(1651-1736)
Primicerio della Collegiata in un
momento cruciale per la vita della comunità solofrana
.
L'episodio più
importante della sua vita lo vide capeggiare gran parte della comunità solofrana
contro il feudatario Domenico Orsini sostenuto da quella parte del patriziato
mercantile solofrano che aveva benefici dall'essere col principe. La causa
occasionale della rivolta fu il tentativo dell'Orsini di controllare ancora
più direttamente le attività mercantili solofrane con lo spostamento del
mercato nella piazza antistante il suo palazzo. Subì l'esilio e la prigionia,
ma riuscì ad avere la meglio. |
Lotta contro le prepotenze feudali
La figura più rappresentativa della vita religiosa solofrana a
cavallo tra il Seicento e il Settecento è quella del primicerio Giovan Sabato
Iuliani che può definirsi un “personaggio” sia per le doti di prestanza fisica
che per quelle intellettuali, sostenute da una solida cultura[1].
1.
Di lui hanno parlato A. Graziani,
Memoria del primicerio D. Giovan Sabato
Iuliani e di alcuni buoni cittadini di Solofra, Avellino, 1889. L’opera ha
il pregio di riportare le memorie del notaio Vito Antonio Grassi contemporaneo
dello Iuliani raccolte in un manoscritto. Le notizie narrate dal Grassi sono
attendibili poiché il Graziani dichiara di averle controllate dall’archivio
Orsini a cui aveva potuto accedere. V. pure F. Scandone, Documenti per
la storia dei comuni dell’Irpinia, Avellino. La raccolta riporta alcuni
documenti riguardanti la vicenda dello Iuliani. O. Caputo, Sacerdoti
salernitani, Salerno, 1981, pp. 149-
Nacque
a Solofra il 21 febbraio del 1651 da una importante famiglia del Toro soprano
da Annibale e da Feliciana Maffei. Studiò a Napoli, dove aveva la residenza un
ramo della famiglia, presso i Gesuiti manifestando ben presto la vocazione di
abbracciare la vita sacerdotale. Il padre, dottore in legge, preferendo che il
rampollo rimanesse in famiglia o per lo meno in paese, quando il 13 agosto del
1675 morì il primicerio Grimaldi lasciando vuoto il seggio primiceriale alla
Collegiata, candidò il figlio alla carica ecclesiastica solofrana più
importante. In questo intento si impegnarono altre persone che vedevano nel
giovane Giovan Sabato una persona adatta per coprire quella carica. Questo
giovane infatti suscitava nell’animo dei solofrani una forte impressione per le
doti di eloquenza che trascinavano ogni uditorio e per la prestanza fisica che
ne facevano un vero punto di riferimento dando maestà e vigore a quanto diceva.
Aveva però anche un carattere molto forte che determinò in parte le vicende
della sua vita.
Il canonico Flavio Landolfi ottenne il consenso degli altri
canonici del Collegio della Chiesa madre solofrana. La nomina a primicerio
infatti era elettiva tra i membri del Capitolo Collegiale e i canonici erano i
rappresentanti delle famiglie locali più facoltose e loro prerogativa e questa
famiglia, che entrava in tale consesso per la prima volta, ne aveva i
requisiti. Entrarvi da primicerio era un privilegio troppo grosso, un voler
scavalcare altri candidati o eludere diritti acquisiti da altre famiglie, ma
per la famiglia Iuliani, imparentata con la potente famiglia Maffei, non ci
furono ostacoli da questo punto di vista. C’era però la giovane età del
candidato di appena 24 anni e il fatto che il giovane non ancora aveva assunto
i voti sacerdotali. Tramite monsignor Nicola Tura, che era il precettore di
Casa Orsini, lo Iuliani ottenne il
sostegno della Duchessa Orsini presso il pontefice Clemente X che avallò la nomina
a primicerio del giovane[2].
2.
Clemente X, della potente famiglia romana dei Colonna, era imparentato con gli
Orsini infatti fu questo papa a nominare prima Arcivescovo e poi Cardinale Pier
Francesco Orsini, il futuro papa Benedetto XIII. Bisogna considerare che il
napoletano era feudo della Chiesa di Roma per cui il papa poteva intervenire
nelle nomine ecclesiali.
Appena
eletto primicerio lo Iuliani apportò alcune modifiche nella Collegiata come
l’eliminazione di molti altari privati che erano sorti fuori delle Cappelle disturbando
l’armonica disposizione delle linee architettoniche del Tempio. Questi altari
che soprattutto servivano per sostenere, con la finanza ecclesiastica il
commercio, erano anche il segno dell’ascesa sociale della famiglia ed il
marchio più alto del patriziato solofrano. Per questo motivo ce n’erano
dappertutto nella chiesa ai due lati non solo di ogni navata laterale ma anche
di quella centrale e poi in tutto il transetto. L’eliminazione di questi altari
scatenò quindi l’opposizione delle famiglie che si vedevano private degli jussi
acquisiti, le quali però non potettero fare nulla poiché la curia episcopale di
Salerno dette ragione al primicerio.
Lo Juliani adottò ancora nuove regole circa la disposizione del
clero nella Chiesa, la prima delle quali toccava dei diritti usurpati da alcune
famiglie solofrane. Erano privilegi che si erano formati nei secoli come quello
di occupare dei posti nel presbiterio insieme al clero, anche da parte delle
donne purché di alto rango. Il primicerio invece ci tenne a tenere distinta
l’area destinata al clero da quella destinata ai fedeli. Bisogna tenere
presente che tali privilegi nascevano dal fatto che
In questa occasione si vide che questa classe sociale cominciava
ad avere degli oppositori. Era da poco finita la rivolta masanelliana che aveva
visto proprio la classe inferiore opporsi a quelle più abbienti e a quella
baronale che nei feudi aveva il sostegno del patriziato locale. Alla fine del
Seicento a Solofra si era dunque formata una classe di opposizione a quella
patrizia, ai magnati che erano alleati con l’Orsini anche perché tendevano a
far parte della classe baronale secondo una tendenza sostenuta dal governo
vicereale che proprio alla fine del Seicento aveva incrementato la vendita dei
titoli nobiliari. Contro questi privilegi e contro questo stato di cose si
oppose il primicerio Juliani che fu subito osteggiato dalle famiglie che
combatteva le quali non tardarono a rivolgersi all’Orsini.
Esse denunziarono il comportamento dello Juliani contro quelli che
ritenevano loro diritti e che invece erano soprusi e gli chiesero di sostenere
le loro pretese visto che era il rappresentante di quella classe che non aveva
fatto altro che esercitare prevaricazioni e soprusi. Entrò nella questione il
Cardinale Vincenzo Maria Orsini che in quel frangente risiedeva a Solofra che
dette ragione al primicerio approvando le sue decisioni. Il fratello Domenico
accettò il parere del Cardinale ma sottolineò che il modo era stato poco rispettoso
e che il giovane prete doveva calmare i suoi bollenti spiriti. Era evidente
però il contrasto latente tra i due gruppi in cui era divisa la società
solofrana dei quali quello più debole, che cercava di combattere contro i
soprusi e le prevaricazioni del feudatario, ora aveva un convinto assertore.
Il contrasto si riaccese quando arrivò in visita episcopale a
Solofra l’Arcivescovo di Salerno, Alvarez, che fu ospitato dall’Orsini mentre
ciò spettava al clero come aveva stabilito il Concilio di Trento proprio per
evitare pericolose alleanze tra il potere ecclesiastico e quello feudale che
avrebbero potuto fare della Chiesa se non alleata succube di particolari
situazioni locali[3]. In
questa occasione sembrò che
3.
Il Concilio di Trento nel rimettere ordine nei rapporti tra il clero e
l’episcopato diocesano e tra questo e i feudatari al capitolo n. 3 sess. XXIV
affermava che era diritto e dovere del clero di dare vitto e alloggio al
vescovo in visita.
4. ADS, VV. PP. cart. 22 (Salerno e
diocesi) 1566-1684, fasc. visita personale a. 1681.
Altro elemento di opposizione era il fatto che
6.
I feudatari avevano nei loro feudi il mero e misto imperio cioè la possibilità
di controllare le cause civili e penali per cui potevano porre sotto accusa e
rinchiudere in carcere i cittadini. In questo modo in mano al feudatario c’era l’arma
per allontanare ogni opposizione e continuare a perpetrare gli abusi che in un
ambiente economico si sentivano maggiormente. Al tribunale erano infatti legate
le carceri in cui erano tenuti in modo disumano i condannati che nella maggior
parte erano i creditori.
Questi episodi dimostrano che le tensioni contro la
famiglia orsina erano giunte ad un punto culminante. Esse erano cominciate fin
da quando aveva acquistato il feudo di Solofra. Siamo nel 1555 e Solofra, che
da circa venti anni godeva di essere nel demanio regio che la liberava dal peso
delle tasse feudali, per le gravi spese dovute ai debiti contratti per pagarsi
la libertà feudale a cui si aggiungevano quelle sopportate per la costruzione
del grandioso tempio della Collegiata, fu costretta a vendersi alla feudataria
Ferrella-Orsini. Il dominio orsino cominciò sotto cattivi auspici poiché vi fu
un gruppo ben agguerrito che non vide di buon occhio la perdita dell’autonomia
e che aveva dovuto soccombere contro quello più ricco che avrebbe dovuto
sostenere il peso dei debiti e che invece pensava che sarebbe stato meglio
mettersi sotto la protezione di una famiglia feudale. I rapporti furono tesi
fin dall’inizio e subito sfociarono in una causa intentata dalla Universitas
contro
Lo scontro con la famiglia Orsini divenne più crudo quando il
principe nella continuazione delle prepotenze perpetrate contro le popolazioni
decise di spostare il centro mercantile nella piazza davanti al suo palazzo[7].
Questa decisione toccava nel cuore le attività economiche
solofrane la cui vita contributiva si reggeva a gabella, le tasse cioè venivano
prelevate all’atto della vendita dei prodotti. Poter controllare il luogo dove
avvenivano le contrattazioni significava tenere ancora di più sotto il
controllo queste attività che erano il centro della vita economica locale. Già
gli Orsini prelevavano una forte quota sulla vendita dei prodotti, già l’Orsini
partecipava direttamente alla vita economica del paese con l’aver istituito
tutta una serie di botteghe lungo la via che dalla platea, il centro
mercantile, portava al suo palazzo, ora questa pretesa significava ed era vista
dalla intera popolazione come un colpo al cuore alla vita artigiano-mercantile
locale. Colpire il commercio significava colpire la intera vita economica
locale.
La situazione divenne subito grave anche perché il principe di
Gravina, Domenico Orsini, era giudicato dagli uomini del tempo senza sentimenti
di giustizia e condizionato dalla mala compagnia, comunque dal fatto che avesse
sempre bisogno di denaro poiché aveva come rendita solo i proventi del feudo di
Solofra[8].
8.
I proventi del feudo di Muro e Gravina andavano alla madre, quelli di Vallata
al fratello cardinale.
A questo punto si chiarirono le due fazioni che dividevano la società
solofrana una popolare capeggiata dal primicerio ed una patrizia che
parteggiava per l’Orsini, capeggiata da Giovanni Pietro Murena, agente del
feudatario e acerrimo nemico del primicerio. Per la prima volta la classe meno
abbiente, che aveva sempre accettato il predominio di quella più ricca nelle
cui mani era sempre stato il governo della Universitas poiché solo i ricchi
potevano anticipare i tributi, le si opponeva.
Lo Juliani si recò a Napoli per difendere con la sua eloquenza i
diritti solofrani sul commercio accompagnato dai capi della fazione antifeudale
tra cui Filippo Fasano e Gabriele Petrone. Il Viceré inviò a Solofra un
commissario per controllare la situazione, ma questo servizio era a carico
della comunità che dovette pagare le spese di sostentamento dei Commissari di
300 ducati, che furono raccolti dalla sorella dello Juliani, Rubinia. Costoro
inviarono alla corte di Napoli un rapporto sfavorevole all’Orsini, il quale per
nulla intimorito convocò il parlamento solofrano che però non si potette
riunire poiché mancava il nuovo sindaco Giosafat Landolfi anche lui del partito
antifeudale che era stato costretto per la sua opposizione all’Orsini a
riparare nel Convento di S. Agostino sotto la protezione di quella Istituzione.
Il feudatario allora si rivolse alla Nunziatura chiedendo di
arrestare insieme allo Iuliani anche altri canonici della Collegiata, che
furono presto liberati per l’opposizione di tutta la comunità[9].
L’Orsini allora, attraverso amicizie e sostegni, ottenne che il Viceré firmasse
l’esilio per le famiglie più importanti famiglie solofrane, ordine che non fu
mai eseguito poiché altri solofrani si recarono a Napoli a esporre le loro
ragioni tra cui Gabriele Petrone, Altimari e De Villa e ne ottennero la revoca.
Il principe non desistette di fronte alla forza con cui i
solofrani avevano combattuto per scrollarsi di dosso le angherie feudali e
ricorse ad un tranello. Riuscì ad attirare dalla sua parte alcuni solofrani, il
chierico Giovanni Parrella e il Governatore Calandra. Assoldò poi dei sicari
con l’ordine di uccidere Gabriele Petrone. Il 1° luglio del 1691 il Petrone era
a casa e ad ora tarda ricevette la visita del Parrella traditore che lo trasse
nel tranello facendolo uscire in piazza San Rocco dove trovò gli sbirri del
principe che lo imbavagliarono lo trascinarono al ponte dello Spirito Santo e
lo uccisero[10].
9. I canonici erano G.
Vigilante, A. O. Landolfi, F. Grimaldi, A. Guarini.
10. Il Graziani narra che
il giorno dopo trovarono il cadavere che fu seppellito, ma non si sa dove.
Tutto questo era avvenuto con l’assenza del primicerio Iuliani che
era a Napoli da dove, saputo il fatto, riuscì a far aprire un processo contro
l’Orsini. Il processo, che si svolse in Castel dell’Ovo nel 1691, dovette
tenere presente una informativa di Giovanni Murena agente dell’Orsini che
naturalmente fu tutta a suo favore, ma terminò con la condanna del Principe che
stette in carcere per un anno e mezzo uscendo solo il 27 marzo del 1693 per
l’intervento del fratello Cardinale. L’Orsini ebbe la libertà con l’impegno di
presentarsi al tribunale ogni volta che veniva richiesto dallo stesso
Tribunale. Era una specie di libertà vigilata che terminò cinque anni dopo
quando la famiglia Petrone acconsentì alla cancellazione della limitazione.
Domenico Orsini però non desistette e, libero da ogni impegno con
la giustizia, rivolse la sua attenzione al primicerio contro cui aveva un conto
da saldare anche perché il suo potere nel feudo era di molto scemato. Si
rivolse agli ambienti romani, dove la famiglia era molto influente e riuscì a
procurarsi un mandato di cattura per il primicerio. Ma il sacerdote in chiesa
non poteva essere arrestato. L’Orsini allora ricorse al tradimento di alcuni
canonici che trascinarono il primicerio fuori della Chiesa dove sul sagrato
erano ad attenderlo gli ufficiali del Capitano di Giustizia che lo arrestarono.
Era il 12 marzo del 1692 quando fu portato a Napoli[11].
11.
Il Graziani riferisce che gli fu trovato in tasca un promemoria per il Viceré
spagnolo in cui denunziava le angherie e i soprusi del principe.
Dinanzi a questo ennesimo sopruso e poiché ormai il primicerio
rappresentava l’anima dell’opposizione popolare contro il feudatario iniziarono
le manovre per una insorgenza anche se lo stesso primicerio esortò i parrocchiani
a desistere da azioni violente. Per sei mesi lo Iuliani restò nelle carceri
della Nunziatura poi ottenne la libertà perché per placare gli animi intervenne
In San Giovanni in Laterano lo Iuliano conobbe ed entrò in
amicizia con il Cardinale Giovan Francesco Albani che ne ammirava la forza del
sentire. Divenuto l’Albani papa Clemente XI propose al giovane sacerdote la
nomina episcopale che lo avrebbe definitivamente allontanato da Solofra[12],
ma lo Iuliani non se la sentì di prendere un impegno che non si addiceva con le
sue aspirazioni. Stette infatti a Roma solo tre anni dopo di che gli fu
concesso di ritornare a Solofra (1696). Era il giorno di Pasqua e i solofrani
lo accolsero con tutti gli onori persino dai canonici traditori. Nove anni dopo
nel 1705 morì il suo nemico, Domenico Orsini[13].
12.
Sembra che la proposta alla nomina a vescovo gli fosse stata offerta prima
anche da Innocenzo a cui il primicerio avrebbe risposto :«La patria chi l’aiuta?»
e dallo stesso Orsini divenuto papa a cui rispose: «La mia Sposa è
13.
Nel racconto di Vito Antonio Grassi c’è anche il fatto che l’Orsini aveva
deciso di costruire un “casino” all’angolo del suo palazzo di fronte alla porta
della Collegiata per assistere alle funzioni senza entrare nella chiesa e che
in questa opera fu ostacolato dal primicerio e da altri solofrani fino a che
dovette desistere. Questo fatto ha dato il via al racconto di un ponte
costruito dall’Orsini dal suo palazzo alla chiesa e tagliato da San
Michele.
La
morte dell’Orsini non fermò il Murena che “per mezzo di falsi testimoni” mirò
a “distruggere la pubblica quiete, ed a rinnovare le liti del feudatario
contro l’Università” continuando la lotta contro la fazione opposta[14].
Nel 1706 sia il primicerio che il governo civico fecero ricorso contro Giovan
Pietro Murena. Il ricorso in data del 3 settembre è così riassunto dall’Ufficio
del Collaterale nella relazione inviata alla Regia Udienza di Principato Ultra:
Il sindaco e gli eletti di
Solofra espongono che nella terra sono alimentate discordie ad opera del dott.
Giov. Pietro Murena e di “persone discole”. Esse durano “da 20 anni, con
dispendio del pubblico e rovina di case particolari, come accadde a Pietro
Giliberti per l’uccisione di Giuseppe Fasano. Poi vennero le archibugiate al
Cappuccino, P. Giuseppe da Solofra; poi la distrutta casa di Giuseppe
Vigilante, fatto fallire con imposture. Il dottor Murena attizzò il dissidio
tra il fu duca di Gravina ed i vassalli, e propose di trasferire la piazza [il
mercato] innanzi al Palazzo del Duca. E promosse innumerevoli liti. E così,
avendolo il Preside disterrato [mandato in esilio] egli si trasferì in Napoli.
Di concerto con l’avv. Mascolo, fece arrestare nel cortile del S. R. C. il
procuratore dell’Università, dott. Fasano. A ruote riunite, quel Tribunale
diede a don Francesco Gascon il mandato di liberarlo. Così il dott. Fasano fu
liberato, e carcerato il dott. Murena, che poi fuggì, e fece ricorso al vicerè
del tempo, conte di S. Stefano. Inoltre il dott. Murena aveva fatte imporre
nuove gabelle (feudali): ad es. una di 600 ducati per sarmaggi [carichi
someggiati] di cui aveva assunto l’esazione per ducati 400; e si era
appropriato di poi di tutta la gabella del vino, e di parte di quella del pane
dell’Università. Il preside di P.U., duca della Saracina, ne ordinò l’arresto;
dopo il destierro [esilio dalla sua terra] se n’era andato a Serino, e, dopo
l’accordo col giovane duca di Gravina, il dottor Murena fu citato in
Collaterale, dove il processo fu appartato. Restituito alla sua residenza, da
due mesi, ha ricominciato a seminare zizzania, anche tra i parlamentari
[consiglio dei trenta][15].
Alla
Regia Udienza giunse da parte dell’Ufficio del Collaterale anche un’informativa
che riassumeva la deposizione del Murena il quale aveva esposto che:
mentre
egli era nella terra Agente del feudatario, duca di Gravina, il primicerio
della Collegiata, d. Giovan Sabato Giuliano, era processato dal Tribunale della
Nunziatura come capo fazioso e tumultuario per «i rimori che accaddero in detta
terra». Di poi a richiesta del Nunzio, per disposizione della S. Congregazione
delle immunità, fu «tratto fuori dalla Chiesa maggiore, ov’erasi rifugiato,
consegnato alla Nunziatura, e condotto a Roma». Di là col consenso del duca, fu
licenziato, col mandato di non ingerirsi più negli affari della terra. Anche il
dottor Murena lasciò Solofra, nominato dal duca Governatore dell’altro suo
feudo di Muro; ed ivi sposò una nipote del vescovo. Al ritorno in Solofra,
trovò l’Università oppressa dal suddetto primicerio che «cercando
tirannicamente gli amministratori, ne succhiava tutto l’avere. Ebbe procura da
100 cittadini; si recò dal Duca di Gravina, poi nella Gran Corte della Vicaria
e nella Regia Camera, per la resa dei conti di tali amministratori che avevano
creato “un grande attrasso di debiti”, e corse pericolo di vita. Ciò
nonostante, il primicerio non desisteva dalle violenze. Entrò con altri, nel
monastero di S. Maria delle Grazie, violando la clausura, e fu scomunicato
dall’Arcivescovo di Salerno. Andò a farsi assolvere a Roma. Tornato, rinnovò le
minacce a proposito del rendiconto di Alessio Landolfi, che per 5 anni era
stato Sindaco. Senza intesa del sindaco attuale, Domenico Antonio Murena, aveva
convocato il parlamento il 2 agosto per l’elezione, e fu minacciato di esser
preso a furia di popolo lui, e il consiglio. Così era stato eletto sindaco
Alessio Landolfi, “uomo di bassi natali, per coprire i suoi difetti”. La
mattina del 3 agosto il primicerio aveva preso di petto Mario Landolfo, uno del
Consiglio, minacciando di farlo trascinare per tutta la piazza. Di poi,
accostatosi alla casa del dott., ch’è sopra la piazza, disse che lo ebbe
ammazzato, insieme col notaio Emilio Pacifico, Felice Ronca, Niccolò Petrone,
consiglieri a lui contrari.16
Lo stesso giorno il Collaterale inviò due
richieste alla Regia Udienza di P. U. di informarsi sul ricorso del primicerio di
Solofra, don Giovan Sabato Juliani e del governo civico, contro il dott.
Murena, circa l’esposto del sindaco di Solofra che affermava di essere stato
eletto regolarmente con la conferma del Collaterale.
Lo
scontro si risolse con la pace tra le parti. Il nuovo feudatario Filippo
Bernualdo Orsini promise amicizia con la comunità solofrana e ritornò nella sua
città natale ove morì il 27 marzo del 1736.
Lo
Juliani continuò a proteggere Solofra dagli abusi feudali come fece nel 1730
contro
|
Appendice
Testimonianza
lasciata nel 1722 dal notaio Vito Antonio Grassi
[...] Per circumscrivere ed esprimere le prerogative, virtù e
zelo del rev. Primicerio dott. don Gio Sabato Giuliani, prima ed unica
dignità dell’insigne Collegiata e matrice chiesa di S. Michele Arcangelo
della cara patria di Solofra che lo resero illustre in grado superiore e ne
godé li frutti delle sue virtuose operazioni, non da me ma da scrittori
d’autorità e fama segnalata bisognerebbe esser descritta e abberne nota, pure
per memoria et esempio ai posteri e per zelo che ho all’onor suo doversi
havere parole pericondri non deboli e assai sublime per esser non onorifica
menzione delle vicende e virtù, merita fedeltà, calore e zelo; per quello mi
detta la penna è un mero abbozzo non che verità compita. [...]. Hebbe in sorte la cara patria di Solofra haver per figlio si
gran soggetto, singolare, erudito, di pregi superiori ad ogni altro che ne’
secoli passati havesse partorita la patria, per sollievo dell’istessa, e suoi
cittadini, nato dal fu Annibale Giuliani suo padre e Feliciana Maffei sua
madre, huomo di valore non inferiore al figlio, cittadino de primari, e di
zelo pubblico, l’anno del Signore Verbo incarnato Fanciullo e sino all’età abile alli studi in Napoli benché di
personaggio maestoso, decoroso, e di aspetto nobile, e singolare chioma
naturale che s’usava in quei tempi, hebbe però sempre sentimenti di vera
religione cristiana d’esempio et edificazione universale. Adocchiato da’ Reverendi. Padri Gesuiti in Napoli nell’età
d’anni 23 mentre haveva fatto gran profitto in particolare nella legge
civile, e pensava il padre per vita sua casarlo per mantenimento e
continuazione della sua progenie, non havendo altri figli se non il rev. sig.
Gaetano, allora clerico di minore età del Primicerio e prossimo al
sacerdozio. Aderendo alla persuasione di detti Reverendi Padri egli ricevé il
di loro abito con ammirazione universale e dispiacenza singolare paterna. Gionto nella patria per diporto da Napoli a petizione del padre,
e per persuaderlo nella vita se stare, ad altro non si vedeva applicato che
alla frequenza delle Congregazioni et d’ogni opera pia, et in dispute con
religiosi et altri letterati, rispondendo ammirabilmente alli casi morali
delle Congregazioni de’ sacerdoti e d’esempio ammirabile in ogni virtù. Vacò nel tempo stesso il Primiceriato di detta Collegiata per
morte del rev. Primicerio don Fabrizio Grimaldi l’anno del Signore 1675. Il
rev. don Flavio Landolfo, un canonico dell’istesso Collegio conoscente
l’essere del suddetto rev. Primicerio, con l’unione de soci collegiali e del
padre Annibale, amareggiato nel vedersi perdere il figlio a causa della
soverchia inclinazione nella religione de’ Reverendi Padri Gesuiti, non giovando
le sue persuasione per rimoverlo, scrisse in Roma, l’istesso Capitolo, con la
felice memoria della Sig. Duchessa Della Tolfa, al segretario di sua casa
rev. don Nicola di Tura allora secolare, poi vescovo di Sarno, et occasione
della parentela col Papa di quel tempo Clemente X, furono spedite le bolle in
testa del detto rev. don Primicerio, insaputa del medesimo, et escluso il
rev. don Canonico decano dell’istesso Collegio, don Giuseppe Garzillo, al
quale era stata segnata la grazia col regalo di ducati cento al sig.
segretario, pagati dal medesimo canonico don Giuseppe, dande ad intendere al
Papa d’essere stato errore di persona, onde fra breve tempo avendo il rev.
don Primicerio Giuliani l’ordini sacri et il Primiceriato. Ordinato sacerdote, preso il carico di Primicerio curato, anco
da chierico, benché reluttante, per soddisfare al comune voto di tutta Molti furono i pregi che resero illustre e decorarono il
suddetto rev. Primicerio Giuliani, molti li travagli e pene che sofferse et
in somma per il bene comune della Patria di Solofra e molti sono li premi che
l’istessa godé per suo mezzo, quali, le non in parte divisioni per memoria ai posteri. È da sapersi che il primo pregio consisteva nell’aspetto [...]
distinguendosi con singolarità da ogni ceto di persona di questa Patria. Abbe
pieco dritto anco in prime della sua età, con non altra posura, havea [...]
il petto e la dottrina, e la piacevolezza mostrò sempre di lungo [...]. Il primario pittore di Napoli Giovanni Colombo incontrandosi col
suddetto rev. Primicerio et approntandosi a fronte con un sacerdote cittadino
che in Napoli medesimo risiedeva nell’istesso Palazzo del Colombo poco
appresso vicino al Convento de’ Reverendi Padri Geloromini, li disse: “Ho
veduto il nostro Primicerio che pare un S. Paolo”. Altri pregi consistevano nella dottrina in omne scienza, petto e
fortezza magnanima nel parlare con chi si sia personaggio di grado superiore
anco di Sua Santità e Viceré di quel tempo, come e più colte mostrò, con
libertà singolare, memoria feconda, pronto nel rispondere a qualsesia motivo
di dotti consigli pareri sinceri, umile e cordiale con tutti perdonava [...]
qualunque offenzone, elemosiniero che alle [...] dava tutto senza lasciarsi
niente per se, e più volte veniva aspettato da’ poveri vergognosi per la
strada della sua casa, ove dimorava e sita nel casale del Toro soprano. Pregio era anco e lo rendeva illustre la particolar devozione
alla B. V. sotto il titolo de’ Sette dolori, S. Michele Arcangelo, S.
Antonio, S. Filippo [...] ai quali in ogni emergenza raccomandava la propria
Patria quando in Napoli, a Roma o in ogni altro luogo entrava et orava in
ogni chiesa che nel passare s’incontrava. Fin dal principio del possesso del Primiceriato del detto anno
incominciò il suddetto rev. Primicerio Giuliano il zelo [...] in salute
dell’Anime a se commesse, in togliaria l’occasione de’ mali. È da sapersi che
nella detta Collegiata di S. Michele [...]. Gionto in visita monsignor Alvarez fu Arcivescovo di Salerno fu
convitato dal detto Ecc.mo Sig. Duca di Gravina a risiedere nel Palazzo a sue
spese. Il rev. Primicerio Giuliani con la dottrina del Sacro Concilio di
Trento descritta nel cap. III della
sessione 24 la quale incomincia [...] fe intendere al suddetto
monsignore che voleva darli expensas, lo che cagionò tumulto nel Palazzo, con
radunar gente per carcerarlo; havutane la notizia si ne uscì dalla Collegiata
per dentro Oltre di che ottenne decreto che li testimoni che s’hanno da
esaminare per il contratto matrimoniale che andavano in Salerno nella corte
arcivescovile, si fussero esaminati in Solofra, come oggi si pratica, con la
ragione che non vi era pericolo di matrimoni duplicati ma bensì pericolo di
continenza a causa della lontananza di Nel ritorno di monsignore alla visita cominciò il suo sermone:
“Ecce venio ad vos et si tertio veneno non parcam”. Per il che andarono in
Roma diece preti don Gennaro Maffei, poi canonico, don Silvestro di Tura, don
Giosafat Ronca, dn Giovanni Frescolone, poi agostiniano, don Pietro Antonio
di Maio, don Bartolomeo Fasano, don Aurelio Giliberti, poi parroco al Canale
di Serino, don Angelo Guarino, don Gio Marino Vigilante, don Oliviero di Maio
poi canonico. Il suddetto Ecc.mo sig. Duca don Domenico che favoriva
monsignore Arcivescovo inviò Pierro Pacifico dal sodetto rv Primicerio e
preti acciò si fussero pacificati con andar solennemente in Salerno a
riverire monsignore. Fu risposto esser loro sudditi della Santa Sede che da’
Cardinali erano stati ricevuti, benchè non avessero portata la croce. Pretese detto Ecc.mo sig. Duca domine, voler costruire un casino
all’angolo del suo Palazzo, che veniva all’incontro della porta maggiore
della Collegiata di S. Michele, di circa palmi Essendo vacata Non si sgomentò in più persecuzioni, fiere calunnie et
esorbitanti per favore, et in difesa nell’oppressione della Patria, tanto che
con fortezza magnanima soggiacè a due altre carcerazioni penose e dispendiose
nella R. Nuntiatura Apostolica di Napoli, (la seconda però con gran timore di
morte come dirò) con andare fuggitivo e ramingo per vari luoghi e paesi e
dimorare lungo tempo in Roma per cause supposizione, si bene più volte anco
per genio che haveva del commercio d’huomini virtuosi e di cenzi veridici e
cordiali come sono li cittadini di Roma ed abitanti in essa. La prima carcerazione fu in Napoli sotto pretesto di chiamarlo
amichevolmente e trovandoli alcune scritture addosso particolarmente uno
memoriale che andava diretto al sig. Viceré, conte di S. Stefano, per la
difesa dell’Università, che poi uscito, e minacciato a nuova carcerazione il
suddetto sig. Vicerè per liberarlo lo tenne segreto due mesi nel Regio
Palazzo, facendolo chiamare don Giovanni. Si n’hebbe qualche sentore
dall’Avversari, ed a soverchi impegni andarono a carceralo dentro Palazzo; ma
per che lui stava sotto nome di don Giovanni non lo trovarono. Il sig. Viceré
per togliersi da’ impegni li diede luogo e lo fe trasportare in Roma, dove
stiede tre anni sino all’espedita della causa. La seconda carcerazione non meno orribile che scandalosa e
pericolosa fu nella Collegiata e matrice chiesa di S. Michele Arcangelo
propriamente dentro Fra li ministri di singolar dottrina, esempio e autorità e fama
segnalata si annovera il Sig. don Pietro Fusco, Regio Consigliero del
Consiglio di S. Chiara di Napoli ; all’ufficio per meriti promosso, da
me conosciuto ed in varie occasioni parlato nel mentre resiedevo in Napoli.
Questo messo dalla città di Sua Santità Innocenzo XII, Angelo Pignatelli in
occasione della causa di S. Officio, per la stretta amicizia contratta fra di
loro in tempo [quando] il medesimo Pignatelli era arcivescovo di Napoli et il
sig. Pietro avvocato, a sua richiesta fe’ promovere a’ vescovati quelli
soggetti che a lui s’erano raccomandati, diceva il papa. “Questi non li so ma
ho fede a lui vi la propone Pietro”, rispose il Fusco: “bene, bene, visto il
Papa”; “Voglio”, soggiunse il medesimo sig. Fusco farli vedere un soggetto
che haverete gusto” e l’introdusse il suddetto Primicerio, con grande
ammirazione del Papa, a causa dell’aspetto del personaggio, petto e dottrina.
Era di gran genio al Fusco far promuovere a vescovato il medesimo Primicerio
ma lui non volse dicendo “ Veniva chiamato in Roma il suddetto Primicerio l’Arcidiacono et
eletto dal suddetto Papa Pignatelli, rettore nel famoso Conservatorio dal
medesimo Papa Pignatelli instituito nell’antichissimo Palazzo di S. Giovanni
Laterano, et aveva messo per Governatori del medesimo Conservatorio il
Cardinale Francesco Albani (poi Papa), il P. Marchese della Chiesa nuova, il
P. Baldeggiani gesuita et il sig. Leonardo Libri tesoriero di Sua Santità. In
tale officio il suddetto Primicerio, con quattro suoi compagni preti nutriva
quel luogo e con sermoni e con amministrante de sacramenti ammirabilmente, al
spesso visitato da Sua Sanità (che poi renunciò per occorrenze della Patria). Fra pochi mesi il Primicerio si trasportò nell’accademia del
Giesù nuovo, ove fe’ comparire la sua dottrina, stimata dal P. Straniero,
gesuita primo accademico di detto Collegio, come pure in predicare nella
Chiesa del Spirito Santo della nazione napolitana, e di S. Gennaro e di S.
Francesco di Paola, ove sta dipinto il di loro martirio, con udienza nobile
di cardinali prelati e cavalieri, dal che veniva da ognuno stimato e
riverito. Tali motivi furono occasione allo agente del cardinale Grimani,
abate Pennacchio di farlo promuovere ad un vescovato regio, imperochè il suo
naturale non comportava li tratti baronali, ben noto al medesimo agente, e
lui sempre repugnente per l’affetto alla Patria. Monsignor Nora chierico di Camera che assistiva notte e giorno a
Sua Santità mosso da zelo, forzò il suddetto primicerio nel promuoverlo al
vescovato e s’impegnò di farli tutto il necessario di carrozze, vesti,
servitù, argenterie a spese di esso medesimo sig. Noia. Ma perché era nato
per il comune bene della Patria non volse mai acconsentire. Essendo sortita la morte del suddetto Papa Pignatelli, chiamato
Innocenzo XII, fu eletto suo successore il suddetto cardinale Francesco
Albani, chiamato Clemente XI, col quale discorrendo il Primicerio su le
ragioni di una causa, fra esse li rapportò la dottrina di uno scritto
disposto al torchio dall’istesso Albani, [stampato dallo stesso Albani], con
tale espressione, che il medesimo Papa disse, “io l’ho stampato e non me lo
ricordo havvi tanta forza quanta lei me la rappresenta”, con grande gusto
dell’istesso Papa Albani. Il medesimo Papa Albani a cui era ben nota la dottrina e valore
del sodetto Primicerio, voleva anzi forzò il medesimo ad accettare la carica
di Vicario d’Urbino, patria del medesimo Papa Albani, e ne anco volle
accettarla, sempre per l’affetto alla Patria, e che una sposa doveva avere, e
che era quella della cura della Collegiata di S. Michele. Il Papa vi mandò il cardinale San Vitale e male aggiaccato si ne
ritornò. Ci mandò poi altro soggetto col titolo di Arcivescovo con la pensione
di 3700 scudi. Il sodetto Papa Albani haveva sempre a memoria il sodetto
Primicerio, et il suo Auditore all’hora monsignore Corradini poi cardinale,
voleva sempre consulte dal sodetto Primicerio, e lo chiamava arcidiacono, et
essendosi poi ritirato in Solofra il sodetto Primicerio, e promosso al
cardinalato il detto Corradini, nel mentre il rv parroco dn Aurelio
Giliberti, li portò le grazie del Primicerio dall’esaltatione disse:
“Avvisate il sig. Arcidiacono che stia lesto”. Non volle mai in vita sua il sodetto Primicerio far dipingere il
suo ritratto in tela rimproverando taluni proponenti, ch’era vanità del
mondo, imitando i gesti nobili d’umiltà dell’imperatore Ottaviano, alla
onorata memoria del quale scrive il Fieravanti nel cap. 2° del 2° libro del
suo specchio di scienze universali, che li fu presentata una tavola, in cui
da eccellente pittore vedeasi dipinti tutti li principi virtuosi e per capo
il medesimo Ottaviano, a pie’ de’ quali li tiranni, fra quali Falano siciliano.
Il savio imperatore lodò molto la bellezza della pittura ma non approvò
l’invenzione dicendo : «A me non pare cosa giusta, né onesta che
essendo, come sono vivo, sia posto per capo de’ Principi virtuosi che son già
morti; imperochè durante il tempo di questa mia vita siamo sempre soggetti ai
vizi della fragile carne. Si conserva però il suo ritratto da’ suoi congiunti pinto doppo
morto. Del valore del suddetto rev. Primicerio gode anco Solofra la
pristina libertà come ogni altra patria convicina, nella compra de grani per
proprio uso, di taluni forasteri di vari paesi, che per lo più in tempo di
raccolta per propri bisogni lo trasportano vendendo in tutte giornate in vari
luoghi, fra quali Solofra con scaricare nella Piazza, e quando non trovano a
venderlo, lo ricaricano e trasportano a venderlo in Montoro e S. Severino;
imperochè la sig.ra Principessa d’Avellino verso il 1730 l’impediva in Serino
facendoli condurre nella dohana d’Avellino con gran danno de’ poveri
venditori, sia per il peso della scumarella, che ivi si esigge da’ doganieri,
come per il perdimento di tempo, e prezzo minore per la poca conduttura, come
più prossima detta dogana a’ luoghi di raccolta. Si ritrovava sindaco il m.co
Michele Giliberti, questo conferitosi in Napoli, col parere del sig. don
Francesco Onofri allora avvocato dell’Università assistiva detta sig.
Principessa per evitare li litigi dalla quale si trasportava l’udienza.
Riferito il fatto al Primicerio che in Napoli medesimo si ritrovava andò lui
dalla sig. Principessa et introdotto subito all’udienza e riferitoli
l’impedimento sodetto e della pristina libertà, lo denegò asserendo non
poterli per privilegio. Il Primicerio li rispose che la sua Ecc.ma casa
teneva li suoi avvocati e l’Università anco il suo, e per ciò si fusse fatto
osservare il privilegio, e starsi alla decisione de medesimi, dal che la sig.
Principessa si ne indegnò dicendo che li suoi privilegi non li faceva vedere
a nessuno e lo licenziò. “Sig. Prencipessa” soggiunse il Primicerio “si ne
compiaccia l’Eccellenza sua, per che se si dà passo avanti l’averità a
discorno”, “fate quel che volete” fu l’ultima risposta. Il Primicerio
l’istessa sera si conferì a Palazzo con memoriale del sig. Viceré, li parlò
con tanta espressione che la mattina seguente uscì il sig. Parrico diretto
alla R. Udienza di Montefuscoli per la libertà, dalla quale data l’osservanza
e notificato il doganiero in Avellino si tolse via l’impedimento, e si è
goduta e gode la antica libertà suddetta. |
Testimonianza di Costantino
Vigilante, vescovo di Caiazzo su Giovan Sabato Iuliani
riportata da Vito Antonio Grassi
«Benché giusta il sentimento del morale filosofo non habbia
bisogno d’altra testimonianza di lodi, che puramente di se stessa non men che
il lume, che per esser veduto non ha necessità d’altra luce, con tutto ciò
per secondare l’impulso della nostra sincera amicizia, che habbiamo
professata fin dalla gioventù e professiamo tuttavia al molto ill.mo e rev.
sig. don Gio Sabato Giuliani, primicerio, prima e unica dignità dell’insigne
Collegiata di S., Michele Arcangelo di Solofra nostra dilettissima patria e
per animare non meno i nostri più distinti cittadini all’imitazione et
all’esempio di si degno soggetto, ci vediamo nella necessità di rendere con
questo nostro pubblico attestato un veridico testimonio della verità. Egli
dunque resosi illustre e per la probità dei costumi e per la dottrina doppo
di essere asceso al grado sacerdotale fu oblugato per soddisfare a i comuni
voti della patria ad abbracciare il peso della riferita dignità curata, che
per lo spazio di moltissimi anni sino alla presente matura età l’ha
esercitata con zelo indefesso e con una sollecitudine di vero pastore
ecclesiastico. Ma in oltre a costo di molti suoi pericoli dispendi e pressure
sofferte nelle capitali di Roma e di Napoli, et in altri luoghi dove è
convenuto non ha omessi i mezzi più propri per la difesa del pubblico bene,
onde essendone derivata la comune tranquillità e la pace universale alla
quale non ha pur lasciato di contribuire lo spirito di una sua sorella
bizzoca in aiutarlo et assisterlo ce ne sia consolati non poco, come anco
sentendo presentemente che in tal grado tranquillo stia il medesimo sig.
Primicerio con zelo per il ben comune della patria e de vantaggi e
prerogative delle quali viene illustrata da gli huomini letterati e cospicui.
Et in fede della verità habbiamo ordinato che la presente sottoscritta di
nostra mano e munita del nostro picciolo sigillo si faccia dall’infrascritto
nostro segretario. Dato in Solofra dalla nostra solita abitazione oggi 14
dicembre 1728. Costantino vescovo di Caiazzo”. Locus sigilli. Liberius dal
matinus sec. Passò dalla vita presente alla migliore il sodetto rv primicerio
dn Gio Sabato Giuliani, sotto il dì marzo 1736 d’età sua anni 86 con
universale afflizione [...] e come coronato d’ogni virtù in terra e per li
tanti benefici e prerogative che godé il pubblico per suo mezzo, cossì spero
goda in cielo l’eterna gloria; assicurato da un sogno in cui mi disse che
otto anni doveva stare in purgatorio. Viene confermato questo sentimento dall’espresso dal P.
Bartolomeo Sibilla metropolitano nel suo libro intitolato Speculum
peregrinationum [...]. Fra l’elogi scritti con lettere festose in loda del suddetto
rev. primicerio don Gio Sabato Iuliani affissi nella castellana vi fu il
seguente che esprime al vivo parte delle vere virtù che lo decoraro D. O. M. Que nec virtuti Nobilitati nec Evo parcij Precibus semper surda semper immani Cum ille UJD Primicerius Giuliani Patria honos pauperumque spes Pietati cultor Veritatis propugnator Ecclesia defensor Qui octuagesimo serto expleto iam anno In falcis vulneri tandem cessit memoriam non cessit At si tanti viri invida Vota nostra tenuis Prope Piram lacrimas Pro eius iactura saldem prohibere non potes Tot sunt animi Pathemata Dum corda nostra Luctus occupat. |
Sonetto
del sacerdote dottor fisico don Giremia Minada
Alla
dovuta e pia memoria del quondam degnissimo Primicerio Giuliani vigilantissimo
difensor di questa Patria
Pugnò
senz’armi e sol di zelo armato
mostrò
petto e coraggio ad ogni impresa
e
per il dritto e il giusto alla difesa
richiamo
da macabi e spirto e fiato.
Pari
non vidde mai il tempo andato
In
mantener
duce
in campo Mosè Aron in chiesa
visse
e ridusse l’alme a miglior stato.
Di
palme annoso poi, di gloria e fatti
aperse
l’ali all’eternal riposo
chiudendo
gli occhi al secolo de matti.
Solo
fra gente men fedel non oso
oltre
garrir del Giulian ch’esalti
egual
fe’ i giorni ad un Elia zeloso.
N.B. Nella trascrizione di questo documento sono stati apportati opportuni interventi per rendere più chiara la lettura dello stesso.
1703,
aprile 4.
Attestato
a favore di Giovan Sabato Iuliani, primicerio della Collegiata di S. Michele
Arcangelo.
[...]
Nella nostra presenza costituti il clerico Pietro Antonio Petrone, et
Domenico Antonio Morena della terra di Solofra, li quali interveneno,
spontaneamente con giuramento in presenza nostra, e fanno fede, “come quando
si pagorno docati mille all’heredi del quondam Don Gabriele Petrone per
ordine della sig.ra madre dell’Ecc.mo signor Duca di Gravina, venne
l’Illustrissimo Monsignor de Cavalieri vescovo di Gravina in Napoli
confidente della detta signora Madre a portarli, et aggiustare i patti delle
remissioni, e paci unitamente col Consigliero sig. Pietro di Fusco, et Don
Luigi Chiaiese agente di detto Ecc.mo sig. Duca; Parimenti furno pagati dal
detto Monsignor de Cavalieri per mano del medesimo Don Luigi Chiaiese ducati
trecento restituiti al Rev.do Primicerio Don Gio. Sabato Iuliano di Solofra
per altri tanti che l’erano stati incammarati dalla rev. Nuntiatura di Napoli
per esser andato in Solofra a procurare le dette remissioni, che poi si
ottennero per mezzo di detto primicerio, et testifica detto Clerico Pietro
Antonio, che detto pagamento fu fatto in Napoli in sua presenza, et detto
sig. Domenico Antonio, haverlo allora inteso dire dal detto Ill.mo Monsignor
de Cavalieri, stando il medesimo sig. Domenico Antonio in Napoli per detto
effetto per esser cognato del sig. Gio Benedetto Petrone figlio del detto q.m
Don Gabriele, et sic cum iuramento attestaverunt, et actestant [...]. (ASA,
Notai, anno 1703). |
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[1] Di
lui hanno parlato A. Graziani, Memoria del primicerio D. Giovan Sabato
Iuliani e di alcuni buoni cittadini di Solofra, Avellino, 1889. L’opera ha
il pregio di riportare le memorie del notaio Vito Antonio Grassi contemporaneo
dello Iuliani raccolte in un manoscritto. Le notizie narrate dal Grassi sono
attendibili poiché il Graziani dichiara di averle controllate dall’archivio
Orsini a cui aveva potuto accedere. V. pure F. Scandone, Documenti per
la storia dei comuni dell’Irpinia, Avellino. La raccolta riporta alcuni
documenti riguardanti la vicenda dello Iuliani. O. Caputo, Sacerdoti
salernitani, Salerno, 1981, pp. 149-
[2] Clemente X, della potente famiglia romana dei Colonna, era imparentato con gli Orsini infatti fu questo papa a nominare prima Arcivescovo e poi Cardinale Pier Francesco Orsini, il futuro papa Benedetto XIII. Bisogna considerare che il napoletano era feudo della Chiesa di Roma per cui il papa poteva intervenire nelle nomine ecclesiali.
[3] Il Concilio di Trento nel rimettere ordine nei rapporti tra il clero e l’episcopato diocesano e tra questo e i feudatari al capitolo n. 3 sess. XXIV affermava che era diritto e dovere del clero di dare vitto e alloggio al vescovo in visita.
[4] ADS, VV. PP. cart. 22 (Salerno e diocesi) 1566-1684, fasc. visita personale a. 1681.
[5] G. Crisci,
[6] I feudatari avevano nei loro feudi il mero e misto imperio cioè la possibilità di controllare le cause civili e penali per cui potevano porre sotto accusa e rinchiudere in carcere i cittadini. In questo modo in mano al feudatario c’era l’arma per allontanare ogni opposizione e continuare a perpetrare gli abusi che in un ambiente economico si sentivano maggiormente. Al tribunale erano infatti legate le carceri in cui erano tenuti in modo disumano i condannati che nella maggior parte erano i creditori.
[7] F. Scandone, op. cit., p.
[8] I proventi del feudo di Muro e Gravina andavano alla madre, quelli di Vallata al fratello cardinale.
[9] I canonici erano G. Vigilante, A. O. Landolfi, F. Grimaldi, A. Guarini.
[10] Il Graziani narra che il giorno dopo trovarono il cadavere che fu seppellito, ma non si sa dove.
[11] Il Graziani riferisce che gli fu trovato in tasca un promemoria per il Vicerè spagnolo in cui denunziava le angherie e i soprusi del principe.
[12]
Sembra che la proposta alla nomina a vescovo gli fosse stata offerta prima
anche da Innocenzo a cui il primicerio avrebbe risposto :«La patria chi
l’aiuta?» e dallo stesso Orsini divenuto papa a cui rispose: «La mia Sposa è
[13] Nel racconto di Vito Antonio Grassi c’è anche il fatto che l’Orsini aveva deciso di costruire un “casino” all’angolo del suo palazzo di fronte alla porta della Collegiata per assistere alle funzioni senza entrare nella chiesa e che in questa opera fu ostacolato dal primicerio e da altri solofrani fino a che dovette desistere. Questo fatto ha dato il via al racconto di un ponte costruito dall’Orsini dal suo palazzo alla chiesa e tagliato da San Michele.
[14] A.S.N, Partium Collaterale, vol.
[15] A.S.N, cit.. Il governo civico, che aveva inviato il ricorso contro il Murena, era costituito dal sindaco Alessio Landolfi e dagli eletti Felice Petrone, Carmine Grasso, Giuseppe de Maio e Giuseppe Giannattasio. Avevano firmato anche i parlamentari Antonio Landolfi, Altobello Garzilli, Alfonso e Giuseppe Guarino, Matteo Garzilli, Andrea Pandolfelli. Ne aveva autenticato le firme il notaio Antonio Grassi di Solofra.