Sant’Agostino e il dialogo oggi
di Rita Melillo
Da sempre si è pensato che
il tratto caratteristico dell’essere umano sia il linguaggio concettuale, che
lo renderebbe superiore ad ogni altro essere vivente. Questo della superiorità
non è un argomento che attrae la mia attenzione in questo momento, ma piuttosto
mi attrae quello della possibilità, che lo strumento linguistico fornisce,
di interagire con gli altri. Infatti,
per le teorie più avanzate pare che le parole non siano un mezzo per designare
“dei pezzi di mondo”, che non siano utili a “parlare delle cose”, ma è
importante l’uso che l’uomo fa delle parole all’interno di un contesto
socio-culturale e spazio-temporale per esprimere le sue credenze, i suoi
desideri, i suoi sentimenti, i suoi scopi: si è passati da una concezione del
linguaggio designativo ad una concezione del linguaggio espressivo: “Come se ci
fosse una sola cosa che si chiama: ‘parlare delle cose’. Invece, con le nostre
proposizioni facciamo le cose più diverse. Si pensi soltanto alle esclamazioni.
Con le loro funzioni diversissime. Acqua!, Via!, Ahi!, Aiuto!, Bello!, No!
Adesso sei ancora disposto a chiamare queste parole ‘denominazioni di cose’?
(…). E c’è ancora un gioco linguistico: inventare un nome per una cosa”1.
La capacità dell’uomo di esprimere se stesso è diventata l’unica possibilità di
auto-realizzazione, tanto che piuttosto che ripetere la formula aristotelica,
secondo cui l’uomo è un animale razionale, per Taylor l’uomo è un “animale che
possiede un logos”. Questo termine è
sicuramente polisemico (significa discorso, ragione, intelligenza, giudizio, e
altro ancora), ma linguaggio è il significato più ampiamente accettato. Nel
dettagliato lavoro sulle radici dell’io, nel quale ricostruisce la formazione
della soggettività nel mondo occidentale, egli non può non partire da
Sant’Agostino2. Il linguaggio viene visto soprattutto come attività
del parlare, attività con cui esso viene continuamente creato, modificato e
ricreato: il linguaggio viene visto, alla maniera romantica, come enérgeia.
E di coscienza, di persona,
di linguaggio, di dialogo, di Sant’Agostino si è parlato di recente. Di fronte
al magnifico Duomo di Orvieto, nella sala dell’Opera del Duomo ha avuto luogo
il 22 e 23 settembre 2006 il seminario La
filosofia come dialogo. Agostino nel pensiero contemporaneo, organizzato
dal Centro Studi Agostiniani di Perugia, da La Provincia Agostiniana d’Italia,
dall’Università di Perugia e dall’Università di Macerata.
Dopo il saluto delle
Autorità e del vescovo, Sua Eccellenza Giovanni Scanavino, il quale ha
pubblicamente ammesso di essere felice di ospitare il seminario nella sua
diocesi - lo ha dimostrato seguendo i lavori con attenzione e grande
sensibilità, e animando spesso la discussione su questioni di grande rilievo -
il Prof. Antonio Pieretti (Università di Perugia), che ha presieduto la
sessione mattutina del 22, ha dato la parola al Prof. Lucio Cortella
(Università di Venezia), che ha tenuto una relazione dal titolo La natura dialogica della moralità. È
stata un’esposizione densa e interessante sul problema della morale, che ha
spaziato dal formalismo kantiano al rapporto servo-padrone in Hegel, senza
trascurare l’Io e il non-Io di Fichte. Il problema centrale su cui Cortella ha
concentrato la sua attenzione è quello del riconoscimento: perché possa
instaurarsi un rapporto tra due persone è necessario che l’uno riconosca
l’altro e si faccia, per così dire, suo servo; ugualmente l’altro deve fare
verso l’uno. Cortella dice: “Noi sentiamo l’obbligo e il rispetto verso l’altro
perché abbiamo fatto originariamente esperienza dell’obbligo e del rispetto
dell’altro nei nostri confronti. In questo ethos si costruisce la nostra
moralità ed esso caratterizza la nostra forma comunicativa di vita”. Dunque,
perché vi sia la moralità è necessario il riconoscimento reciproco. Non si può
negare che il riconoscimento è di fondamentale importanza, in quanto senza di
esso l’essere umano non potrebbe esistere come persona, che si costruisce
proprio nei rapporti con gli altri: la persona ha bisogno di una comunità, su
cui poggia le sue basi la morale, che non avrebbe motivo di essere se l’uomo
vivesse da solo. Se l’uomo fosse solo, come Kant ha scritto nella sua Critica del Giudizio, non sarebbe capace
di grandi opere, non sarebbe capace neanche di apprezzare il bello, ma si
accontenterebbe di vivere in una capanna. Si capisce, quindi, che
l’impossibilità di un riconoscimento, da parte della società cui apparteniamo,
significa un’esistenza vana, di esseri senza consistenza che non lasciano
tracce. “Sapere chi sono è sapere dove sono. La mia identità è definita dai
doveri e dalle identificazioni che conferiscono il contesto o l’orizzonte in
cui io posso tentare di determinare caso per caso cosa è buono, o degno di
valore, o cosa deve essere fatto, o cosa io sostengo oppure rifiuto. In altre parole,
è l’orizzonte entro cui riesco a situarmi”3.
Il problema della
reciprocità del riconoscimento è intrigante, perché mentre da una parte mi
attrae, dall’altra mi crea enorme turbamento: come dobbiamo regolarci, infatti,
con individui che sono in coma e non godono più della reciprocità del
riconoscimento, o con i feti, che non si trovano ancora in tale situazione?
Sono da considerare “persona”, o cosa sono?
La
seconda relazione della mattina del 22, dal titolo La filosofia come dialogo “al
femminile”, è stata tenuta dalla Prof.ssa Laura Boella (Università di
Milano), che ha interessato la platea con uno spaccato tutto al femminile. Ha
parlato, infatti, di pensatrici come Simone Weil, Hannah Arendt, e di studiose
come Ingeborg Bachmann, Elsa Morante, Iris Murdoch, Cristina Campo. Con un
linguaggio chiaro e pacato ha sottolineato all’attenzione dei presenti che tra
“pensatrici” e “studiose” si instaura un “dialogo a distanza”, per cui le
seconde non tentano di spiegare al lettore delle loro opere il pensiero delle
“pensatrici” prese in esame, ma piuttosto sono attratte dal dialogo che
riescono a stabilire con esse. “Porre questo problema vuol dire far emergere un
altro aspetto del dialogo a distanza: le autrici (…) spesso non desiderano
tanto trasmettere informazioni o significati già codificati, ma tendono a
instaurare una relazione di attenzione e di comprensione globale dell’altra (la
pensatrice) a partire dalla propria posizione nel mondo, dalla propria
esperienza. Per molte studiose quello con le pensatrici o con una pensatrice è
stato un vero incontro, che scavalca l’assenza, la lontananza temporale
dell’altra”.
La sessione pomeridiana è
presieduta dal Prof. Graziano Ripanti, che sostituisce il Prof. Luigi Alici
(Università di Macerata), il quale interviene nel dibattito mattutino animando
vivacemente la discussione in merito al problema del riconoscimento, ma non può
trattenersi, per impegni improrogabili che lo portano altrove. Ripanti dà la
parola alla Prof.ssa Paola Ricci Sindoni (Università di Messina), che tiene
un’interessante relazione dal titolo La
filosofia come dialogo: tra ebraismo e cristianesimo.
L’esposizione
è ricca di sollecitazioni suscitate dalla trattazione del dialogo in figure
come Martin Buber, Franz Rosenzweig e André Neher. La riflessione sulla
comunicazione dialogica di tali pensatori spinge la Ricci Sindoni a studiare il
dialogo in Sant’Agostino e ne viene di conseguenza un confronto tra il dialogo
nell’ebraismo e il dialogo nel cristianesimo. Il punto focale del discorso è
che perché vi possa essere il dialogo è indispensabile che oltre al tu
dell’altro vi sia soprattutto il Tu di Dio: cioè, per incontrare l’altro è
necessario incontrare Dio. Questa riflessione porta la studiosa ad approfondire
il suo discorso in merito a ciò che il dialogo è per Sant’Agostino, il quale si
era nutrito di dialogo sin dalla giovinezza, sin da quando si incontrava con
gli altri giovani per discutere dei problemi che lo angustiavano. La Ricci
Sindoni dice che l’attitudine speculativa di Agostino matura proprio in tale
atmosfera e si concretizza nella ricerca della verità, tant’è che anche nei Soliloquia egli si esprime in maniera
dialogica. Nelle Confessioni,
continua la studiosa, vi è la trasposizione dell’interno all’esterno: Agostino
vuole che la sua vita testimoni che tutto ci viene da Dio. È fondamentale
questo elemento perché si mette in evidenza che vi è il Logos
dell’incarnazione, mentre per l’ebraismo c’è ancora l’attesa del messia, ed è
piuttosto concentrato sull’etica del dialogo: l’attenzione è rivolta in
particolare allo spazio del “fra”, zona neutra dove sia il “tu” che “l’io”
possono esprimere la propria realtà.
La
studiosa conclude dicendo: “Se il dialogo diventa nel ’900 una categoria
“speculativa”, specie in ambito giudaico, in Agostino si qualifica come
“metodo” del pensare, non più raccolto nella monologia della coscienza, ma
integralmente offerto all’evidenza relazionale, allo sguardo di Dio e a quello
dell’uomo”.
La
mattina del 23 i lavori riprendono con la presidenza del Prof. Italo Sciuto
(Università di Verona), il quale dà la parola al Prof. Sergio Givone
(Università di Firenze). La sua relazione, dal titolo La voce e le voci, a partire da Wittgenstein, è molto interessante
ma parte da molto prima di Wittgenstein, per la verità, in quanto il discorso
inizia addirittura da Petrarca e dal rapporto spirituale con Sant’Agostino, che
egli eleva a suo Maestro. Certo, la ricchezza interiore del poeta non è da meno
rispetto a quella di Agostino, ed è tanto potente che Petrarca può scrivere i suoi
versi anche in assenza della musa ispiratrice: qualcuno ha messo in dubbio
l’esistenza di Laura, ma ciò non intacca minimamente il valore del testamento
spirituale che Petrarca ci ha lasciato, al pari di Sant’Agostino. Naturalmente
sono due voci diverse, perché diverso è il contesto nel quale vivono ed operano
e quindi si esprimono per forza di cose in maniera diversa.
Tale
discorso sposta l’attenzione su Wittgenstein, che pone l’accento
sull’importanza del contesto: la voce è unica e non dovrebbe scomparire nemmeno
quando si legge. Per Givone vi deve essere il primato dell’oralità sulla
scrittura, guai se non facciamo risuonare la voce: anche quando scriviamo un
romanzo, secondo lui, noi abbiamo un’eco nella nostra mente della voce dei
personaggi. E conclude dicendo che la scrittura non è solo fissare su carta: il
Logos è quasi una scrittura dell’Essere.
La mattina continua con la
relazione Agostino e la filosofia come
dialogo nel pensiero contemporaneo del Prof. Carmelo Vigna (Università di
Venezia), il quale appassiona la platea con la sua esposizione brillante ed
energica portando l’attenzione di tutti sul protagonista del seminario:
Sant’Agostino. Il relatore parte dal platonismo e dal neo-platonismo di
Agostino, che li accetta ma con riserve, in quanto se è vero che egli accetta
l’immutabile, è anche vero che non dimentica la finitudine.
Io mi permetto di
sottolineare che le Confessioni
consistono in un continuo intreccio di piccolo e di Grande, di miserevole e di
Maestoso, di peccato e di lode, di disperazione e di beatitudine, di io e di
Dio. Già dalle prime righe si può evincere il programma dell’intera opera: “Sei
grande, Signore, e degno di altissima
lode; grande è la tua potenza
e incommensurabile la tua sapienza.
E vuole celebrarti l’uomo, questa particella della tua creazione, l’uomo che si
porta dietro la sua morte, che si porta dietro la testimonianza del suo
peccato, della tua resistenza ai superbi:
eppure vuole celebrarti l’uomo, questa particella della tua creazione. Tu lo
risvegli al piacere di cantare le tue lodi, perché per te ci hai fatti e il
nostro cuore è inquieto finché in te non trovi pace”4.
Il dialogo di Sant’Agostino,
quindi, è dialogo con l’immutabile, con Dio per ricercare la verità, ma oggi il
dialogo è diventato una specie di vulgata a cui non ci si può sottrarre: nella
conflittualità endemica che ci caratterizza il dialogo è diventato una
procedura in quanto la verità ci è sfuggita di mano e non c’è, secondo Vigna, niente su cui possiamo convenire. Ci
deve essere, invece, come Agostino ha sottolineato, una verità stabile che sia
garante dell’io. Il dialogo è il modo in cui due persone si nutrono l’una
dell’altra, ma vi deve essere apertura reciproca: uno spirito va verso un altro
spirito. Questo è il vero modo di intendere il dialogo per Agostino, secondo Vigna:
l’essere umano è un’apertura trascendentale, che è inspiegabile se non ha una
verità stabile su cui poggiare.
Il seminario è stato arricchito dagli interventi di numerosi studiosi e tra gli altri da Luigi Alici, Antonio Allegra, Giuseppe Balido, Marco Bastianelli, Giorgio Benelli, Mauro Bozzetti, Antonio Pieretti, Graziano Ripanti, Aurelio Rizzacasa, Giuseppina Santucci, Sua Eccellenza Giovanni Scanavino, Italo Sciuto.
Ma il tutto è stato reso
possibile dall’instancabile Padre Remo Piccolomini (Direttore della Nuova
Biblioteca, che cura la pubblicazione di tutta l’Opera Agostiniana), il quale
profonde tutte le sue energie a divulgare l’opera di Sant’Agostino, a mettere
in luce l’attualità del suo pensiero e a sottolineare la novità della sua
concezione di persona.
Egli, infatti, ha dato vita
nel 1988 a Perugia - insieme con Antonio Pieretti e Luigi Alici - al “Centro di
studi agostiniani”, che ogni anno ha organizzato una nutrita attività
seminariale, focalizzando l’attenzione degli studiosi, dei partecipanti ai seminari
e dei lettori degli Atti5 su punti nodali del pensiero di Agostino.
Gli incontri -che si sono tenuti inizialmente a Perugia e poi a Cascia - dal
2002-’03 hanno dato vita ad un terzo ciclo di seminari, che intendono
concentrare l’attenzione sulla filosofia come dialogo e sulla valenza del
dialogo per Sant’Agostino, come è emerso anche dai lavori appena terminati.
E
mi piace concludere questa nota sul seminario proprio riportando un passo da
una delle tante opere da lui dedicate a Sant’Agostino, in particolare da quella
dedicata a mettere in luce l’attualità del suo insegnamento: “A quest’uomo
straordinario vogliamo chiedere, prima di terminare, che cosa abbia da dire
agli uomini di oggi. Penso che abbia da dire veramente molto, sia con l’esempio
che con l’insegnamento. A chi cerca la verità insegna a non disperar di
trovarla. Lo insegna con l’esempio – egli la ritrovò dopo molti anni di
faticose ricerche – e con la sua attività letteraria della quale fissa il
programma nella prima lettera scritta poco dopo la conversione: ‘A me sembra
che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità’.
Insegna pertanto a cercarla ‘con umiltà, disinteresse, diligenza’, a superare:
lo scetticismo attraverso il ritorno in se stessi, dove abita la verità; il
materialismo che impedisce alla mente di percepire la sua unione indissolubile
con le realtà intelligibili; il razionalismo, che ricusando la collaborazione
della fede si mette nella condizione di non capire il ‘mistero’ dell’’uomo’6.
------------
1. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino
1995, p. 23.
2. Charles Taylor, Le radici dell’io.
La costruzione dell’identità, titolo originale
Sources of the Self. The Making of
the Modern Identità, Harvard
University Press, Cambridge (mass.) 1989; Feltrinelli, Milano 1993.
3. Ivi,
p. 40.
4. Agostino, Confessioni, Garzanti, Milano 1999, Libro I, 1.1.
5. Sono stati sempre pubblicati gli Atti.
La discussione sul tema trattato nel primo ciclo di seminari, che era
“l’interiorità e l’intenzionalità in Sant’Agostino”, si è concretizzata nei
seguenti volumi: Luigi Alici (a cura di), Interiorità e intenzionalità in
S. Agostino, “Institutum Patristicum Augustinianum”, Roma 1990; Remo
Piccolomini (a cura di), Interiorità e intenzionalità nel “De civitate Dei”
di Sant'Agostino,
Roma 1991; L. Alici - R. Piccolomini - A. Pieretti (a cura di), Ripensare
Agostino: interiorità e intenzionalità, Roma 1993. La discussione sul tema
trattato nel secondo ciclo di seminari, che era “il mistero del male e la
libertà possibile”, si è concretizzata nei seguenti volumi curati ogni volta da
Luigi Alici, Remo Piccolomini e Antonio Pieretti: Il mistero del male e la
libertà possibile: lettura dei Dialoghi di Agostino,
Roma 1994; Il mistero del male
e la libertà possibile: linee di antropologia agostiniana,Roma 1995;
Il mistero del male e la libertà
possibile (III): lettura del De civitate
Dei di Agostino,Roma 1996; Il mistero del
male e la libertà possibile: 110 Ripensare
Agostino,Roma 1997.
6.R. Piccolomoni – N. Monopoli, L’attualità di Agostino, Città Nuova,
Roma 2005, p. 245.
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