Saverio Giliberti

(Solofra1551-Montevergine1607)

Abate di Montevergine

(1600-1607)

 

Il ritratto si conserva nella chiesa di S. Modestino a Mercogliano.

 

 

Fu al governo di Montevergine dal 17 maggio 1599 al 24 maggio 1607.

Sostituì l’abate Perugino mostrandosi la persona più adatta a governare la congregazione verginiana per continuare e rinforzare la riforma intrapresa Era una delle persone su cui si poteva fare affidamento per la fedele esecuzione degli ordini della Santa Sede. Era la più capace di cui disponeva la Congregazione essendo stato fra i maggiori collaboratori del precedente governo abbaziale.

 

Riformò la costituzione di questo ordine applicando con il giusto rigore le decisioni del Concilio di Trento.

Nel 1581 fu tra i novizi e studenti di Montevergine fino al 1590 quando diventò sacerdote. Nel 1593 (il 28 maggio) fu assunto nell’Abbazia e il 21 luglio del 1594 era ancora in quella carica quando l’abate Perugino diventò generale governatore dell’Abbazia.

Ebbe una condotta integra per cui non fu coinvolto nelle sanzioni che vennero dalla Santa Sede il 28 ottobre del 1595, né partecipò alla combriccola di Napoli che arrecò molto danno ai verginiani. Perciò si guadagnò la stima del nuovo abate generale e ebbe la carica di priore dell’importante monastero e studentato di Casamarciano dove due volte la settimana dava lezioni di morale.

Si guadagnò la stima presso i superiori tanto che il 16 aprile del 1597 la S. Sede lo nominò direttamente Definitore generale e assistente dell’abate generale in tutte le occasioni e per tutti gli affari.

L’anno seguente fu eletto Procuratore generale presso la Curia Romana, di modo che, quando la S. Sede credette che l’Abate Perugino si poteva ritirare nell’eremo Camaldolese, il Giliberto era nella Congregazione la persona più adatta a succedergli e più accetta al Pontefice.

Fu nominato Abate generale nel capitolo del 17 maggio 1599 insieme ai suoi collaboratori D. Marcantonio Fiordelisi da Mugnano, che fu suo decano e vicario, e D. Vincenzo da Sarno che fu suo assistente. Queste nomine avevano validità di sei anni e potevano essere integrate in caso di vacanza solo dal pontefice.

La Santa Sede si compiacque di questa nomina in una lettera al Commissario apostolico Giovanni Leonardi chiedendo di vigilare "affinchè si ponga in securo l’osservanza della riforma fatta" e ciò perché, secondo la S. Sede non poteva essere affidata interamente ai Verginiani l’esecuzione dei decreti di riforma.

Il nuovo abate doveva quindi procedere nel suo governo con lo sguardo rivolto sempre al Commissario apostolico che conservava l’alta soprintendenza su tutti i luoghi e le persone della Congregazione.                                                                                                                                                                             

La Santa Sede dopo questa nomina emise un decreto col quale si disponeva che "per l'avvenire non si ricevesse né si ritenesse alcun monastero se non dietro perfetta osservanza di altro decreto dalla stessa Congregazione sulla soppressione dei monasteri”. Si incontravano varie difficoltà nell’applicazione indiscriminata della riduzione e della soppressione delle piccole case della Congregazione. Difficoltà che dovette affrontare il Giliberti. Allo scadere del primo anno di governo dell’Abate generale la Congregazione diede incarico al Leonardi di recarsi di nuovo in visita ai singoli monasteri della Congregazione verginiana "acciocchè la riforma introdotta col mezzo suo nella congregazione di Montevergine possa far progresso" e chiedeva di eleggere nel prossimo Capitolo Generale priori e ufficiali i migliori soggetti della Congregazione e di padri definitori secondo la Costituzione e le dichiarazioni della Regola. La visita del Leonardi durò tutto il mese di aprile del 1600 e nel Capitolo furono eletti tre definitori che non furono della stessa patria così gli affari della Congregazione avevano esito più felice. Nella riunione del capitolo il Giliberti tenne un discorso esortatorio sull’osservanza delle Costituzioni e la migliore elezione dei futuri ufficiali.

Durante questo capitolo si presero anche importanti disposizioni per l’attuazione della riforma. Si stabilirono misure contro i trasgressori della Regola, si esaminarono giovani aspiranti alla vita monastica. Si fece un elenco dei nuovi monasteri accettati per l’osservanza, si soppressero le aggiunte posteriori e si introdussero alcuni cambiamenti nei nomi scelti. Vennero soppressi alcuni sostituiti con altri. Fu posta sentenza di scomunica contro i monaci che la notte di Natale andassero a celebrare nei monasteri soppressi. Si pensò fin da allora di costruire un nuovo coro per gli uffici notturni e per la comodità dei monaci, da costruirsi nella navata della sacrestia. Si stabilì la fabbrica della futura libreria di Montevergine. Si stabilirono anche regole per ricevere nuovi novizi per la loro educazione secondo le regole della Riforma e per aiutare la Congregazione ad uscire dal tempestoso periodo precedente.

L’abate e il suo vicario prestarono giuramento che avrebbero seguito le disposizioni nelle guida dei novizi. L’abate ebbe anche l’ordine di trattare ogni primo giorno del mese con i suoi collaboratori e discutere le cose riguardanti la riforma della Congregazione. In tal modo intorno all’abate si era creato un consiglio per la esecuzione della Riforma.

Clemente VIII aveva dato precise disposizioni sulla fedele esecuzione dei decreti emessi per il rinnovamento spirituale e disciplinare di Montevergine. E quando si avvicinò il Capitolo del 1601 inviò di nuovo il Leonardi per soprintendere al capitolo generale controllare l’andamento della Congregazione. La Santa Sede era decisa a tutto o i religiosi camminavano secondo le direttive della Riforma o venivano soppressi. L’abate Giliberti doveva eseguire le disposizioni che il papa gli inviava tramite il visitatore apostolico.

Fino a quel momento (1601) il Giliberti era stato guidato dal Leonardi ora acquistava quasi completa indipendenza rimanendo però sempre in armonia con le direttive ricevute. La personalità dell’abate generale fu messa completamente al servizio della causa della Riforma di cui egli era convinto seguace fin dai tempi dell’abate Perugino.

L’influsso diretto della Santa Sede si fece sentire ancora per qualche anno nella nomina di un delegato apostolico come presidente dei capitoli generali a Montevergine. L’abate Gilberti lo stesso giorno in cui il Leonardi inviava i suoi ultimi avvisi, pubblicò i suoi ordini che si riferivano agli infermi per i quali si disponeva che qualora si ammalassero nei monasteri non fosse loro permesso di recarsi per cure fuori senza licenza dell’abate e si stabiliva che qualora dai singoli monasteri venissero tali infermi inviati a Loreto dovevano essere provveduti di tutto il necessario.

Interessante è la disposizione data ai cellerari e vicari di non poter comprare o vendere cosa alcuna riguardante il vitto senza il voto dei seniori del monastero. Dopo il Leonardi ci fu un altro deputato apostolico il vescovo di Aversa che aveva seguito la riforma della Congregazione.

Si pubblicarono alcuni decreti sull’insegnamento della dottrina cristiana sul comportamento dei monaci . Si posero i monasteri soppressi sotto la direzione di quelli vicini. Si legiferò sui cibi e sull’onorario dei monaci predicatori, si stabilirono regole sulle fabbriche ecclesiatiche, si stabilì che nella elezione dei priori non si nominassero paesani, né che nello stesso monastero vi fossero persone della stessa patria e famiglia.

Cure speciali aveva bisogno Montevergine sia per il numero dei monaci sia per altri motivi per cui si stabilì di fare una riunione ogni settimana. Si stabilì di eleggere due decani alla cura dei forestieri.

Quando morì il papa Clemente VII (1605) non ci fu alcun delegato apostolico. Nel governo dell’abate Giliberti si segna una tappa nuova: l’assoluta indipendenza da ogni delegato apostolico straordinario nel governo della Congregazione verginiana. Quando finirono i sei anni del governo, il cardinale Tomeo Gallo ottenne da papa Leone XI di poterlo confermare per un anno. In questo capitolo fu fatta proibizione ai superiori dei monasteri di concedere cappelle nuove nelle chiese senza licenza di tutto il capitolo. Altro decreto fu quello che proibiva ai superiori locali di portare a compimento fabbriche ed altri lavori nei monasteri. Forse per seguire il decreto dell’anno precedente, ma anche per le limitate risorse della Congregazione.

Anche l’anno appresso il Gallo ottenne la conferma dell’abate Giliberti. In quest’anno fu risolto il problema delle fabbriche che iniziavano e non finivano con la disposizione di provvedere al completamento di una fabbrica per volta. Questo fu l’ultimo anno di governo del Giliberti che morì durante questo suo secondo anno di conferma nei primi mesi del 1607.

Nel governo del Giliberti ci furono molti interventi papali in favore dell’abbazia per far si che questa si mettesse in linea con gli anni migliori della sua vita. Gli otto anni del Giliberti furono importantissimi (p. 323) per la riforma che allora era la cosa essenziale, il rifiorimento dell’osservanza della regola avendo cura di estirpare i difetti, di togliere gli abusi. Non veniva trascurata l’attività economica e amministrativa. Durante il suo governo ci furono proficui atti di fitto a censo e in enfiteusi di fondi comunque un’accorta politica, ci furono donazioni segno che si acquistava fiducia nel monastero. Ancora più interessanti furono le donazioni sotto forma di legati pii. Questa ottima amministrazione mise la Congregazione in condizione di poter ovviare a tutte le necessità occorrenti lasciando anche margini per intraprendere lavori nel monastero.

Ci furono vertenze con vari monasteri che spendevano troppo come quello di Napoli. Ci furono liti come quella giurisdizionale con il vescovo di Avellino che fece atti contro la giurisdizione di Montevergine.

Quello dell’abate Giliberto fu uno di quegli ottimo governi abbaziali che servì a far aumentare il prestigio della Congregazione non solo presso i fedeli ma soprattutto negli ambienti della Sede apostolica. Il papa e le congregazioni romane si convinsero che nella Congregazione verginiana la riforma aveva attecchito.

La memoria è passata nella storia della congregazione come di uno che abbracciò con entusiasmo la riforma regolare promossa dai sommi pontefici e non risparmiò fatiche fino alla morte per promuoverla efficacemente nei monasteri verginiani pur avendo la prudenza di saper vedere le circostanze concrete in cui essa doveva ricevere le necessarie modifiche e gli opportuni adattamenti.

 

Da G. Monelli, Storia di Montevergine e della Congregazione Verginiana, III, Avellino, 1968, pp. 300 e sgg.

 

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M. D'Amore-Mastrullo, Montevergine Sagro, Avellino, 1663;

G. Zigarelli, Viaggio a Montevergine, Avellino, 1852;

O. Caputo, Sacerdoti salernitani, Salerno, 1963, pp. 130-131.

G. Didonato, Solofra nella leggenda e nella storia. Uomini Illustri, 1914, p. 145.

G. Mongelli, Storia di Montevergine dalle origini ai nostri giorni, Montevergine, 1976, pp. 98-101.

 

 

 

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