il 1° ottobre del 1809 da Saverio e Maria Antonietta Diletta. Fu educato nella
scuola privata del concittadino Antonio Giannattasio. Fu ordinato sacerdote nel
1832 e fu canonico della Collegiata nel 1845 con la dignità teologale. Fu
Cameriere segreto del papa, esaminatore Prosinodale della Diocesi di Salerno,
membro di varie Accademie. Continuando una insigne tradizione locale ebbe una
scuola privata di lettere e scienze dove mise in atto un metodo di grande
eccellenza ricordato da tutti i suoi allievi. Ebbe doti di ottimo oratore.
Scrisse molto meritando di appartenere a diverse Accademie. Per la sua profonda
conoscenza del latino nel 1845 gli fu offerta la cattedra di latino
nell’Università di Napoli che egli rifiutò. Si distinse anche in famiglia
quando, in seguito alla morte del fratello Gabriele, prese la direzione di
quella famiglia e dei numerosi nipoti. Morì il 14 marzo del
Autore
del Pantheon Solophranum in cui 750 esametri
latini da lui stesso traslati in italiano, parla degli uomini che hanno reso
illustre Solofra.
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Sue opere:
Pro excidio in utriusque Siciliae Regnum ad asiatico morbo
allato anno 1836 (Napoli, 1838); Divi Gregorii Papae VII (Avellino, 1870); Sarcophagus
arcanus Cristophori Columbi
(Avellino, 1881); Pantheon Solophranum, (Avellino,
1873 e 1886); Ode saffica (Avellino, 1883); Pro Iosepho
Fasano in praesbiteratum electo
(Napoli, 1835); Carmina selecta (Avellino, 1884);
Super Solophrano S. Michaelis
Arcangeli (Avellino, 1889). Vari elogi funebri secondo il costume dell'epoca,
articoli, e poesie sparse.
Nel
carme su Gregorio VII, in 1143 esametri latini, canta le gesta del grande
Ildebrando di Soana avvalendosi del supporto di autorevoli storici. Inizia
dando un quadro delle condizioni dell’Italia e della Chiesa intorno al Mille
quando si avvertiva la necessità di un Papa riformatore che restaurasse la
moralità degli ecclesiastici e ostacolasse le pretese degli Imperatori di
Germania. Nonostante la sua ritrosia e l’amore per lo studio e la preghiera
accettò l’incarico per spirito di servizio dando inizio ad una profonda riforma
di costumi e istituti. Contrastò privilegi, abusi, errori, compromessi
all’interno della Chiesa. Più dura fu la lotta contro l’Imperatore che sfociò
nella scomunica e in tutte le vicende di questo contrasto che lo portò a
Salerno dove sotto la protezione del normanno Roberto il Giuscardo
muore.
Nel
Carme su Cristofaro Colombo in 1213 esametri difende l’italianità del
navigatore genovese contro gli Stati che la negavano. Anche qui il latinista si
documenta in modo preciso attingendo a studi di validi storici.
Cfr. Francesco Celentano, Un
umanista solofrano: Antonio Giliberti, pp. 17-33.
Dice di lui Carmine Troisi
Il latinista
I
Luce e quiete ne le stanza; un lieve
sentor di vecchi arredi signorili;
ne l'aria, un sottil brivido di neve;
ovuque libri, e d'un ragnetto i fili;
i libri: tutti in carta pecorile,
e grossi, come quelli d'una pieve
poi scartafacci a mucchi pei sedili,
e fiale in cui la penna inchiostro beve.
Del classico invaghito amico Lazio,
qui s'occupava ei, tutto solo e spesso
a foggiar carmi nel sermon d'Orazio,
e di Virgilio; ma la panna d'oca
qual egli usava, essendo d'altro sesso,
rendea talor quel suono in voce roca.
II
Io, nelle cui vene giovinezza
pulsava col suo ritmo glorioso,
ed era in me d'un bimbo la gaiezza
e l'impeto d'un mare procelloso,
niente che di tentar non fossi oso,
né v'era al mondo tal superba altezza
che mi fiaccasse il fuoco desioso,
se di toccarla mi nascea vaghezza,
io dunque, in un di quei bei dì lontani,
mi trassi a visitare il vecchio prete,
sì dotto ne la lingua dei romani;
e, in quella soporifera quiete,
il sol guardavo che con rosee mani,
tingea, morendo, un lembo di parete.
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