Gli Orsini di Solofra
1555-1809
Una delle poche famiglie baronali con
molte terre e con un impero feudale in Puglia
Un dominio che si sviluppò in un periodo in cui la
feudalità era diventata una classe dominante, dotata di molti privilegi
giurisdizionali ed economici.
Una
famiglia potente e scaltra che
seppe mettere in atto una complicata strategia di incroci
familiari con la creazione di nuovi rami a livello di tutti i figli che permise
ai beni di passare da una linea all’altra assicurando la continuità della
famiglia.
Il palazzo Orsini, un caratteristico palazzo rinascimentale, costruito
nella seconda metà del XVI secolo.
Un palazzo espressione della potenza della famiglia
feudale.
Il feudo di Solofra subì una serie di passaggi
Nel 1558 Beatrice Ferrella, vedova di Ferdinando Orsini I, duca di Gravina dette Solofra al quartogenito
Ostilio mentre il quintogenito Flaminio I ebbe
Vallata. Nel 1579
Per evitare
l’estinzione del ramo e il passaggio del feudo ad altra famiglia, Dorotea,
divenuta feudataria di Solofra, alla morte del padre (1605), fu fatta sposare a
Pietro Orsini, figlio di Ostilio e di Diana del
Tufo e quindi di linea cugina. Il feudo però non venne
assegnato in dote a Dorotea, ma subì una serie di trasferimenti per trasformarlo
di linea maschile. Fu infatti venduto a Lucrezia
del Tufo (1614), nonna di Dorotea che lo cedette a Diana del Tufo sua
sorella e sposa di Ostilio e quindi al figlio Pietro, marito di
Dorotea, il quale ottenne anche il trasferimento del titolo di principe su
Solofra (1620).
Questo itinerario
permise la riunione di tutti i feudi, per estinzione dei rami, nelle mani del
figlio di Pietro e di Dorotea, Ferdinando II Orsini (1641), che
all’inizio fu sotto la tutela della madre ma morì
giovane nel 1658. Gli successe Pier Francesco Orsini nato dal matrimonio
di Ferdinando II con Giovanna della Tolfa e che
governò dal 1659 al 1668 quando rinunziò al feudo
(entrò nell’ordine dei frati predicatori col nome di frate Vincenzo Maria, sarà
poi papa Benedetto XIII) a favore del fratello Domenico (1668-1705).
Domenico I Orsini sposò Luigia Altieri e poi Ippolita di Tocco da cui
nacque Filippo (1685) che nel 1705 divenne erede del feudo (sposò
Giovanna Caracciolo nel 1711 e Giacinta Ruspoli nel 1718) e morì nel 1734. Gli successe il figlio Domenico
II Orsini (nato nel 1719) che morì nel 1789 quando
fu dichiarato erede il figlio Filippo II che (sposò Maria Teresa Caracciolo figlia di Marino principe di Avellino) ebbe
l’ultima intestazione del feudo. Il figlio Domenico III (nato nel 1765) morì
nel 1790 prima del padre lasciando Domenico IV (nato nel 1790 postumo da
Faustina Caracciolo figlia di Giuseppe principe di
Torella) che ebbe con l’Universitas varie liti dopo
l’abolizione della feudalità.
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Il palazzo Orsini di fronte alla Collegiata esprime
l’opposizione della famiglia feudale alla Comunità che si identificava nella
sua chiesa madre.
La storia degli Orsini
a Solofra è ricca di episodi
di contrasto che culminarono nella lotta, una vera guerra civile, tra
la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, tra il primicerio Giovan Sabato Juliani e il
feudatario.
La famiglia Orsini, che per mantenere la posizione di privilegio e il tenore
di vita che richiedeva la permanenza a Napoli ebbe bisogno di sempre maggiori
entrate, riuscì a trarre dalle attività solofrane il maggior profitto e a
sfruttare il feudo nel modo più proficuo persino con la revisione
dei patti statutari.
Gli Orsini si introdussero direttamente
nella economia locale favorendola ed aumentandone la struttura produttiva ma a
loro esclusivo vantaggio.
Sotto il governo degli
Orsini la vita dell’Universitas
fu segnata dal peso dei debiti subendo la ritorsione dei creditori. La comunità
fu costretta a fare una revisione dei fuochi per
aumentare i gettito fiscale, a subire tasse e gabelle che pesarono sulle
attività locali.
La revisione
degli Statuti (1574) portò a diversi abusi feudali e favorì la creazione di una
giunta governativa (Decurionato) dominata da
un’oligarchia filofeudale.
Lungo tutto il XVII
secolo la comunità, che nel 1606 aveva raggiunto 892 fuochi con un aumento in
40 anni di 200 fuochi, completò la costruzione della Collegiata
ma sentì fortemente la presenza feudale.
Gli Orsini costruirono
anche il Monastero di S. Maria delle Grazie (poi di S. Chiara)
e la chiesa di San Domenico che furono lucrose
operazioni economiche.
Le angherie feudali
negative per l’economia locale provocarono un aumento dell’opposizione di una
gran parte della popolazione.
La partecipazione di
Solofra alla rivolta di Masaniello (1647) ebbe il significato di una forte
opposizione antifeudale e il suo fallimento non smorzò il "moto di
ribellione" che fu ulteriormente acuito dalla crisi della grande peste del 1656.
Intorno al dominio
feudale nacque un forte contrasto in seno alla comunità solofrana che si divise
in due gruppi uno dei quali riuscì a consolidare il suo potere e a dominare nel
governo della Universitas.
Infausta fu la
figura del feudatario, Domenico Orsini che si accaparrò una fetta non
indifferente delle gabelle oltre a diversi diritti sulla vendita dei prodotti,
rendendo impossibile ogni spinta di modernizzazione,
mentre la presenza di governatori ed di agenti feudali esosi, una vera longa manus del feudatario
sulle attività locali, fu ancora più perniciosa.
“Le rivendicazioni sfociarono in un violento contrasto
antifeudale che coinvolse - tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII -
tutta la popolazione in un clima di feroce guerra civile che fu un momento significativo di tutta la storia vicereale solofrana”.
1693. Il duca di Gravina chiede di trasferire
in quella città le tre cappellanie erette in Solofra da sua zia Dorotea Orsini.
L’episodio, causato
dal tentativo dell’Orsini di controllare direttamente le attività mercantili
con il loro spostamento nella piazza antistante il suo
palazzo, vide schierata da una parte la maggioranza della comunità capeggiata
dal primicerio Giovan Sabato Juliani (1651-1736)
che subì prigionia ed esilio, dall’altra il feudatario sostenuto da quella
parte del patriziato mercantile solofrano che aveva benefici dallo stare dalla
parte del principe.
Il patriziato delle
finanze - una ristretta oligarchia - , ancor più
arricchitosi con le riforme di Carlo III, riuscì a non perdere il controllo del
governo della Universitas, mentre la parte più ampia
della comunità non riuscì a porre un freno a quella preponderanza.
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Lungo tutto il Settecento nella società solofrana
il ceto più attivo, per sostenere l’antica tendenza ad una vita più autonoma in
opposizione alla feudalità, ebbe il contributo anche da quelli che, come si
diceva, “vivevano nobilmente” o “vivevano del suo” e che
poggiavano questo vivere sulle attività mercantili e finanziarie, possedendo a
Solofra concerie e botteghe, accanto ai quali c’erano coloro
che avevano spostato le loro attività artigianali nella capitale.
A metà Settecento erano censiti 509 membri di 77
fuochi esercitanti le attività liberali, tutti con impegni mercantili e
finanziari e tutte famiglie più o meno direttamente
impiantate a Napoli, che intrattenevano rapporti commerciali con la terra di
origine, svolgendo in prima persona e concretamente tali attività.
Essi
sostennero le istanze di rinnovamento del secolo in
funzione moderata e quindi il moto rivoluzionario del 1799.
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