Giulia Ronca Spagnuolo
di
Antonietta Favati
(Livorno 1900-Napoli 1966)
Donna Giulia era alta ed
elegante nel portamento; vestiva prevalentemente di grigio, amava avere cura del
proprio corpo, apprezzava le cose belle e rifuggiva dalla banalità. Pur non
essendo altezzosa, era aristocratica nei modi, tanto che, sebbene molto alla
mano con tutti, in molti suscitava soggezione. A leggere la data di nascita di
Giulia Ronca, 4 aprile 1900, si sarebbe portati a pensare ad una donna che
abbia vissuto la sua vita di figlia, di moglie e poi di madre, secondo le
consuetudini dei primi decenni del Novecento e così come richiedeva
l’educazione che veniva impartita alle giovani di quell’età; al contrario, per
tutta la vita, ella rifuggì sempre dalla "normalità": una donna
costantemente alla ricerca della propria realizzazione, moderna al punto che
ancora oggi sarebbe un’eccezione.
Appartenente ad una famiglia antica ed importante, presente già
nella storia di Solofra del XV secolo, Giulia vi aveva respirato un’aria mista
d’orgoglio e patriottismo: la bisnonna, Luisa Basile, era stata cugina di Carlo
Pisacane ed il nonno Luigi era stato sindaco di Solofra dopo l’Unità d’Italia.
Giulia era figlia di Alessandro, Colonnello del Regio Esercito (poi Generale di
Brigata) e nipote dell’Ammiraglio Gregorio Ronca, inventore del Proiettore
di scoperta manovrabile a distanza, ed autore del Manuale di tiro,
grazie al quale era tenuto in gran considerazione negli ambienti più esclusivi:
"Ci chiamano i Savoiardi" si era soliti ripetere con fierezza in casa
Ronca.
Seguendo con la famiglia il papà Alessandro nei suoi spostamenti di
servizio, Giulia visse a Livorno, Ancona, Napoli, entrando in contatto con ambienti
evoluti, che formarono in lei una mentalità aperta, certamente non comune in
quel periodo; mentre dalla famiglia ereditò l’amore per i viaggi e l’impegno
generoso a favore degli altri, aspetti che contraddistinsero tutta la sua vita.
Purtroppo la vita di Giulia fu costellata da varie dipartite premature che
segnarono il suo destino: nel 1911 moriva, a 52 anni, lo zio, Gregorio Ronca;
nel 1917, perse la mamma, Carolina De Maio, nel 1923 morirà, a 21 anni, il
fratello Michele, studente in Medicina presso l’Università di Napoli.
Alla morte della moglie, Alessandro fu costretto a lasciare i tre
figli, Giulia, Luigi e Michele presso i suoceri, a Sant’Agata, e le sue sorelle
a Solofra. Giulia aveva vissuto fino allora in città, in ambienti aperti e
"moderni", ed il ritrovarsi a vivere a Solofra, cittadina già allora
industrializzata, nondimeno località interna del Sud, dovette troncare molte
sue aspirazioni e costringerla ad un modo di pensare e di vivere certamente
diversi; inoltre, essendo ella la sorella maggiore, agli occhi dei fratelli
sostituì la figura materna, lei che aveva appena 17 anni; ed in quel periodo il
padre era responsabile del Campo per prigionieri di guerra di Padula, in
provincia di Salerno.
A Solofra, Giulia cercò di mantenere le sue abitudini; tra queste,
quella che amava di più era cavalcare: la stalla dell’antico Palazzo Ronca
ospitava dei cavalli e Giulia era solita cavalcarne uno, nonostante suscitasse,
col suo abbigliamento da cavallerizza, le critiche dei compaesani. Quando riceveva
le amiche, le piaceva starsene sdraiata sulle pelli degli animali esotici che
il suo illustre zio Gregorio aveva portato dai viaggi compiuti intorno al mondo
e che, con altri numerosi cimeli, erano gelosamente conservate nella Sala delle
armi.
Nel 1923, sposò Vincenzo Spagnuolo, e da questo matrimonio nacquero
due figli: Alessandro e Mario. La famiglia Spagnuolo, che risiedeva ad
Avellino, in seguito si trasferì a Napoli, dove, nel 1936 Giulia seguì il I
Corso di Infermiera Volontaria presso
In seguito al fallimento della sua attività commerciale, Vincenzo
Spagnuolo emigrò negli Stati Uniti, a Boston, da dove continuò a sostenere la
famiglia; anzi, il suo aiuto si rivelò prezioso soprattutto nei difficili anni
della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1938, Giulia si recò a Milano, dove intraprese un’intensa
attività commerciale: ottenuta dal Ministero per gli Scambi e per le Valute, la
licenza d’importare pelli grezze dall’estero, importò in Italia pelli di
vitellino e di capra provenienti da Congo Belga; in seguito esportò all’estero,
soprattutto in Svizzera, (Ditta Basler e & di
Zurigo) prodotti importati e manufatti italiani, concentrando la sua attenzione
sulla vendita di calzature.
Proprio durante uno di questi viaggi d’affari, nel dicembre del
L’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, pose fine a
quest’attività imprenditoriale e vide Giulia impegnata attivamente nella Croce
Rossa Italiana: operò presso l’Ospedale "Umberto I di Savoia" di
Pozzuoli (Ospedale Territoriale n. 3) e presso l’Ospedale "23 Marzo",
e compì il periplo dell’Africa, con le motonavi Arno (1941-1942), Vulcania
(1942-1943), e, in seguito, con l’Ascania (1956), per riportare in
Italia le famiglie degli italiani che si trovavano nelle Colonie dell’Africa
Orientale.
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Del viaggio
della Vulcania parla un articolo di B. V. Vecchi, pubblicato sul "Corriere
della sera" il 14 luglio 1942, nel quale si dice che furono riportati in
Italia 2400 persone, tra donne e bambini.
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Ma fu il rovinoso e luttuoso bombardamento compiuto dall’aviazione
alleata su Solofra, il 21 settembre 1943, che mostrò le grandi doti che
caratterizzavano la personalità di Giulia Ronca. Alle 11,43, le bombe sganciate
dagli Alleati distrussero completamente i rioni solofrani di Caprai, Balsami,
Sorbo Soprano e Cappuccini, provocando 200 vittime e 400 feriti. Il
disorientamento era totale: Giulia, che aveva lasciato Napoli e si era
rifugiata presso il padre a Solofra, come altri 1000 sfollati che in quegli
anni vi si erano recati, si prodigò con i medici della cittadina a soccorrere i
feriti, trasformando la sua casa in un ospedale d’emergenza.
Ma meglio d’ogni commento parlano i documenti, tra cui la
testimonianza che segue e che mi è stata gentilmente concessa dall’Ispettrice
Regionale della C.R.I. della Campania, Sorella Carignani:
Il
sottoscritto capitano dei Bersaglieri in S.P.E. Fausto Pedaci,
dichiara per la verità quanto segue: Nel settembre del 1943 lo scrivente trovavasi in servizio presso il distaccamento di Solofra
(Avellino) del Battaglione dei Bersaglieri, quando sopravvenne l’armistizio con
il conseguente scioglimento del reparto
militare al quale apparteneva. Essendo egli tuttavia rimasto sul posto, ebbe
modo di seguire gli avvenimenti che dominarono la vita del paese in quel
periodo, e di assistere al bombardamento del 21 settembre s. a. che distrusse
un intero rione di Solofra, cagionando numerose vittime […]. In quella tragica
circostanza, che sommerse ogni vestigia di vita civile, il sottoscritto conobbe
e potè seguire l’opera di una sorella volontaria
della C.R.I. nativa del paese ed ivi in licenza: la signora Giulia Spagnuolo
Ronca che di sua iniziativa, prodigò se stessa, per
cercare di venire incontro agli innumerevoli bisogni dei colpiti. Mentre la
popolazione, in preda al panico, si era riversata in un traforo ferroviario,
cercando scampo all’offesa aerea, la signora Ronca, per più settimane, provvide
alla cura e al sostentamento dei feriti gravi, che raccolse nella sua casa
privata (il civico ospedale era stato parzialmente colpito e distrutto). La sua
attività si estese alla ricerca dei medicinali, alla riorganizzazione dei
servizi ospedalieri, alle cure ambulatorie, e anche a domicilio, al
seppellimento di coloro a cui ogni cura fu vana. Ebbe compagnia nella sua opera
benefica i figliuoli e coloro che, illuminati dal suo esempio e spinti dalla
sua volontà, sentirono ridestarsi il senso dell’umana solidarietà. Lo scrivente
ritiene che ove gli avvenimenti non avessero sciolto la compagnia militare, il
locale Comando non avrebbe mancato di segnalare alle superiori autorità l’opera
della signora Ronca per una ben meritata ricompensa. E pertanto il
sottoscritto, che in quel tragico momento, della compagnia militare poteva
considerarsi un rappresentante, ritiene doveroso e giusto rilasciare la
presente dichiarazione, che in fede sottoscrive. Il Comandante la Compagnia
Capitano Fausto Pedaci.
Nel
Nel 1947, ricevette
Partiva
in licenza per recarsi a Solofra. Percorreva a piedi parte del tragitto per
salvaguardare con la sua divisa un carabiniere ricercato per deportazione dai
tedeschi.
Nello stesso anno, dietro proposta del Comune di Avellino, fu
insignita della Medaglia d’Argento al Valor civile, con la seguente
motivazione:
Durante
furiosi bombardamenti aerei che distruggevano buona parte del paese, accorreva
con intrepido ardire nei punti più gravemente colpiti per soccorrere i numerosi
feriti, alcuni dei quali, incurante dell’incombente pericolo, trasportava nella
propria abitazione. Continuava, quindi, per molti giorni, a prodigarsi
nell’opera umanitaria e ardimentosa, guadagnandosi l’ammirazione e la
gratitudine della popolazione".
L’arrivo degli alleati vide ancora Giulia prodigarsi a favore della
popolazione, forte del suo altruismo e della sua determinazione, del nome che
portava e della divisa che indossava, tanto che ancora oggi i più anziani
ricordano gli aiuti alimentari che riuscì ad ottenere dal Comando Alleato e che
distribuì alla popolazione stremata.
Ancora per molti anni, i solofrani videro in Giulia Ronca un punto
di riferimento cui rivolgersi in caso di necessità.
Quando, l’8 aprile 1966, morì improvvisamente, le sue spoglie
furono portate a Solofra, dove riposano accanto a quelle dei suoi familiari.
Quella di Giulia Ronca è una figura dalla tempra eccezionale, vanto
della comunità alla quale apparteneva, il cui ricordo deve essere proposto
soprattutto ai giovani, esempio d’intelligenza ed intraprendenza, ma anche
d’altruismo ed abnegazione. Donna inquieta, poliedrica nei suoi interessi e
dotata di una forza morale non comune, non ha temuto di andare contro la
mentalità del suo tempo per conquistarsi la libertà che in quegli anni era
ancora negata alle donne.
Il miglior ritratto della sua personalità può essere colto in
queste parole da lei scritte alla fine della guerra:
Sarebbe
ora di stare tranquilla, per me, in un posto solo, con le mie cose intorno, e
qualcuno che mi venisse a trovare. Ma la mia vita, è certamente così, non mi
trattiene invero dal cacciarmi in tutte le mischie, parapiglia, situazioni
complesse, ogni volta che se ne presenti l’occasione.
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