Padre Bonaventura da Cosenza
(Cosenza
1836-Solofra1929)
Al secolo Giuseppe De Martino
Cappuccino e Canonico della
Collegiata
Da “Il
Campanile”, dicembre 1993.
Così ne parla un suo pronipote, il professore Franco Troisi.
Padre
Bonaventura Cultura
e carità insieme […] Padre
Bonaventura, zio di mio padre, per sua scelta, dopo la soppressione degli
ordini monacali del 1870, indossò l’abito talare, divenne canonico
del Capitolo della Collegiata di S. Michele, ma i solofrani continuarono a
chiamarlo, fino alla sua morte, semplicemente “Padre
Bonaventura”. Da alcuni
documenti che conservo risulta che con Bolla della
S. Congregazione Episcopale “Concepit de Urbe
die 31 mensis julii an. Fu un uomo di elevata cultura classica (teologo innanzitutto) e non
pochi furono i solofrani distintisi poi nel campo delle lettere e del
diritto, che ebbero da lui i primi insegnamenti. Il pulpito, ove lui saliva
diventava anche cattedra perchè le sue prediche scaturivano dalla sua
mente con tale purezza
lessicale e contenuti straordinari che, se, da una parte,
meravigliavano anche i più colti, dall’altra venivano recepite
lo stesso da tutto il resto dell’uditorio tanta era la chiarezza del
suo parlare arricchito da sillogismi e semplici esempi (molti di essi furono
raccolti in volumi che purtroppo andarono dispersi), per cui Con atto datato
Londra 27 ottobre 1908 l’Ordine cattolico Ospedaliero dell’Aquila
Reale di Montreal, su proposta del Conte Gaspare
Della Torre, gli conferì il Titolo e le Insegne di Cavaliere Ufficiale
al Merito. Ebbe incarico da Domenique Marie Sive – Directeur au Seminare S. Sulpice à Paris – di tradurre dal francese
in Piemontese, e con l’Imprimatur del Sovrano Pontefice, il contenuto di alcuni volumi della biblioteca della curia parigina e,
per tale lavoro, si avvalse della pura lingua parlata dalla comunità
etnica (tuttora esistente) di Guardia Piemontese (Cosenza). Molti altri riconoscimenti ebbe da diverse autorità religiose e laiche,
italiane e straniere, ma se ne sono perdute le tracce. Compilò
un album calligrafico con caratteri gotici, greci, fiorati, ecc. di 79 tavole
(che io conservo) di notevole fattura e autentico capolavoro di arte grafica interamente fatto a mano con penna
d’oca e inchiostro nero. Rifiutando
qualsiasi onere venale insegnò ad honorem
(esempio di modestia ed altruismo non più riscontrabile nei nostri
tempi) presso “L’istituto di Agata di sotto” e lì
durante una manifestazione avvenuta il 7 ottobre 1869, pronunciò un
lungo discorso (conservo l’originale autografo) di cui cito un solo
passo:”Mio incarico fu quello di essermi stato concesso ad honorem ad insegnare ai Figli della
Patria; mi ci accinsi non perchè io fossi più esperto tra gli
illustri che dettano (audace a dirlo) ma bensì come disposto ad
apprendere e ravvivare però, non provvisto della forza del genio,
esposi le mie deboli cognizioni relativamente a scritture francese, inglese,
romana e gotica” ed infine rivolgendosi agli allievi di tale
istituto:”Adunque, generosi alunni, essendo
Dio l’autore dello scibile umano e pur d’ogni altro
ch’esiste, inneggiatelo provvidenziale, affidati dai vostri genitori a
questa scola e dite, prendete, mostrate a questo pubblico cortesissimo e
illustre le opere vostre, i vostri esempi perchè gli ammirano
compatendo me e voi se non forniti di eleganza osservano”. Oltre a questa
elevata, ma a suo dire modesta cultura che lo distinse tra la borghesia
intellettuale di Solofra e d’altrove, c’è da aggiungere
che il popolo lo apprezzava per il suo grande amore per i poveri i quali (e
non erano pochi) attendevano, in prossimità dell’ingresso della
Collegiata, il termine della Messa domenicale delle ore 11 perchè aprisse la cassetta delle elemosine e distribuisse loro il
suo contenuto ma, cosa più sorprendente, se i conti non tornavano per
un’equa e soddisfacente distribuzione o il denaro era poco, metteva la
mano nella sua tasca per prelevare la differenza da aggiungere. C’era, in
quel tempo, un motto che passava di bocca in bocca:”Se
dovesse fare il terremoto a Solofra potrebbero cadere tutte le case ma non
quella del canonico Bonaventura perchè i suoi muri saranno sostenuti
da tutto quel ben di Dio che essa contiene” e ci si riferiva non alle
masserizie ma alle provviste alimentari che rappresentavano la dispensa dei
poveri, dato che da essa attingeva in continuazione per fare la “mappata” a chi gli tendeva la mano, anche se non
frequentava la chiesa. Tutto era per i poveri dato
che lui mangiava pochissimo; basta pensare che di sera consumava solo un
po’ di pastina scaldata senza condimento e, poi, un tarallo imbevuto in
mezzo bicchiere di vino ed una frutta e ciò dopo aver benedetto la
tavola alla quale, solo dopo la preghiera, potevano sedersi mio padre e mia
nonna, sua sorella. Nel periodo
della Pasqua era solito benedire le case facendosi accompagnare da una donna
che portava un grande cesto sul capo che serviva per
raccogliere le uova e altra roba che gli veniva offerta quale obolo. Ebbene,
al suo rientro erano ad attenderlo tanti poveri ai quali, deposto il cesto
sull’uscio e prima di entrare in casa, distribuiva tutto quello che
aveva raccolto e una volta mi raccontava mio padre, dopo aver distribuito,
forse, 200 uova, e all’idea di mia nonna di preparare una fruttata per
cena: “Eccoti i soldi per comprare quattro uova
perchè quelle del cesto sono servite tutte per sfamare tanta
povera gente”. Dal mercato
domenicale tornava a casa sempre accompagnato dalla donna col cesto sul capo
e nel quale inseriva servizi di piatti, bicchieri, tazze, ecc (regolarmente
comprati) e mia nonna quasi lo rimproverava
dicendogli che era roba superflua, ma lui rispondeva:”Se nessuno compra
come fa a vivere quella gente che viene a Solofra per vendere? Conserva, conserva,
che poi li regalerò a qualche povera giovane
che dovrà sposarsi!” Zio canonico,
così lo chiamavamo in famiglia, era fatto così con un amore
smisurato per i poveri e poi proprio lui morì povero tra i poveri non
lasciando ai familiari neanche una lira, ma solo una grande e più
importante eredità spirituale. Ciò
avvenne nel 1929 (allora io fanciullo)
all’età di 93 anni, appena qualche giorno dopo aver celebrato la
prima (e poi ultima) messa mattutina nella Collegiata ove si recava (anche a
93 anni!) a piedi muovendosi lentamente dalla nostra abitazione del rione
Volpi, le cui finestre, ricordo bene, affacciavano sul tratto di strada ove
c’era una fontanella pubblica. È rimasta
nei miei infantili ricordi la marea di popolo che partecipò
al funerale e quanta gente, uomini e donne, persone istruite e semplici
“concirioti” che piangevano! Fu sepolto nella
nuda terra e, su di essa, una semplice e rozza croce
di legno con la scritta “Canonico Bonaventura” in un distorto e
brutto stampatello, quasi offensivo per lui che era stato riconosciuto
Maestro Calligrafico di Primo grado dall’Accademia Letteraria Reale; e
quando negli anno ’40 si eseguì la sua esumazione (io presente)
i suoi poveri resti furono buttati, dico “buttati” (come
consuetudine) nell’Ossario comune immischiandoli tra i mortali resti
dei suoi amati poveri. Né mai fu fatta celebrare da chicchessia una
Messa in suo suffragio, lui che ne aveva celebrate
centinaia in suffragio delle anime dei morti altrui (ma credo che non ne
avrebbe avuto bisogno); né mai fu fatta da alcuno una pur semplice
commemorazione. Il suo nome
invece venne appena citato in un articolo
riguardante il vecchio Capitolo e pubblicato su “Il Campanile” di
qualche tempo fa a firma dello scrittore e storico prof. Michele Greco e dopo
circa 60 anni dalla sua morte. Franco Troisi |
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Dall’Album di Calligrafia
di Padre Bonaventura
1865
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Documenti:
Reale
Accademia,
Sacra Congregazione Episcopale dell’Urbe, 31 giugno
1866: Nomina a Predicatore dell’Ordine francescano.
“non
solum studiorum tempus et humanarum
ac divinarum cognitionem, sed morum etiam honestatem,
ac Religiosae vitae integritatem non mediocriter suffragari”
S. Agata di sotto, 2 settembre 1869: Discorso accademico su
Solofra, 18 giugno 1891: Nomina a Mansionario della
Collegiata di S. Michele.
“dietro le regolari
dimissioni rassegnate dal R.do Sac. D. Francesco
D’Orsi relativamente al beneficio, in sua vece
… nominiamo in qualità di Mansionario l’ex Cappuccino P.
Bonaventura da Cosaneza”.
1908, Londra, Istitut Fhiladelphique, Ordre Hospitalier de l’Aigle R.
De Montréal: Nomina a Cavaliere ufficiale al
merito.
La
nomina fu proposta dal Conte Gaspare della Torre
Avellino: Lettera riguardante la traduzione della “Bolla Inestabilis
in dialetto guardiuolo” (Guardia Piemontese di
Calabria), inviata al Direttore del
Seminario S. Sulplice, Maria Dominique
Sive. (s.d)
I documenti si trovano presso il Centro Studi di Storia locale della Biblioteca Comunale di
Solofra (Avellino), donati da Francesco Troisi.
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Padre Bonaventura abitava in
Piazza nel palazzo Troisi
Ebbe la cura della chiesa del
Popolo alla Forna.
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