La storia

 

Il difficile inizio del dominio degli Orsini a Solofra

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Nel periodo demaniale (1535-1555) la comunità solofrana non fece quel salto di qualità che le prospettive della sua economia facevano sperare.

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Solofra sperimentava la politica della Spagna nelle terre da essa dominate

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Nella società presero corpo due partiti:

·         uno sosteneva l’autonomia feudale

·         uno vedeva nella feudalità un modo per difendersi dalle debolezze della situazione in cui il Meridione versava come provincia della grande potenza spagnola.

 

C’era un grave problema: gli alloggiamenti

Era una piaga che colpiva le comunità che erano costrette ad alloggiare le truppe degli eserciti fornendo loro alloggi e vitto anche per molto tempo, in quanto i soldati si abbandonavano a ruberie e distruzioni, disturbavano le donne, né erano rispettosi delle realtà locali. Le comunità più danneggiate erano quelle che poggiavano la loro economia sul commercio e sull’artigianato che praticamente si fermava o rallentava sostanzialmente.

Grande colpa in questa situazione ebbero i vicerè che non protessero le comunità che potevano costituire il nerbo economico del Meridione.

 

I danni a Solofra raggiunsero anche i 2000 ducati l’anno

 

Il rimedio

A questa situazione si poteva rimediare dandosi ad un feudatario che avrebbe potuto trasformare Solofra in Camera riservata

Era una specie di ombrello che proteggeva dagli alloggiamenti. Il feudatario infatti poteva trasformare alcune terre del suo feudo in terre protette ottemperando ad alcuni obblighi come il dover abitare in questo luogo.

 

La conseguenza

Nel 1555, scaduto il tempo che legava l’Universitas ad Alessandro Antinori, si decise di rinunziare all’autonomia demaniale. In una riunione molto contrastata e affollata la comunità solofrana votò la vendita delle proprie terre a Beatrice Ferrella, duchessa di Muro e vedova di Ferdinando Orsini. La famiglia feudale era una delle più rappresentative del Meridione che aveva a Gravina di Puglia il centro del feudo.

 

L’opposizione

Coloro che si opposero proposero ai solofrani facoltosi

ce n’erano molti che possedevano più di ventimila ducati

di diventare finanziatori della propria Universitas.

 

Forse la comunità non era pronta a questo passo qualificante, comunque vinse il partito feudale e Solofra divenne di nuovo terra sottoposta a un signore.

 

La compera di Solofra

 

La Orsini comprò Solofra per oltre 24.000 ducati.

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7.500 ducati andò alla Regia Corte.

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Gli altri ducati servirono per pagare i creditori della Universitas e cioè:

Andrea Giovanni Orilia (5000 ducati),

Alessandro de Antenoro (ducati 3300),

Mazzeo Massa (ducati 1500),

Paolo, Gio Vincenzo et Andrea Massa (ducati 1500),

Pietro e Tommaso Coppola (ducati 1500),

Giovan Battista Soprano (ducati 1500),

Andrea de Carluccio (ducati 1500),

Giovanni Andrea de Licterio (ducati 942).

 

L’Univesritas non vendette alla feudataria alcuni diritti dando ad essa, su questi, solo un introito:

jus ponderum et misuram cum eorum gabellis, jus platee et eius gabellorum, jus aquarum et aque omnes ipse, jus catapanie, jus portulanie et portulaniam, et catapanias ipsas, jus sicle, jus montanearum et montanee ipse, libertas coquendi panem ubi voluerint Universitas et homines ipsius

Riservò per sé altre libertà versando alla feudataria 600 ducati l’anno e cioè:

pro libertate furni, ex emptione, manutentionis, reparationis et guardie castri, pro immunitate de non exigendo annuos redditos et jus quadranti, pro jus dohane et taberne e 18 ducati al capitolo di S. Giacomo

Alla feudataria andarono ancora:

i proventi della giurisdizione civile, criminale e mista.

 

La Orsini dovette dare dei nuovi articoli statutari.

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Questa contrattazione fu ostacolata dall’Antenoro, che pur se aveva stipulato con l’Universitas un patto di retrovendita, le fece causa. Il processo, che vide Solofra unita all’Orsini, terminò con un accordo tra le parti che fu una capitolazione dell’Antinori.

 

Il documento della causa Orsini-Antenoro

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L’inizio del dominio della Orsini non avvenne secondo le aspettative

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* I soldati continuarono ad alloggiare nel territorio solofrano.

* La feudataria non rispettò gli statuti da lei dati:

non pagava la gabella del pane con un danno di 60 ducati l’anno,

non a rispettava i capitoli sul comportamento della curia locale,

impose agli operai di non uscire di notte cosa necessaria per coloro che lavorano nelle concerie,

tolse la libertà di andare a caccia

impose degli abusi:

sull’esercizio della mastrodattia, sulla elezione del Capitano, sulla creazione del sindaco, degli eletti e degli altri ufficiali al reggimento della Universitas, sulla compera dei cavalli, sulla esazione delle gabelle e persino su diritti già a lei riconosciuti come il pagamento del laudemio.

 

* Inoltre i solofrani, che avevano posto tra i beni feudali donati alla Orsini un palazzo, costruito appena dieci anni prima, posto nel casale Burrelli, se lo videro ridotto in macerie e dovettero assistere alla costruzione di una nuova domus che fu impiantata proprio davanti alla costruenda Collegiata.

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Successe allora che quando del nuovo palazzo della Orsini era innalzato solo un’ala essa crollò di notte quasi senza un motivo.

Potevano i solofrani vedere soffocata la Collegiata da un palazzo feudale?

L’Universitas approfittò di questa occasione e riuscì ad ottenere, dietro la promessa di una ristrutturazione viaria, di far spostare la nuova costruzione più dietro e più ad est, dicono gli atti, che è poi il sito dove ora sorge il Palazzo ducale.

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Un’altra beffa 

La Orsini fece costruire un condotto di acqua, proveniente direttamente dalla sorgente delle Bocche, per alimentare ben tre fontane del palazzo: una nel giardino, una nella cucina ed una nella masseria della starza soprana.

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Questo fatto fu la goccia che fece traboccare il vaso poiché la comunità, privata dell’acqua che serviva alle concerie tanto che alcune furono costrette a chiudere, tentò di ribellarsi prendendo con la forza l’acqua, ma la duchessa fece controllare il condotto dalle sue guardie.

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Altro sopruso fu la vendita delle acque di Turci.

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Da ricordare che la stessa cosa aveva fatto Ludovico della Tolfa nel 1529 anche allora provocando l’indignazione della comunità e la decisione di passare al demanio.

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Erano passati appena venti anni e l’Universitas sperimentava l’impossibilità di vedere nel signore una persona a sostegno dell’economia del paese.

 

La causa della Universitas di Solofra contro gli Orsini

 

Necessario fu il ricorso alla Regia Corte contro la Orsini.

La causa, che cominciò nel settembre del 1577, ebbe questi capi di accusa:

il mancato rispetto del demanio, appunto l’abuso sulle acque,

il mancato rispetto dei capitoli statutari,

il mancato rispetto degli alloggiamenti.

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Gli attori della causa contro la Orsini

Il Sindaco mag.co Gio Antonio Ronca, gli Eletti mag.ci Gio Tommaso Fasano, Petro Francesco Garzillo, Petro de Vigilante, i deputati mag.ci Gio Donato Ronca, Sabato Paulo de Donato e Marco Giliberti.

Essi esposero le lamentele della Universitas contro la Duchessa per il mancato rispetto dei capitoli e nella elezione degli ufficiali, reclamarono per le promesse non mantenute quando fu fatto lo strumento di vendita, tra cui quella degli alloggiamenti e per il comportamento della stessa nell’uso dell’acqua soprattutto quella di Turci, che da tempo antico era della Universitas e che invece la Duchessa aveva venduto ad alcuni di Solofra, e per la gabella della farina. Affermarono che al tempo del contratto avevano stretto con la Duchessa un negozio riassunto in 36 capitoli.

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Lo svolgimento del processo mise in atto una vera e propria indagine durante la quale furono interrogati ben 41 testi, che dovettero rispondere su 40 articoli in seguito diventati 50.

Si hanno in tal modo diverse notizie importanti su questo primo periodo del dominio orsino a Solofra.

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Gli articoli della indagine hanno questo titolo:

Articuli, super quibus examinandi sunt testes ad instantiam Iniversitatis terram Solofram in causa, quam habet in Regia Camera Summaria, et quoram Ecc. Hanibale Moles cum Ill.me Beatrice Ferrella utili domina dictam terram super petitione Regij demanij predictam terram, at alias ut est actis.

Sono in numero di 40. In essi la Universitas afferma che, essendosi venduta a Ludovico della Tolfa, aveva chiesto di passare al demanio, cosa che le fu permessa al prezzo pagato dal della Tolfa, e che vi era stata per venti anni (1); che durante il demanio, nonostante la grossa somma pagata e nonostante che fosse regia (cioè demaniale) dovette sopportare il peso degli alloggiamenti in modo molto oneroso (2); che per questo motivo l’Università aveva pensato di ritornare sotto il dominio di un barone affinché fosse da lui tenuta come Camera Riservata, il che avrebbe comportato la libertà dagli alloggiamenti (3); che solo per gli alloggiamenti fu presa la decisione, anche da parte di quelli che erano contrari (4); che la Duchessa di Gravina si era offerta di stipulare un patto in tal senso, anzi si era impegnata, in caso contrario, se cioè ci fossero stati gli alloggiamenti, di pagare le spese e i danni (5); che in questi termini fu stipulato il contratto e chiesto il regio assenso (6); che da quando ciò era avvenuto, e cioè nel 1555, Solofra aveva dovuto subire ogni anno alloggiamenti con molti danni, quantificabili in 2000 ducati la volta (7); che in seguito a ciò gli uomini si erano rivolti alla Duchessa che non si era preoccupata di eliminare tale piaga e di rispettare i patti (8); che ogni volta che avveniva un alloggiamento erano state portate alla Duchessa, in qualsiasi luogo essa si trovasse, le lamentele che sottolineavano che la vendita baronale era esclusivamente subordinata alla condizione suddetta (9, 10); che al tempo in cui era avvenuta la vendita i solofrani erano ricchi e facoltosi e c’erano uomini che possedevano più di 10.000 ducati ed anche 20.000 tanto che avrebbero potuto pagare il debito che l’Università aveva a quel tempo (11); che l’Università per la incuria della Duchessa era stata costretta a inviare a Napoli agenti per il dislogiamento con un enorme aggravio di spesa (12); che sia la Duchessa che suo figlio Flaminio oltre a non curarsi degli alloggiamenti li avevano favoriti come era avvenuto nel mese di agosto 1577 quando fu alloggiata una compagnia di spagnoli comandata da Bernardino de Mendoza, cosa che gli stessi soldati avevano detto (13); che il Mendoza era venuto ad alloggiare a Solofra non solo con i suoi 130 soldati ma con 70 in più, provocando la sera stessa dell’arrivo molti eccessi alla presenza dei Signori feudatari che erano a Solofra e che non si preoccuparono di far smettere le violenze e punire i soldati, nonostante che fossero da più parte denunziati (14, 15, 16); che vedendo ciò la Universitas era stata costretta a mandare agenti a Napoli da dove era giunto un Commissario che processò e pose in galera alcuni soldati (17); che oltre alla Camera Riservata la Duchessa aveva concesso 35 capitoli (18); che in più aveva promesso alla Universitas il possesso delle acque riservandosene per sé solo l’uso (19); che la libertà dell’acqua era molto utile alla Universitas perché l’industria principale dei cittadini era la concia delle pelli che non poteva essere esercitata senza grande abbondanza di acqua (20); che nonostante ciò la duchessa aveva preso per sé l’acqua dalla sorgente delle bocche portandola nel suo palazzo dove s’era fatto costruire tre fontane contro la volontà della Universitas e con grande danno (21); che le fontane si trovavano nella cucina, nel giardino della starza ed in quello che sta sotto le finestre del palazzo (22); che i cittadini non potevano riusare questa acqua anche perché veniva convogliata nella starza (23); che non potevano usare neanche quel poco che usciva dal giardino del palazzo perché questo si trovava al di sotto del luogo dove sorgevano le concerie (24); che per questo motivo molte concerie avevano dovuto chiudere come quelle di Tommaso ed Alfonso Troisi, eredi di Antonio, e quelle di Abbundantio e Cesare Troisi (25); che tutti i cittadini privati dell’acqua avevano sofferto molti danni, almeno 2000 l’anno (26); che in più i Signori feudatari avevano venduto l’acqua di Turci per 200 ducati l’anno (27); che questa acqua sarebbe bastata a molte botteghe (28); che detti Signori avevano messo sotto controllo il corso d’acqua e quelli che ne avevano preso un po’ erano stati messi in carcere (29); che la duchessa non aveva pagato la gabella del pane, contrariamente a quanto promesso nel capitolo statuario, con un danno di 60 ducati l’anno (30, 31); che inoltre la duchessa non aveva rispettato il capitolo che permetteva al querelante di ritirare la querela entro tre giorni esonerando la corte di procedere contro e che alle dimostanze dei cittadini il Capitano aveva avuto l’ordine di non rispettare il capitolo (32); che un altro capitolo non rispettato era quello che permetteva di poter uscire di notte cosa necessaria per coloro che lavoravano nelle concerie (33); che non era stato rispettato il capitolo che contemplava la libertà di andare a caccia (34); né quello sull’esercizio della mastrodattia (35); né quello della elezione del Capitano (36); né quello della compera dei cavalli (37); né quello della creazione del sindaco, degli eletti e degli altri ufficiali al reggimento della Universitas (38); né quello sulla esazione delle gabelle (39); né quello sul laudemio o degradante (40).

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Il testo dei 40 capitoli contro la Ferrella-Orsini.

Le risposte dei testimoni.

A questi capitoli se ne aggiunsero altri 10 di cui non si ha il testo, ma che si deduce dalle dichiarazioni dei testi.

 

Durante il processo si appurò che le Camere Riservate non erano sempre salve dagli alloggiamenti poiché in caso di necessità queste terre erano costrette a concederli come era avvenuto nel 1565.

La causa terminò nel 1579 con una vittoria a metà poiché si dichiarò che alla Universitas non competeva il demanio mentre alla duchessa fu imposto di osservare i Capitoli statuari.

Contro la sentenza l’Universitas fece reclamo che poi ritirò nel 1583.

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UN APPROFONDIMENTO

 

Gli abusi feudali di Beatrice Ferrella Orsini

 

Con il termine di abusi feudali si indicarono in tutto il Meridione i soprusi e le prepotenze imposte dai feudatari alle popolazioni delle terre su cui dominavano. Il feudalesimo infatti nel meridione degenerò gradatamente che i feudatari riuscirono a strappare alla corona prerogative e vantaggi che li trasformarono in signorotti e tirannelli nelle loro terre senza che i re avessero più la forza di controllarli.

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Il feudalesimo fu un sistema di governo nato nell’alto medioevo quando l’imperatore o il re assegnava delle terre ai suoi fedeli perché le governassero in loro nome rispettando ben precise regole tra cui la protezione e la difesa delle popolazioni le quali godevano dei diritti naturali di uso del territorio che nessun feudatario poteva toccare.

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Successe allora che c’erano le leggi regie (dette prammatiche) che dicevano una cosa e c’erano le prepotenze baronali che facevano il contrario. E successe che gli Statuti, che erano regole di comportamento delle popolazioni che il feudatario doveva rispettare, furono sistematicamente disattesi dai signori locali. Ciò naturalmente avveniva in modo proporzionale alla loro forza e durò fino agli inizi del XIX secolo.

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Solofra solo sotto i Tricarico fu costretta a concedere al signore i servizi gratuiti (detti angari e preangari) che consistevano in lavori nelle terre feudali, nel trasporto di merci e cose del genere, poi con i Filangieri tali servizi furono limitati e la comunità cominciò a godere alcune libertà, e importanti furono quelle sull’uso del demanio.

Esse furono consolidate nel periodo demaniale all’inizio del XIV secolo (1409-1419) e furono godute anche con gli Zurlo, i quali entrarono nel possesso di Solofra come usurpatori e per molto tempo non vi governarono in modo diretto.

Queste libertà subirono un ulteriore consolidamento nel periodo demaniale del XVI secolo (1535-1555).

 

Successe così che mentre tante comunità vivevano sotto il giogo delle prepotenze feudali, quella solofrana visse fino alla metà del XVI secolo in un’atmosfera più libera, cosa che spiega lo straordinario sviluppo delle sue attività artigianali in questo secolo.

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La situazione cambiò con la famiglia Orsini, si è visto una famiglia romana molto estesa con vari rami che poggiava la sua potenza non solo sul possesso di feudi, ma anche sull’appoggio della Chiesa di Roma.

Vale la pena considerare che tutto il meridione fu feudo della Chiesa papale cosicché la chiesa meridionale che era una forza non indifferente nella società dipendeva da quella romana. La stessa corona ogni anno sottolineava questa dipendenza con la Cerimonia della Chinea che era appunto un dono feudale che Napoli tributava alla Chiesa romana.

La feudataria Beatrice Ferrella Orsini mise infatti subito in atto una serie di abusi che portarono nel 1574, ad appena venti anni dal suo insediamento, alla causa intentata dalla comunità solofrana contro di lei.

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L’abuso sul demanio

 

L’abuso più dannoso per Solofra fu quello sul demanio.

Il demanio era costituito da tutte quelle terre di proprietà della comunità su cui ogni cittadino aveva l’uso (i cosiddetti usi civici) e cioè poteva liberamente pascolare, prendere l’acqua, fare la legna, raccogliere i frutti delle selve, immettere animali a soccio, ed anche seminare e piantare ortaggi.

Come si vede erano usi vitali per ogni comunità ma per quella solofrana erano soprattutto a sostegno della sua economia, se si considera che l’attività di concia aveva bisogno dei prodotti del demanio e cioè di acqua, come abbiamo visto, ma anche di calce che si ricavava dalle pietre calcaree, un bene demaniale, e prodotti demaniali erano la ghianda, la scorza del castagno e del cerro essenziali alla concia per il loro altro contenuto di tannino. La ghianda poi era l’alimento principale dei maiali il cui allevamento era un’altra attività importante a Solofra; c’era poi tutta l’attività pastorale, né è da tralasciare la possibilità che avevano i più poveri di poter mettere a coltura piccoli pezzi di terreno demaniale per il sostentamento familiare.

Quando i terreni privati erano aperti (cioè non recintati) l’uso civico si estendeva a tutti questi nel senso che dopo la raccolta del frutto era permesso entrarvi per raccogliere la legna (legnare) e per il pascolo, il che era anche utile in quanto serviva per la pulizia del terreno e per la sua concimazione fatta dagli escrementi degli animali che vi pascolavano.

Anche la pesca e la caccia furono oggetto di imposizioni feudali, pure se quest’ultima avveniva senza l’uso delle armi. Il sistema dell’uccellagione con la pania o visco era molto diffuso e regolato da un capitolo statuario che proteggeva gli alberi sui cui rami si poneva la sostanza appiccicosa che si otteneva con il visco, in modo che l’uccello, attirato su di essi non potesse più allontanarsi.

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Questi usi civici erano diritti essenziali e naturali, si diceva, non erano sottoposti al feudatario il quale ne aveva diritto come primo cittadino e come ogni altro cittadino. Succedeva invece che i signori imponevano dei tributi sull’uso del demanio senza che le popolazioni riuscissero ad avere ragione, ma succedeva pure che la stessa corona, bisognosa di denaro per le guerre sempre più frequenti e costose, vendesse alle popolazione l’uso di questi prodotti, insomma imponesse un pagamento per l’uso di un diritto. Ciò avvenne per esempio quando Carlo V, spinto dal bisogno di denaro, vendette a Solofra l’uso delle acque.

Su questo bene puntò pure Ludovico della Tolfa e proprio per questo abuso perdette il feudo.

E come si è visto l’uso dell’acqua fu uno dei motivi principali della causa intentata dalla Universitas contro gli Orsini nel 1574.

 

Gli abusi sulle attività produttive

 

Un altro campo di abusi che potevano arricchire la rendita feudale era quello delle attività produttive. Infatti al Signore spettava un reddito sulla vendita dei prodotti del territorio. Ora bisogna tenere presente che Solofra raccoglieva il denaro per pagare i tributi proprio dalle tasse (gabelle) sui prodotti venduti (si diceva reggersi a gabella). In base ai prodotti del luogo, sia quelli dell’agricoltura che quelli dell’artigianato, si stabilivano i tributi che erano raccolti da alcune persone (gabellotti).

Già di per sé la riscossione dei tributi era costosa poiché veniva appaltata ad altre persone (gli arrendatori) che ne anticipavano l’importo acquisendo il diritto di raccoglierli (in tre rate a Natale, a Pasqua e ad Agosto, l’anno amministrativo infatti cominciava a settembre), naturalmente con il relativo guadagno, che, se l’appaltatore era "bravo", riusciva ad essere tre volte il valore di quando aveva impegnato.

 

In un paese poggiato sul commercio la questione delle entrate tributarie fosse di cruciale importanza.

 

La corona e il feudatario erano i due soggetti a cui bisognava versare un tributo ma in modo diverso. La corona prendeva dalle comunità in base ai suoi abitanti una data somma (succedeva che in occasione di guerre carestie o altre necessità la sovvenzione aumentasse o ce ne fossero di straordinarie). Per il feudatario l’entrata era stabilita i base al volume d’affari, ma poteva aumentare sia a monte in seguito ad una decisione feudale autonoma contro la quale spesso nulla si poteva, e poteva aumentare anche se il signore era bravo a controllare tutto il giro commerciale e a non farsi nulla scappare.

Se su questo sistema si poggiavano anche i soprusi del feudatario il commercio era destinato a soffrire enormemente e il suddito non aveva alcuno stimolo ad impegnarsi in un lavoro che arricchiva solo il Signore.

 

Gli artigiani e i mercanti tendevano a nascondere le contrattazioni al feudatario, che, da parte sua, usava tutti i mezzi per controllare il mercato, dove avveniva gran parte di queste contrattazioni, o le dogane, poste all’entrata e all’uscita del paese dove si pagavano altre tasse.

Per avere sotto il proprio controllo tutto questo sistema non c’era via migliore per il feudatario che controllare il governo della Universitas.

 

Il Sindaco e gli Eletti (una specie di giunta) avevano infatti il principale compito di raccogliere le entrate da versare alla corona e al feudatario dividendone il carico tra i cittadini. Per ciò il Signore tendeva a mettere al governo delle Universitas persone di sua fiducia.

 

Gli Statuti solofrani mostrano che tutti i feudatari imposero questo abuso alla comunità locale riuscendo, chi più chi meno, a controllare l’elezione di queste persone.

La Ferrella-Orsini non fece diversamente, Solofra per lei ebbe solo il diritto di convocare il parlamento (tutti i capi di famiglia) che si riuniva quando c’era da stabilire una nuova tassa e prendere decisioni che comportavano il pagamento di tributi.

 

Ogni tipo di elezione o di nomina era controllata dal feudatario attraverso il Capitano.

La comunità contro questo abuso poteva solo ricorrere alla corona, come fece nella causa citata, che ebbe tra i capi di accusa anche il mancato rispetto degli Statuti nella elezione degli ufficiali. Ma questa era un’arma poco efficace poiché pur se l’Universitas riusciva ad avere ragione, come successe per la comunità solofrana, il signore riusciva a eludere questo obbligo, come fecero gli Orsini durante tutto il loro governo solofrano.

 

Ritornando alle gabelle la comunità solofrana, nell’atto di vendita stipulato con la Orsini nel 1555, aveva indicato con molta precisione quali erano i diritti riservati alla feudataria in cambio dei quali si era impegnata a versarle una rendita annuale.

 

Tra questi diritti c’era quello del pane (pro libertate furni): la duchessa infatti poteva panificare in casa per sé e per i suoi dipendenti, ma se comprava in piazza questo alimento doveva pagarne la gabella, come ogni cittadino. Questo obbligo fu sistematicamente disatteso, come non fu rispettato l’obbligo di vendere i prodotti nella taverna locale, che era tenuta dal feudatario, col prezzo imposto dalla Universitas (assisa). La stessa cosa succedeva per tutti gli altri prodotti dell’alimentazione, per esempio la carne per la quale erano state stabilite delle esenzioni per la feudataria e per i suoi ufficiali ma che non dovevano estendersi all’intera parentela.

Attraverso gli atti notarili emergono in questo campo in modo chiaro tanti altri soprusi come quello di imporre al mercato il diritto di prelazione sui prodotti o il sopruso sulla compera dei cavalli, che era un mercato molto fiorente per i rapporti che Solofra aveva col sanseverinese dove c’era un centro fieristico di grande importanza.

 

Le prepotenze costituivano un vero danno per le attività locali su cui pure si reggeva la rendita feudale e che quindi avrebbero dovuto essere protette.

 

Si consideri il divieto di uscire di notte imposto dalla duchessa (una specie di coprifuoco per impedire ai malfattori di agire protetti dal buio) e invece sancito dagli Statuti che stabilivano che si poteva uscire fino a tre ore dopo il tramonto e tre prima dell’alba. Era infatti estremamente dannoso lasciare le concerie ferme per molto tempo, poiché il processo di concia richiedeva che le pelli nelle tine fossero rivoltate spesso (non esisteva il bottale). Si comprende come specie d’inverno il divieto di lasciare la conceria dopo il tramonto e di raggiungerla prima dell’alba doveva essere per forza disatteso con multe per l’artigiano e guadagno per il feudatario.

 

I soprusi nel campo giudiziario

 

Altro campo molto fertile ove il feudatario poteva imporre i suoi abusi ed esercitare pressione sulle popolazioni era quello giudiziario.

Il tribunale locale era in mano al feudatario il quale aveva il diritto di esercitarvi la giustizia non solo delle prime cause, ma anche dell’appello. Esso era quindi un altro posto dove il Signore poteva imporre il suo predominio arrogante ed esoso.

Era diretto dal Capitano che veniva ad essere una specie di giudice ed aveva al suo servizio vari ufficiali, che anche se scelti dalla Universitas, come i giudici annuali, non potevano far nulla contro i soprusi.

Il primo grande abuso fu proprio la scelta di questa persona, che secondo le prammatiche reali doveva essere indicato dalla corona, poiché oltre a dirigere la giustizia era un po’ il garante della vita del feudo, e che invece veniva scelto dal feudatario mentre il re si limitava a darne l’assenso.

La comunità solofrana fu molto precisa nello specificare nei capitoli le caratteristiche del Capitano, che doveva essere originario di luoghi distanti da Solofra almeno 15 miglia, doveva porre una fideiussione, doveva essere sottoposto a controllo alla fine dell’anno di governo.

Tra i limiti che furono posti a questo governatore c’era quello che costui non doveva essere di Napoli. E ciò per due motivi: perché gli Orsini, potenti a Napoli, tendevano a scegliere persone di questa città che, come tutti i cittadini della capitale, godeva di diritti particolari, e perché era proibito alle comunità di commerciare col centro di cui era originario il Capitano.

Si comprende quanto dannoso fosse per il commercio solofrano aver preclusa la piazza di Napoli, la più importante del meridione.

Vale la pena ricordare che molte famiglie mercantili solofrane si erano trasferite a Napoli proprio per godere delle esenzioni commerciali a favore dei residenti. Fatto sta però che, nonostante queste precauzioni, la Orsini nominò per vari anni Capitani di Napoli.

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Molti erano poi i soprusi che si perpetravano nello svolgimento delle cause, nella raccolta delle multe nelle quali incorrevano i più deboli.

Quello che però danneggiava l’attività solofrana e mostrava la cifra dell’abuso feudale era ciò che avveniva in tutta la materia del credito, che era a Solofra una pratica molto diffusa e non solo per la mancanza di moneta liquida.

 

La contrattazione mercantile avveniva attraverso un patto, una specie di breve contratto societario tra un mercante-finanziatore che dava la merce ad un mercante-viaggiatore che si impegnava di venderla. Tra le due persone attraverso un atto notarile si apriva una situazione debitoria che durava tutto il tempo dell’affare e terminava quando la merce era collocata sul mercato e il finanziatore riceveva il denaro, termine che veniva indicato in modo molto preciso nel contratto.

La risoluzione del "negozio", come allora si chiamava, era però molto elastica poiché avveniva in un ambiente solidale intorno a questa attività, basti pensare alle grandi famiglie di allora e alle ampie parentele che legavano le persone mercantili. Infatti il termine di chiusura del contratto spesso si spostava quando per esempio il secondo mercante non tornava in tempo dal viaggio mercantile o questo si protraeva. Allora bisognava rinnovare il contratto con l’intervento di un parente che in genere accendeva un mutuo con la garanzia di un bene. Per fare ciò bisognava denunziare il non avvenuto pagamento. A questo punto si introduceva l’abuso poiché il tribunale faceva scattare la procedura legale, ex ufficio, per la riscossione del denaro cosa che allora comportava la carcerazione.

 

Tutti e tre i corpi statutari solofrani, anche quelli antichi, furono sempre precisi nello stabilire che era permesso a chi faceva la denunzia del non avvenuto pagamento di ritirare l’"accusa" dopo tre giorni (il tempo per stipulare il nuovo contratto) e che il tribunale non poteva intervenire autonomamente (ex ufficio) e porre in atto l’azione giudiziaria.

 

Successe però che il Tribunale ugualmente interveniva o per ritorsione o per guadagno o per prevaricazione o per altro. E questo sopruso, anch’esso tra i capi di accusa nella causa contro la Ferella-Orsini, fu un altro di quei danni economici che un’accorta politica feudale avrebbe dovuto eliminare.

 

Abuso del Laudemio

Un altro sopruso operato dal tribunale locale, ancora una volta contro le attività mercantili solofrane o approfittando di esse, fu quello sul laudemio, che era una tassa feudale che gravava sulle terre feudali.

Già su questi beni, che non erano tutte le terre di Solofra, ma che il signore poteva ampliare (reintegrazione), c’era un tributo annuale che andava al feudatario, al quale si aggiungeva appunto il laudemio che si pagava quando uno di questi beni veniva venduto e doveva essere pagato sia dal venditore che dall’acquirente.

A Solofra però i beni facevano parte del credito nel senso che venivano dati (alienazione) in garanzia nei contratti mercantili oppure nei mutui, inoltre permettevano con il loro godimento il prelievo degli interessi, che allora erano proibiti.

Questa cessione veniva fatta con un atto di vendita col diritto di retrovendita appena il debito era stato assolto e gli interessi incamerati. Allora veniva stipulato un altro atto di vendita questa volta all’incontrario.

La tassa del laudemio venisse a pesare enormemente su questa attività che in pratica coincideva con l’attività commerciale.

Per questo motivo gli Statuti, fin da quelli più antichi, si preoccuparono di limitarla al solo "venditore" della terra (cioè a colui che aveva avuto bisogno del prestito o che comunque dava il bene in garanzia) e non sull’acquirente (cioè colui che aveva dato il denaro) e la limitarono solo al primo passaggio (sul primo venditore e non sul secondo che era colui che restituiva la terra all’atto dell’estinzione del debito). Si comprende anche come fossero lucrosi gli introiti di questa tassa poiché i passaggi di beni erano frequentissimi e ci si spiega perché l’abuso del laudemio fosse quello più odiato.

Legato alla gestione della giustizia c’era infine il mantenimento delle carceri dove venivano rinchiusi i debitori che erano i più deboli ed anche qui la duchessa pretese più ampi tributi.

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Questa famiglia feudale lasciò dunque dietro di sé una lunga scia di soprusi e angherie che pian piano vengono fuori dai documenti che, pur nella loro limitatezza, riescono a dare il segno di ciò che fu per una comunità mercantile il dominio feudale, tutti i domini feudali. E si comprende come questa comunità potette elaborare il bellissimo mito di S. Michele che la protegge contro le prepotenze orsine e perché la rabbia popolare esplose nella vicenda del primicerio Giovan Sabato Juliani, uno di quelli che non si piegò ai soprusi e che condusse contro il feudatario una lotta che fu lotta di autonomia, una delle più belle pagine della rivolta contro l’oppressore all’inizio di quel periodo di rinnovamento antifeudale che portò alla Rivoluzione partenopea del 1799 dal cui sangue il Meridione non potette che non uscirne rigenerato.

 

 

 

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Solofra nel Cinquecento

 

 

Gli Orsini

 

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