Il feudo dei Sanseverino di Lauro

di

Ferdinando Mercogliano

.

Il feudo di Lauro, istituito nel secolo XI e soppresso nel 1806 a seguito delle leggi eversive della feudalità, ha visto nella sua storia succedersi diverse dinastie di feudatari: i Sanseverino, i De Balzo, gli Orsini, i Pignatelli e i Lancellotti. Il lavoro di ricerca storica portato avanti da Pasquale Moschiano, negli ultimi anni, ha ben illuminato la successione dagli Orsini in poi. Resta tuttavia ancora in ombra, dovuta alla difficoltà oggettiva della mancanza di fonti, il periodo precedente il XIV secolo. In quest’articolo si cercherà, attraverso una disamina delle fonti edite, di fornire qualche dato utile alla ricostruzione della cronologia dei feudatari nel periodo normanno-svevo.

A partire dal secolo XI si assiste in Campania all’arrivo di gruppi di cavalieri di ventura. Nelle fonti latine vengono indicati col termine Nordmanni, "uomini del Nord". Vengono "pour faire chevalerie" ossia per militare al soldo dei diversi sovrani e signori presenti nella regione1. Ma ben presto, vista la possibilità di acquisire propri domini, cambiano strategia. Nel 1030 Rainolfo Drengot ottiene dal duca di Napoli, Sergio, l’assegnazione di Aversa. È il primo cavaliere normanno ad ottenere la signoria su una città. Nel 1040 dodici cavalieri conquistano Melfi, dividono il territorio in parti uguali tra di loro e l’anno dopo eleggono Guglielmo d’Altavilla (Hauteville) come loro conte. È l’atto di nascita dello stato feudale nel Mezzogiorno d’Italia. Intorno al 1045 un certo Troisio o Trogisio arriva a Salerno con il fratello Angerio; inizia una guerra contro il gastaldato longobardo di Rota fino alla conquista dell’omonimo castello con il territorio circostante. Nel 1061 fu nominato da Roberto il Guiscardo conte di Rota e confermato nel 10772. I guerrieri normanni, e tra loro Troisio, nella fase della conquista si segnalarono per saccheggi, violenze e devastazioni tanto che a Salerno furono considerati peggiori dei Saraceni e in terra di Lavoro furono definiti da un prete, in un documento del 1043, "illi maledicti Lormannis"3. Da Troisio, la contea nel 1081 passò al figlio Ruggiero col quale inizia la dinastia dei Sanseverino4. Il castello di Lauro, retto in età longobarda da un gastaldo di Gisulfo, principe di Salerno, passò sotto il controllo normanno non oltre il 1076, quando ormai quasi tutta la Campania era nelle loro mani. Un documento del 1083 lascia pensare che Lauro si trovasse sotto il dominio del principe di Capua Giordano I5. Questo principe ottenne probabilmente Lauro, insieme a Nola, Marigliano, Palma e Sarno come dote della moglie Gaitelgrima, sorella di Gisulfo6 e fino alla sua morte, avvenuta in Piperno nel 10937, nel governo di Lauro, dovette associarsi il figlio Riccardo, che nel 1087 figura come "Castelli Lauri senioris"8. Succeduto al padre e unitosi con Rocca, dalla quale non ebbe eredi, Riccardo, principe di Capua, probabilmente governò il feudo fino alla morte avvenuta a seguito di malattia nel 11069. Quando e in che modo il feudo lauretano passa alla famiglia Sanseverino non è noto. A mio avviso il passaggio potrebbe essere avvenuto tra il 1105 e 1107, se si intendono in questo senso due documenti riportati da Scandone. Nel primo del 1105, Ruggiero è detto "del fu Trogisio de castello s. Severino de loco Rota"; nel secondo del 1107, si dice: "Ego Roggerius Senior de Castello Lauri"10. Ruggiero sposò Sikelgarda, figlia di Landolfo fratello di Gisulfo, ebbe molti figli tra i quali Roberto ed Enrico. Governò fino al 1125 quando si ritirò nella badia di Cava dove si fece monaco e dove morì nel 112911. Ruggiero, in un periodo di guerre e saccheggi, amministrò con saggezza le sue terre affidandole a suoi sottoposti come il "Petri vicecomiti" ricordato nel documento del 1107 prima citato. Il figlio Roberto I, che in una donazione del 1119 viene definito "domnus et habitator castelli qui dicitur Laure"12, morì ancor vivente il padre nel 1119, lasciando il figlio Roberto II, minorenne13, affidato alla madre, Saracena. Alla morte di Ruggero i territori posseduti furono divisi tra Enrico e Roberto II. Da quest’ultimo prende origine il ramo detto "di Lauro" della famiglia Sanseverino. Lauro quindi dovette essere governato per un lungo periodo da Saracena, prima per la minore età di Roberto II, poi per la sua partecipazione alla guerra in Sicilia14. Il conte Roberto raggiunse in breve tempo una posizione di primo piano tra i feudatari del regno. Nel 1150 fu redatto per la prima volta il Catalogus Baronum. Ogni feudatario era tenuto a dichiarare davanti al camerario regio la consistenza dei propri beni. In proporzione al loro valore veniva calcolato il servizio militare15, in cavalieri armati alla pesante (militis) e in altri combattenti, che ordinariamente tutti i feudatari dovevano fornire annualmente al re. L’ammontare veniva calcolato avendo come unità di misura il feudum militis, il cui valore era di venti once d’oro. Somma ritenuta bastante a sostenere le spese di mantenimento di un cavaliere armato alla pesante per un periodo di quaranta giorni in una regione convenuta. Il feudatario provvedeva a fare poi un augmentum, che consisteva nell’offrire un numero doppio, o quasi, di cavalieri, più una quota di ausiliari, nel caso il re dovesse allestire un "grande esercito" per la difesa del regno. La dichiarazione di Roberto II venne così registrata: "Robbertus de Lauro dixit quod tenem Laurum quod est feudum IV militum, et augmentum eius sunt milites VI, Una inter feudum et augmentum abtulit milites decem, et servientes"16. Roberto II fu Giustiziere e gran Connestabile della Puglia e di terra di Lavoro. Legato da vincoli di sangue con la famiglia regnante degli Altavilla, quando tra il 1150 e il 1159 re Guglielmo I istituisce la contea di Caserta, ottiene la nomina a conte. Roberto ebbe come moglie Agnese, morta prima dell’agosto 1178, insieme ebbero tre figli. Riccardo, Ruggiero e Guglielmo18. Il primo muore nel 1182. Gli altri due, alla morte del padre, avvenuta il 31 agosto 1183, si divisero l’eredità paterna, secondo l’uso longobardo, vale a dire in parti uguali. A Ruggiero andò Tricarico, Serino, Solofra e metà Montoro mentre Guglielmo ebbe la contea di Caserta e i feudi di Lauro, Striano e metà Montoro19. Pochi giorni dopo la morte del padre, nel settembre 1183, Guglielmo "in castello Lauri intus in palacio eiusdem castelli" conferma alla badia di Cava una terra con orto e botteghe fuori della città di Salerno20. Guglielmo, che ebbe come moglie Joetta21, muore nel 119922, o nei primi anni del nuovo secolo. Gli succede il figlio Roberto, la cui esistenza sembra certa a partire già dal 1179. Roberto sposa Adelagia che compare nel 1210 come sua moglie e dalla loro unione nasce Tommaso. Di Tommaso, succeduto al padre prima del 1216, ci è pervenuto un documento del 1231, data in cui risulta già morto, dove si ricorda una sua concessione di beni feudali in Lauro23. Federico II nel 1223 convocò in Sicilia Tommaso, insieme ad altri feudatari fautori di Ottone IV, li fece arrestare, confiscando i loro beni, per liberarli poi nel 1224, quando dovranno uscire esuli dal regno, lasciando figli e nipoti come ostaggi24. Tommaso muore prima del 1231 e i suoi beni saranno restituiti prima del 1232 al figlio Riccardo25, sotto la tutela della madre Siffridina. Riccardo dovette frequentare la corte di Federico II, dal 1240, in qualità di valletto. Fedele all’imperatore, gli furono affidati incarichi sempre più importanti. Intorno al 1246, Federico gli concede di sposare sua figlia Violante e in seguito lo definirà "generum generosum" e "dilecto filio". Nel 1247, assente l’imperatore, ottiene il potere effettivo di governo del regno, come vicario generale; e nel 1250 è tra i pochi testimoni del testamento fatto da Federico II poco prima di morire. Dopo la morte dell’imperatore Riccardo, in un primo momento si volge contro Corrado, poi gli si sottomette chiedendo al pontefice la conferma dei beni ricevuti. Conferma che ottiene con un documento datato 17 giugno 1251 e che per quanto riguarda Lauro risulta in un documento del novembre 125226. Intorno all’estate del 1264 perde la moglie Violante e si risposa con Berardesca27. Fu al fianco del cognato Manfredi fino ad essere nominato "capitano generale di qua dal Faro" con il compito di difendere il regno dall’invasione angioina. Tradirà il suo re, lasciando sguarnito il passo di Ceprano, da dove nel 2 febbraio 1266 passeranno le truppe di Carlo d’Angiò. Combatterà valorosamente nella successiva battaglia di S. Germano ma non in quella di Benevento, del successivo 26 febbraio, dove troverà la morte Manfredi. Riccardo, fiaccato nello spirito, morirà tra la fine dell’anno e prima del maggio 126728. Con lui scompare l’ultimo e più grande, ma anche la figura più controversa, dei rappresentanti del ramo "de Lauro" della famiglia Sanseverino. A Riccardo succede il figlio Corrado, o Corradello, sotto la tutela della nonna Siffridina. Nel 1268 re Carlo d’Angiò, fatti condurre alla sua presenza Siffridina e Corrado con la falsa promessa di restituire loro la contea, li fece imprigionare: in Trani Siffridina, dove morì nel 1279; e in Canosa prima e in Castel del Monte poi, Corrado con la moglie Caterina di Gebennes. Entrambi furono liberati solo nel 1303-04 e poco dopo entrambi si spensero: Corrado, tra il dicembre del 1306 e l’inizio dell’anno successivo fu preceduto dalla moglie nel 1305. Il feudo di Lauro dal 14 ottobre 1268 fu affidato a Federico de Laisalto, amministratore temporaneo fino al 19 dicembre 1268, quando venne assegnato a Guglielmo di Belmonte (Beaumont) con atto nel quale a Lauro viene riconosciuto il valore di 215 once29.

_______________

1. Giuseppe Galasso, Il Mezzogiorno nella storia d’Italia, Firenze, 1984, pag. 48 e seguenti.

2. Mimma De Maio, Alle radici di Solofra, Avellino, 1997, capitolo terzo. È stata utilizzata la versione Web disponibile sul sito http://it.geocities.com/mimmade/alleradici3.htm, pag. 1. Lo studio della De Maio fornisce dati molto utili per ricostruire l’insediamento nei loro feudi dei primi esponenti della famiglia Sanseverino.

3. Errico Cuozzo, Quei maledetti Normanni, Cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno, Napoli, 1989, pag.17.

4. M. De Maio, Op.cit., pag. 3.

5. In Francesco Scandone, Documenti per la storia dei comuni dell’Irpinia, III, Lauro e i casali, Napoli, 1983, pag. 6.

6. Ottavio Rinaldo, Memorie istoriche della fedelissima città di Capua, Napoli, 1753, ristampa anastatica, Bologna, 1986, libro secondo, pag. 103.

7. Francesco Granata, Storia civile della fedelissima città di Capua, Napoli, 1752. Ristampa anastatica, Bologna, 1969, volume primo, pag. 451

8. F.Scandone, Op. cit., pag. 6.

9. F.Granata, Op. cit., pag. 455.

10. F.Scandone, Op .cit., pag. 7.

11. M. De Maio, Op. cit., pag. 3.

12. F.Scandone, Op. cit., pag. 8.

13. M. De Maio, Op. cit., pag. 3. Per la ricostruzione della genealogia di Roberto II vedi: Giuseppe Tescione, Caserta medievale e i suoi conti e signori, Caserta, 1990, terza edizione riveduta, pag. 35. La maggior parte delle notizie sui feudatari di Lauro, riportate in quest’articolo, provengono dal saggio di Tescione che rappresenta un punto di riferimento fondamentale per lo studio della Caserta normanno-sveva ma finisce per esserlo pure per la storia di Lauro, in quanto Lauro e Caserta, da Ruggero I a Corrado, hanno avuto gli stessi feudatari. Tra le altre cose, Tescione, rifiuta decisamente di prendere in considerazione un documento dato dal Remondini nella sua "Della nolana ecclesiastica storia, Napoli, 1747 ", secondo il quale sarebbe esistito, nel 1098, un Ladislao figlio di Raimondo del Balzo conte di Caserta e signore di Lauro. Documento che già lo Scandone aveva dimostrato falso. Per un giudizio sul lavoro di Tescione vedi: Errico Cuozzo, La contea normanna di Caserta, in Rassegna Storica Irpina, n°3-4, 1991, pag. 327. I figli maschi dei cavalieri diventavano maggiorenni entrando a far parte della cavalleria compiuti 16 anni. E. Cuozzo, Quei maledetti...cit. pag.41.

14. M. De Maio, Op.cit., pag. 4.

15. Sulle prestazioni militari dei cavalieri normanni vedi E. Cuozzo, Op. cit., pag. 63 e seguenti.

16. F. Scandone, Op. cit., pag. 10. Quindi il feudatario di Lauro doveva garantire ordinariamente sei cavalieri armati alla pesante più altri quattro in caso di mobilitazione generale, più una quota di servientes, che di solito era il doppio, o quasi, del numero dei cavalieri.

17. E. Cuozzo, La contea normanna… cit., pag. 331. E. Cuozzo, Quei maledetti …, cit., pag. 108-120. Inoltre Roberto II in un documento del 1162 vide definito "comitem lauri". F. Scandone, op. cit., pag. 12.

18. G. Tescione, Op. cit., pag. 42 e seguenti.

19. G. Tescione, Op. cit., pag. 45-46 e M. De Maio, Op. cit., pag. 5.

20. F. Scandone, Op. cit., pag . 12.

21. G. Tescione, Op. cit., pag. 46.

22. Idem, pag. 55.

23. Idem, pag. 59.

24. Idem, pagg. 59-60.

25. Idem, pag. 63 e seguenti.

26. F. Scandone, Op. cit., pag. 148.

27. G. Tescione, Op. cit., pag. 86

28. Idem, pagg. 69-70.

29. G. Tescione, Op. cit., pag. 86.

 

Pubblicato su "Agorà", rivista dell'Associazione "Pro Lauro" nel dicembre del 2002

Ritorna a

 

Il periodo normanno a Solofra

 

 

Manda un messaggio

 

Home