Il ciclo guariniano
di S. Agata
S.
Agata (1650) “Il solido
trattamento dei panneggi trova i suoi raffronti più stringenti nella
produzione matura del Guarino. Su un fondale bruno,
alla cui sinistra è un piano di pietra, su cui è il coltello del martirio dei
seni, spicca il luminoso incarnato della santa, abbigliata con una tunica
color giallo oro sulla quale sono uno scialle di tulle trasparente ed un manto verde ocra scuro. I riflessi degli abiti sono ottenuti
con corposi appoggi di impasto pittorico, mentre più
trasparente dello stesso fondale, ma ben leggibile, l’intervento sul colore
della capigliatura bruna. Questa opera mostra una forte autonomia rispetto a
tutto l’ambiente artistico napoletano” (Lattuada). Matera, Soprintendenza per i B. A. S della Basilicata |
S. Agata (1635) Mosca, Museo Pushkin Considerato da Lattuada "tra le massime espressioni dell’arte
giovanile" del Guarini. “Rispetto alla S. Agata
del Museo di S. Martino è evidente lo scarto in senso naturalistico. Una
giovanissima e scarmigliata donna meridionale, poggiata ad un blocco di
pietra, fa rivivere, in un intenso gioco di realtà, la santa di Catania, la
cui bellezza scempiata dai supplizi viene idealmente
ricomposta mediante un’eroica immagine che trasmette una potenza erotica
molto più inquietante della già sensuale versione di Napoli. Nonostante il contorno del disegno appaia netto, la
materia pittorica è applicata con vigore e insieme con precisione, con
effetti di una luminosità diffusa sulle forme che ricorda i dettagli più
forti dell’Annuncio ai pastori di Solofra”. (Lattuada). |
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Cfr. R. Lattuada, Francesco Guarino da
Solofra nella pittura napoletana del Seicento, Napoli, 2000.
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