Le ore canoniche
Una volta, quando l’Universitas era governata dalle diverse chiese
parrocchiali, quando cioè la vita sociale, politica, ed economica trovava il
suo fulcro attorno al tempio di Dio, la giornata del cittadino era regolata in
base alle ore canoniche, che, stabilite dalla Chiesa per la celebrazione
dell’Ufficio divino, erano state adottate dal popolo onde dare un ritmo
costante alla sua giornata di lavoro.
Esse, prima della riforma
introdotta al Vaticano II con la Costituzione liturgica, erano annunciate dai
ritocchi delle varie campane.
Prima dell’alba c’era il
“mattutino”.
Ricordo la mamma che si segnava col segno della
croce e recitava, e noi con lei, l’Angelus. Tempi ormai dimenticati dai più e
mai conosciuti dalle nuove generazioni. Il “mattutino” era l’ora del risveglio:
nelle case si accendeva il lume a petrolio o la fioca lucerna ad olio, gli
uomini si preparavano ad uscire di casa per andare al lavoro, le vie (quelle
tortuose e vecchie vie, belle e romantiche, piene di antica istoria, affiancate
da povere case, ove generazioni di nostri antenati erano vissuti sereni, quelle
case che non rivedremo mai più), le vie, dico, si popolavano di gente, che, nel
recarsi al lavoro, auguravano il “buon giorno” al collega, al bottegaio, al
sarto, al ciabattino (cara memoria di Rondoro, sempre
scherzoso e indaffarato).
Le campane, come ad un segnale
convenuto, facevano sentire la loro voce: Cappuccini chiamava le “Monacelle”,
il campanone del “mio bel San Michele” cantava con Santa Croce, in coro
rispondevano San Giuliano, Sant’Andrea e Sant’Agata: era un richiamo festoso
che invitava al dovere della vita.
Dopo il “mattutino”, ad un orario prestabilito,
seguivano “le lodi” (all’alba), “l’ora prima”, “l’ora terza”, “l’ora sesta”,
“l’ora nona”, “il vespro” e la “compieta”. Nei miei ricordi, le ore più
importanti erano il “mattutino”, il “mezzogiorno”, “ventiquattrore” e “l’ora di notte”. Poi c’era “campanella”, ora canonica del
tutto popolare e solofrana, che suonava un’ora prima di mezzogiorno. Era
chiamata “campanella” in contrapposizione al segnale maestoso del
“mezzogiorno”, perché veniva suonata con piccole campane dal suono svelto e
allegro.
A quel segno in casa si
smettevano le opere di cucito o di lavatura per dare inizio al rito più
importante e preoccupato della giornata: quello della cucina. Venivano accesi i
fornelli, quelli a carbone e quelli a legna. Si preparava la verdura e si
aumentava il fuoco sotto la pentola dei fagioli.
Non c’erano sveglie in casa, neppure un orologio da
polso, e tutta la giornata domestica era regolata dal cammino del sole o, e
soprattutto, dal suono delle campane. Spesso Maria, un poco distratta, era
costretta a chiedere a Carmela “è suonata campanella?”, perché Michele, e con
lui tutti gli altri operai delle concerie, pretendeva, ed a ragione, che al
rientro a casa, a mezzogiorno, il cibo doveva essere cotto e scodellato. Perché
Michele doveva trovarsi all’una di nuovo sul lavoro e non poteva perdere tempo,
né il “padrone” era disposto a giustificare un minuto di ritardo.
La gente di Solofra non era però formata solo di
operai delle concerie, c’erano anche fabbri, falegnami, calzolai, sarti,
commercianti e muratori. Fra i tanti muratori, ricordo il segaligno e svelto
“mastro Taddeo”. Era un uomo intelligente e intraprendente (otteneva la malta,
a volte, impastando sabbia e cenere di legna). Praticato agli usi ed ai costumi
del paese, era schietto nel parlare e il vernacolo ed i modi di dire paesani
assumevano in lui l’ufficialità della lingua.
Ora avvenne un giorno che, mentre mastro Taddeo era
intento alla sua opera, due donne vennero a diverbio e dalle parole passarono
ai fatti.
Si accapigliarono e poi si querelavano.
La faccenda andò a finire davanti al Pretore.
Testimone oculare: mastro Taddeo. Iniziato il
processo, fu chiamato il mastro a testimoniare.
”Giuro di dire la verità….”.
“Mi chiamo::::”.
“La comare Francesca…
Allora il Pretore:
”Prima di esporre i fatti cerchiamo di
puntualizzare l’ora in cui avvennero”.
Mastro Taddeo a che ora ci fu la
lite?..
“Signor giudice ‘a via e
campanella”.
“Buon uomo, io non ho chiesto la
via, voglio sapere l’ora”.
“Signor Pretore ‘a via e
campanella”.
Il magistrato, allora, credendo
che il teste volesse prendere in giro la Corte, si alzò di scatto e incominciò
con aspre parole a rimproverarlo. Al che, mastro Taddeo, replicò che il fatto
era avvenuto proprio quando diceva lui e cioè “’a via e campanella”.
Dovette intervenire, per placare
l’irritazione del magistrato e l’ilarità del pubblico (scarso in verità) uno
degli avvocati presenti, che per fortuna era di Solofra.
Capì il Pretore. E la vicenda
passò nella storia (paesana e folcloristica) di Solofra.