Il passato essenziale
La
conca solofrana
Solofra è posta in
una conca dei monti Picentini aperta, attraverso il raccordo di Montoro, sulla
piana di S. Severino, un vitale nodo della pianura campana che fa da collegamento
tra il bacino dell’Irno e quello del Sarno, posizione che ha giovato alla
cittadina favorendone la realtà economica1.
I suoi elementi
morfologici sono una corona di monti - a nord il San Marco e il Pergola, ad est
il Faito e il Vellizzano, a sud il Garofano, i Mai e il Pizzo di San Michele –
che circonda la conca, delimitata da due contrafforti – a sud-ovest Chiancarola
e a nord-ovest Castelluccia – ed aperta ad ovest, alcune zone collinari
pedemontane e un fondo vallivo in forte pendenza est-ovest percorso da acque
tra cui il torrente Solofrana, che fa parte del bacino del Sarno2.
_______
1.
G. Galasso, Motivi, permanenze e sviluppo della storia regionale in Campania,
Napoli, 1972.
2.
IGM, Istituto geografico Militare, sezione Campania.
Al tempo
dei Sanniti e dei Romani.
Il territorio fu sede
di un insediamento sannita dipendente dalla colonia di Abellinum
(l’odierna Atripalda) e servito della via di comunicazione del passo di
Castelluccia. Essa scendeva lungo il vallone dei granci e seguiva in
pianura il corso del fiume – il flubio-rivus siccus saltera cioè
l’odierno torrente Solofrana – il cui greto fu usato da questo popolo di
pastori nei suoi spostamenti transumatici3 .
Numerosi sono gli
elementi sanniti individuabili nella conca, dalla collina di starza, che
accoglieva le tombe, alla località Toro, alla rocca di Castelluccia,
una vera arx a difesa della strada e dell’insediamento, ai tanti
toponimi d’impianto sannita fino allo stesso toponimo Solofra
(dall’osco-umbro salufer)4.
Quando i Romani
occuparono le terre irpine, la conca accolse le villae rustiche che
ebbero la massima espansione ad opera di Augusto, quando la via di Castelluccia
fu inserita nel sistema di comunicazioni poi potenziato da Domiziano. Ciò
favorì la costruzione di numerose tabernae lungo il suo percorso fino a
Rota (l’odierna S. Severino) dove essa si immetteva sulla Capua-Rhegium5.
In questo periodo fu
introdotta nella colonia da Alessandro Severo gente proveniente dall’Oriente
che diffuse il culto al sole – ne è testimone il simbolo dello stemma solofrano
– e che determinò al tempo delle persecuzioni altri innesti – S. Ippolisto e S.
Modestino furono orientali in fuga da quelle terre – e l’impianto ai piedi di
Castelluccia del culto a S. Agata6.
___________
3.
M. De Maio, Alle radici di Solofra. Dal tratturo transumatici all’autonomia
territoriale, Avellino, Way, 1997, pp. 9-15.
4.
G. Alessio, L’origine
italica del toponimo Solofra (Avellino), in "Rassegna di scienze
storiche, linguistiche e filologiche", Milano, XVII (1943), pp. 88-89. Dizionario
di toponomastica, Torino, Utet,1980, sub voce.
5.
M. De Maio, Alle
origini di Solofra, cit., pp. 16-24.
6. Ibidem,
pp. 25-26.
L’alto
Medioevo
Con le invasioni
barbariche, quando la colonia di Abellinum cessò di esistere, le balze
dei monti solofrani accolsero due arroccamenti – Le Cortine di S. Agata e
Cortina del cerro – protetti l’uno da Chiancarola l’altro da Castelluccia7.
Si manifestò in
questo frangente tutto il valore difensivo della morfologia della conca all’imbocco
della quale, in zona chiusa, gli straripamenti del fiume creavano uno
sbarramento contro i pericoli provenienti dalla pianura. In questo modo il
luogo non perdette la continuità abitativa e potette offrire ospitalità a
quanti fuggivano dagli orrori della terribile guerra greco-gotica combattuta
sulle rive del Sarno (535-555 d. C.)8.
Punto importante di
riferimento dei due insediamenti fu la Pieve di S . Angelo e S. Maria
che fece parte di un sistema di centri religiosi organizzati dalla Chiesa di
Salerno all’indomani delle invasioni per rispondere ai bisogni delle
popolazioni sparse nelle campagne. Essa infatti fu a capo di un distretto
pievano, cioè di una circoscrizione ecclesiastica che ebbe anche compiti
civili ed economici e che determinò il passaggio dalla dimensione romana a
quella curtense altomediovale9.
La chiesa, che
sorgeva sulla collina lungo la riva destra del flubio (l’alto corso
della Solofrana), fu un importante punto di riferimento dell’insediamento di Cortina
del cerro unendo in sé sia la dimensione religiosa che quella economica. La
caratteristica di pieve infatti fece sì che tutte le attività – dalla
panificazione, alla produzione del vino e dell’olio – fossero a servizio della
comunità che in più magazzini, annessi alla chiesa, poteva mettere i propri
prodotti sotto la protezione religiosa. Vale sottolineare che nelle terre della
chiesa lungo il fiume, in quello che sarà il rione delle concerie, già si
svolgevano le prime forme di concia che è d’altronde nelle sue forme primitive
un'attività della pastorizia10.
Con l’arrivo dei
Longobardi la conca con i due "locum" di Solofra e di S. Agata
fu inglobata nel Ducato di Benevento e fece parte del gastaldato di Rota.
Quando il Ducato fu diviso in due Principati (849) – di Salerno e di Benevento
– questo gastaldato divenne un delicato territorio di confine, in più
attraversato dall’unica via di comunicazione con l’interno – allora chiamata via
antiqua qui badit ad Sancte Agate – su cui nel trattato di divisione fu
prevista anche una stazione di sosta dalla parte della valle del Sabato (a
li pellegrini)11.
In questo frangente
la naturale vocazione difensiva della conca fu ulteriormente valorizzata in
quanto il monte Pergola-San Marco divenne un elemento strategico di grande importanza.
Esso ebbe sul lato nord il castello di Serino, sovrastante la valle del Sabato,
sul lato sud una fortificazione di rinforzo, che sarà il castello di Solofra, e
poco più a sud il castello di Montoro che dominava la pianura e le via12.
Questo periodo fu
caratterizzato da uno stretto rapporto con Salerno, perché i principi
longobardi e i vescovi della città controllarono direttamente il territorio col
possesso di beni e con la gestione comune della pieve, rapporto che fu di
natura squisitamente economica e che determinò lo stabilizzarsi sul posto della
concia delle pelli. Essa, per particolari condizioni ambientali – la presenza
di prodotti conciati e di acqua – e per il diretto contatto con questa attività
artigianale che si svolgeva a Salerno e nel suo hinterland, dove c’era
una cospicua comunità ebraica specializzata in quest’arte, ebbe una sostanziale
evoluzione13.
Fin da questo periodo
si individuano inoltre altre attività di origine agro-pastorale, che legarono
il territorio alla facies produttiva di tutta la pianura salernitana.
_________
7. Ibidem, pp. 27-28.
8. Ibidem, pp. 29-31.
9. Ibidem,
pp. 33-34. Vedi pure M. De Maio, La pieve di S. Angelo e Santa Maria
del"locum Solofre", in "Rassegna storica irpina", 1922,
pp. 87-120.
10. Ibidem, pp. 34-36.
11. Ibidem, pp. 36-45.
12. Ibidem.
13. Ibidem, pp. 47-50.
I
secoli del dominio normanno-svevo
Nel periodo
normanno-svevo (secoli XI-XIII) Solofra divenne vico e fece prima parte
della Contea di Rota, governata da Troisio, poi dal figlio Ruggiero I, quindi
entrò nel feudo di Serino con Roberto II Sanseverino-Tricarico14.
In seguito alle
distruzioni normanne Solofra subì l’insabbiamento dell’antica via di
Castelluccia per cui si accentuò il suo legame con Serino, il cui castello fu
servito dalla via di Turci. Questa realtà intorno al Pergola-San Marco fu
sottolineata anche dalla Chiesa di Salerno che unì tutta la zona in un archipresbiterato
con centro Serino15.
All’inizio del XIII secolo
Solofra ebbe l’autonomia territoriale ed amministrativa prima con Giordano
Tricarico poi col fratello Giacomo. Quest’ultimo poi l’assegnò come dote alla
figlia Giordana, sposa di Alduino Filangieri di Candida, per cui il territorio
entrò nei feudi di questa importante famiglia normanna16.
In questo periodo è
da sottolineare il sorgere, in seno alla comunità solofrana, di una tendenza
rivendicativa antifeudale che poggiava sulla coscienza del valore della propria
realtà economica e della necessità di liberarla dai pesi feudali. Infatti la
comunità chiese l’autonomia feudale ed anche se non vi riuscì vide nel distacco
da Serino il riconoscimento della propria specificità17.
Intanto la comunità
aveva acquisito una precisa identità giuridica che determinò la costituzione
del primo nucleo normativo degli Statuti18.
____________
14. Ibidem,
pp. 55-56, 61-63, 68-71.Vedi pure I Sanseverino Signori di Solofra-S.Agata.
15. Ibidem, pp. 57-58.
16. Ibidem, pp. 73-74.
17. Ibidem.Vedi
anche M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra,
2000, pp. 11-13.
18.
Gli Statuti solofrani sono stati pubblicati in forma integrale da C.
Castellani, Statuta Universitatis terre Solofra, Galatina, 1989. I primi
due corpi statutari sono stati commentati in M. De Maio, Gli Statuti
solofrani, in Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, cit. pp.
108-148. Il terzo corpo statutario è commentato sul sito web
www.solofrastorica.it.
Solofra
diventa castro.
Nella seconda metà
del secolo XIII, quando gli Angioini si impossessarono del Meridione, Solofra,
che aveva un territorio molto ristretto poiché tutto il versante del monte
Pergola-San Marco e parte della pianura apparteneva a Serino – col grande
casale di S. Agata - , assorbì, voluto da Carlo I d’Angiò, metà di questo
casale che fu suddiviso in due: S. Agata di sotto o di Serino e S. Agata di
sopra o di Solofra (ora S. Agata irpina)19.
Questo ampliamento
che comprendeva la collina del castello portò il vico a definirsi castro
per la sua maggiore forza difensiva, inoltre il possesso del passo di Turci
permise il controllo dei traffici. Ciò provocò un forte aumento demografico,
poiché il territorio accolse coloro che fuggivano dal Cilento, teatro della
guerra del Vespro, tanto che nella conca si formò una vera colonia di
cilentani, come ricorda anche un toponimo locale (celentane)20.
Questa evoluzione,
favorì un ulteriore sviluppo mercantile con più intensi rapporti con Salerno al
cui mercato facevano capo i commerci di Amalfi, e consolidò la definizione
delle sue attività artigianali tutte legate all’industria armentizia (pelli,
lana, lavorazione della carne salata, produzione del grasso per la concia). La
comunità solofrana tra l’altro forniva a Salerno la materia prima per la
fiorente attività della doratura delle pelli (oropelle) che era stata
protetta già dai re normanni e da Federico II, il quale aveva dato alla città
particolari prerogative proprio in sua difesa21.
_________
19.
M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, cit., pp. 11 e
n.2.
20. Ibidem, pp. 12-18.
21. Ibidem, pp. 19-27.
Il
Trecento solofrano.
Lungo tutto il XIV
secolo Solofra si valse del positivo governo dei Filangieri – Riccardo e
Filippo – che favorirono il trasferimento di molte famiglie artigiane da
Salerno, sostennero lo sviluppo della platea pubblica – il centro
mercantile di Solofra – e vollero il Convento di S. Agostino all’imbocco della
via che conduceva al rione delle concerie, che servì per accogliere e
proteggere i prodotti delle botteghe prima che prendessero la via dei mercati.
A causa di questi innesti e di questa evoluzione si costituì a Solofra una
borghesia artigianale che trasformò la chiesa di S. Angelo (ex pieve di S.
Angelo e S. Maria) in chiesa ricettizia a sostegno della propria
economia22.
Fu in questo periodo
che alle attività solofrane si aprirono i mercati di Napoli e della Puglia con
il contributo dei medici Fasano – Riccardo, Andrea e Niccolò - , collaboratori
della corte angioina, che ottennero per il commercio solofrano particolari
prerogative. Essi instaurarono una modalità, che poi sarà seguita dalla
comunità solofrana, di stabilirsi nella capitale del Regno per godere i
privilegi dovuti ai cittadini napoletani sulle attività economiche svolte nel
paese di origine23.
__________
22. Ibidem, pp. 27-32.
23. Ibidem, pp. 33-57.
Il
secolo dello sviluppo.
All’inizio del XV
secolo, in seguito all’estensione del ramo dei Filangieri, il feudo passò agli
Zurlo di Napoli che sostennero in modo efficace le attività solofrane
partecipandovi direttamente e consentendo uno sviluppo economico considerevole.
L’artigianato divenne più articolato e le conseguenti attività mercantili e
finanziarie più mature tanto che fu necessario stilare nuovi articoli statutari
che regolavano soprattutto il credito24.
Solofra subì un forte
incremento abitativo con ben quindici casali - Caposolofra, Fontane soprane,
Fontane sottane, Vicinanzo, Sorbo, Balsami, Forna, Lo fiume (il futuro rione
Toppolo), Sortito (il centro commerciale della platea), de li Burrelli
(il futuro rione Volpi), Cortina del cerro (detta anche Casate), Toro soprano,
Toro sottano, Fratta, Sant’Agata di sopra – ognuno sviluppato intorno ad una
famiglia dominante e ad una chiesa che ne proteggeva le attività. In questo
periodo infatti acquistarono un ruolo decisivo sia la proprietà ecclesiastica
che la piccola proprietà, che servirono come garanzia al prestito25.
Vale considerare che
il ristretto territorio e la conformazione prevalentemente pedemontana
impedirono la costituzione del latifondo e che invece la comunità si arricchì
di elementi intraprendenti e capaci nel commercio che difesero con decisione le
forme di autonomia che erano riusciti ad avere.
La mercatura fu, in
questo ambiente, un elemento di maturazione, infatti i viaticali e i
mercanti, pur continuando a frequentare i mercanti locali – il polo di
Giffoni-Sanseverino, la stessa Salerno con ben due fiere - , ampliarono il loro
raggio di azione verso i centri commerciali della Puglia, e verso i mercati
abruzzesi e calabresi. Ciò permise positive esperienze, fece sorgere nuove
esigenze e molti interessi. Inoltre nel ricco mercato napoletano si venne a
contatto con un tipo più maturo di artigianato e di mercatura che portò
all’autonomia finanziaria26.
In questo periodo si
qualificò un’attività già anticamente presente in loco e praticata soprattutto
a S. Agata – il lavoro dei metalli – che portò i solofrani nella Zecca di
Napoli, dove vennero a contatto con i lavoratori dell’oro fiorentini facendo
maturare un altro indirizzo dell’operosità solofrana27.
________
24. Ibidem, pp. 27-32.
25. Ibidem, pp. 151-157.
26. Ibidem, pp. 87-90, 167-174.
27. Ibidem, pp. 67-70.
Il
secolo d’oro.
Questa nuova realtà
dette vita alla fioritura del Cinquecento solofrano espressione della quale fu
la trasformazione della vecchia chiesa dell’Angelo nella grande e ricca
Collegiata di S. Michele Arcangelo, voluta e costruita interamente dalla
comunità. Essa servì a meglio sostenere l’economia locale con la gestione della
liquidità ecclesiastica e a evidenziare, nel Collegio di sacerdoti che la
governava, l’evoluzione sociale della comunità28.
Inoltre la ricchezza
di molte famiglie permise l’acquisto dell’autonomia feudale, che, anche se per
un breve periodo (1535-1555), liberò la comunità dal peso delle imposizioni
servili e dette respiro all’economia29.
Fu questo il periodo
più fiorente della realtà solofrana che con i suoi commerci raggiungeva anche
zone fuori del Meridione e che vide un solido incremento di tutte le attività
artigianali, a cui si aggiunse l’arte del battiloro (oropelle),
trasferita da Napoli ad opera della capace borghesia locale che riuscì a
superare l’ostacolo del diritto di privativa sull’arte (jus proibendi),
goduto da Napoli, trasformando Solofra in una sorta di succursale napoletana,
situazione che giovò molto all’economia locale. In questa arte si distinse fin
dall’inizio la famiglia Maffei che ebbe un’importante bottega con un ampio
mercato e che a Napoli fece parte della potente consorteria di Via degli
orefici30.
Solofra ha la fortuna
di possedere una ricca documentazione notarile che fotografa in questo periodo
la sua realtà artigiano-mercantile. Sul territorio c’erano non meno di
cinquanta apothece de consaria nelle quali si lavorava una gran varietà
di prodotti: coire pelose, barbare, per calzarelli, in pigna, in ceroni,
levantesche, coire membrane(pergamene), suole, coiramine, in ceroni, scardose,
vasche levanteshe, di Sicilia, alessandrine, sardesche, pelli conciate in
galla, di sommacco, di calce, di mortella in bianco; e si esercitavano
diverse arti legate alla pelle: arte de conciaria, coraria, de mercanzia, de
viaticaria, de fabricar calzarelli e scarpe, de far funi e cordoname, de far
mortella, de corredare, de far oropelle, de far carte membrane, de verder lana,
de far sommacchi. A queste si devono aggiungere talune antiche attività
locali e cioè la salatura e la lavorazione delle carni suine, da cui derivano i
rapporti con Barletta e le saline pugliesi, e il fiorente commercio degli
animali legato all’industria dei trasporti (viaticaria)31.
Questa preziosa
documentazione per la sua caratteristica permette anche di avere un quadro
preciso della realtà sociale locale con la individuazione delle famiglie che vi
facevano parte.
A metà del secolo
XVI, in seguito ad un forte contrasto in seno alla comunità, divisa
sull’opportunità di porsi sotto l’ala protettrice di un feudatario o di
continuare a tentare da soli l’alea mercantile in un Meridione afflitto dalle
involuzioni economiche del Viceregno, la comunità vendette la propria autonomia
a Beatrice Ferrella, vedova di Ferdinando Orsini, divenendo feudo di questa
importante famiglia feudale32.
La fine del ventennio
di autonomia politica è da attribuire alle carenze della politica del Viceregno
non interessato a sostenere le realtà locali che potevano diventare conduttrici
di un autonomo processo economico. Ciò determinò un’ampia insoddisfazione
soprattutto perché presto si sperimentò il nefasto dominio orsino.
Gli Orsini infatti si
mostrarono poco liberali, autoritari e rapaci, e soprattutto incapaci di
sostenere i bisogni della comunità. Essi imposero forti privilegi sulle
attività e sul commercio e furono gli assoluti padroni del tribunale locale,
cosa che fece naufragare le prospettive economiche del primo Cinquecento33.
Fin dall’inizio
l’insediamento della famiglia feudale fu difficile sia per la contrastata
costruzione del palazzo ducale, sia per il prepotente prelievo dell’acqua che
danneggiò le concerie che avevano fatto parte del contratto di acquisto del feudo
tanto che ad appena venti anni dall’insediamento la comunità fu costretta ad
intentare una causa contro la famiglia feudale per difendere i propri diritti34.
Di fronte a questa
realtà maturarono, anche se non senza contraddizioni, nuove esigenze morali e
civili, che, unite a quelle che si attingevano nel rapporto con la capitale,
provocarono una recrudescenza del contrasto antifeudale nato all’inizio della
vita autonoma della comunità.
Vale sottolineare che
il trasferimento a Napoli permise alle famiglie del patriziato mercantile
solofrano di venire a contatto con i fermenti culturali della grande capitale
introducendole nella borghesia napoletana di impronta artigiano-mercantile.
Ciò spiega anche il
grande numero di solofrani che da questo momento in poi si distesero in ogni
campo dello scibile. Tra questi il filosofo aristotelico Camillo Maffei, autore
di un’importante opera – Scala naturale ovvero Fantasia dolcissima – che
ebbe quattro edizioni veneziane, che mostrano i rapporti col Veneto dove a
Padova c'era un centro di irradiazione della filosofia di Aristotele e da cui
provenne pure il maestro che diresse una scuola solofrana già attiva all’inizio
del secolo35.
La società solofrana,
che emerge in questo secolo, fu caratterizzata da una fitta rete di intrecci
familiari, che determinarono particolari forme di collaborazione. Uomini e
famiglie erano uniti tra loro dal fatto che tutte le attività locali – da
quelle artigianali a quelle mercantili e finanziarie – formavano un tutt’uno in
cui l’una traeva sostegno dall’altra. Ciò era permesso dalla concia che, dopo
il passaggio nelle vasche, si spostava, divisa in parti, nei bassi e nelle
cortine e che inoltre permetteva varie forme di manifattura (scarpe, cordami,
tamburi, ecc.). Anche l’attività mercantile e finanziaria si svolgeva in
simbiosi nel senso che sia il mercante che il finanziatore erano uniti da uno
stretto rapporto creditizio36.
Questa economia
solidale favorì l’ascesa sociale in quanto a nessuno fu precluso il passaggio
da una condizione più bassa – il lavoratore poteva partecipare con un suo
contributo al lavoro in conceria – a posizioni più alte, anche se la mancanza
di autonomia fu indubbiamente un limite. Appena un nucleo familiare era in
grado di fare questo passo per prima cosa permetteva ad un suo membro di
entrare nel ceto ecclesiale in tal modo, attraverso la gestione degli altari e
delle cappelle, entrava nel mercato finanziario. Inoltre la partecipazione alla
cultura dava possibilità di occupare ruoli dominanti della vita locale37.
___________
28. Ibidem, pp. 95-98.
29. Ibidem, pp. 181-194, 161-167.
30. Ibidem, pp. 174-180.
31. Ibidem, pp. 237-366. In questa opera sono pubblicati, in
regesto, tutti i documenti notarili, circa mille, degli anni 1521-1524 che
permettono di avere un quadro abbastanza preciso della realtà economica di
Solofra all’inizio del secolo XVI.
32.
Sul sito web www.solofrastorica.it è pubblicato l’atto di vendita del feudo di
Solofra fatto dalla Universitas alla Ferrella Orsini.
33.
Sito web citato. Nelle pagine dedicate agli Orsini di Solofra ci sono tutti i
documenti relativi alla causa intentata dalla Universitas di Solofra contro la
Ferrella Orsini. Vedi pure M. De Maio, Gli Orsini di Solofra, Biblioteca
Comunale di Solofra "Renato Serra", Solofra, 2003.
34. Ibidem.
35.
M. De Maio, I Maffei di Solofra, Montoro, 1998.
36.
M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, cit., pp. 174 e
sgg.
37. Ibidem,
pp. 161 e sgg.
Il
secolo dei contrasti
Nel secolo XVII si
fece evidente nella società solofrana un irrigidimento che rese sempre più
difficile l’ascesa sociale. Si venne a formare così un ristretto gruppo di
finanziatori e speculatori nelle cui mani si concentrò il potere della
Universitas, la gestione delle gabelle, il possesso degli arredamenti non solo
della Universitas solofrana ma anche di molte altre Universitas e della stessa
Napoli. Esso tese a chiudersi nelle proprie prerogative e a sostenere la
famiglia feudale alla quale tentava di somigliare anche con l’acquisto di
titoli nobiliari. Accanto a questo ce ne fu un altro più ampio, sempre di
proprietari, artigiani e piccoli finanziatori in posizione di inferiorità ma
legato da vincoli di parentela o economici col primo gruppo.
La parte più bassa
era formata da piccoli artigiani e mercanti, in posizione di dipendenza dai
primi gruppi di cui subiva la prepotenza e che finivano per essere equiparati
al feudatario, diventato anche lui un mercante e un finanziatore. Non in
posizione molto distanziata c’erano i "bracciali", una fetta della società
che soffriva molte limitazioni e che si sentiva unita alla classe precedente38.
Su queste due ultime
classi gravavano di più i danni che il dominio feudale provocava all’economia
locale: l’usurpazione degli usi civici, che a Solofra avevano un forte valore
economico, gli arbitri del tribunale feudale, il peso dei censi sul credito.
Esse inoltre avvertivano il peso della proprietà ecclesiale, di cui non
facevano parte e che, servita a sostenere il commercio, aveva fatto accumulare
i beni in poche mani. Le stesse strutture ecclesiastiche dei Conventi di S.
Chiara e di S. Domenico, volute dagli Orsini, ma gestite dalle famiglie più
abbienti, sottolineavano questa situazione. Per tali motivi si evidenziò una
tendenza a sostenere tutto ciò che avrebbe potuto cambiare quello stato di
cose, producendo i germi di un vivo radicalismo39.
Neanche la parte alta
della società solofrana fu in pace, con forti contrasti familiari scoppiati
intorno al rapporto col feudatario, poiché ci furono elementi che rifiutavano
di mettersi dalla parte del feudatario e che dettero un contributo alla lotta
contro il potere orsino.
Questa realtà
sociale, così lacerata e divisa, che pur faceva parte di un’area ricca e
feconda, soffrì l’involuzione dei rapporti di produzione derivanti dall’arresto
dello sviluppo mercantile e manifatturiero del secondo periodo vicereale.
In tali angustie la
società solofrana visse la partecipazione alla rivolta masanelliana del 1647
che per il suo connotato antifeudale ebbe una particolare vitalità dalla spinta
che veniva dai ceti più bassi. Essi riuscirono a strappare nuovi capitoli
statutari all’Orsini e ad eleggere un governo con un ampio programma
antifeudale a difesa delle usurpazioni dei beni demaniali, delle prepotenze
nella formazione dei catasti e di coloro che combattevano contro i banditi
sostenuti dal feudatario. La situazione però sfuggì di mano e si giunse agli
eccessi in cui degenerò la rivolta naufragando nella successiva recessione che
fu accentuata dalla piaga del banditismo dannoso soprattutto al commercio40.
Le cose peggiorarono
con la peste del 1656 che decimò la popolazione, disgregò interi patrimoni
provocando l’innesto di molti elementi forestieri. Sorsero seri problemi di
integrazione che ancora una volta trovarono nel dominio baronale la fonte di
una serie di contrasti. Infatti si formò a Solofra un’oligarchia di potere con
la permanenza di alcune famiglie nel governo della Universitas, resa possibile
dal fatto che gli Eletti e i Decurioni nominavano i loro successori in modo che
i rappresentanti dei casali erano sempre dello stesso ceppo41.
Di ciò approfittò
l’infausta figura del feudatario, Domenico Orsini - il fratello del futuro papa
Benedetto XIII - che si accaparrò una fetta non indifferente delle gabelle
oltre a diversi diritti sulla vendita dei prodotti, rendendo impossibile ogni
spinta di modernizzazione, mentre la presenza di governatori e di agenti
feudali esosi, una vera longa manus del feudatario sulle attività
locali, fu ancora più perniciosa42.
La tensione esplose a
fine secolo quando si ebbe una vera guerra civile che fu l’episodio più
significativo, e prettamente locale, di tutta la storia vicereale solofrana e
che fu determinata dal tentativo dell’Orsini di controllare direttamente le
attività mercantili solofrane, con lo spostamento del mercato nella piazza
antistante il suo palazzo, e la stessa Collegiata. Le due parti - la
maggioranza della comunità, guidata dal primicerio Giovan Sabato Juliani e il
feudatario Domenico Orsini, sostenuto dal patriziato mercantile che aveva benefici
dall’essere dalla parte del principe - si pacificarono solo con l’uscita di
scena del feudatario all’inizio del Settecento43.
L’episodio, che
mostra da una parte un feudatario insofferente verso l'espansione di un ceto
più autonomo e più capace di difendere i propri interessi, dall’altra una
maturazione della tendenza antifeudale solofrana, evidenzia un dato importante
e cioè una società sensibile ai problemi dell’economia e pronta a far valere le
proprie ragioni, non inattiva, che comprende che la strada delle rivendicazioni
è sostenuta non solo da ragioni meramente pratiche ma anche lucidamente
razionali, le quali alimentarono la riflessione dei suoi intellettuali che da
Napoli portavano a Solofra le esigenze di rinnovamento dei tempi nuovi.
Vale sottolineare che
questo secolo fu anche quello che vide importanti figure di grande spessore
culturale da Francesco Guarini (1611-1651), innovatore della pittura del
Seicento napoletano di indirizzo caravaggesco44, a Gabriele Fasano
(1645-1689) autore de Lo Tasso napoletano, una vivace traduzione in
dialetto napoletano della Gerusalemme Liberata, frutto dei rapporti
intrattenuti con letterati toscani45, a Honofrio Giliberti
(1618-1665) drammaturgo e corifeo della commedia dongiovannesca, e a tutta una
serie di uomini di chiesa tra cui Niccolò Tura, vescovo e maestro del papa
Benedetto XIII. Ma vale anche dire che questi uomini potettero emergere solo
uscendo fuori dal ristretto ambiente solofrano per cui il Fasano ci tenne a
chiamarsi "napoletano" come fece nella sua opera e il Guarini
insistette a dare al suo cognome una grafia che lo distingueva da quella di
origine, come fece nella sua lettera a Ferdinando Orsini46.
Le lavorazione della
pelli continua ad essere uno dei punti di forza della struttura economica con
una polverizzazione di botteghe tale da interessare la quasi totalità della
compagine sociale. L’arte del battiloro, che in questo secolo fu floridissima,
diventò un’arte prettamente "solofrana" con l’impegno di lavoratori
esclusivamente locali ed una specializzazione artigianale non consentita ad
elementi estranei al paese come conseguenza della privativa che legava questi
lavoratori a Napoli, e che perciò non ebbe alcuna forma di autonomia47.
__________
38.
Sito web citato.
39. Ibidem.
40. Ibidem.
41. Ibidem.
42.
M. De Maio, Solofra e la rivoluzione napoletana del 1799, in Atti del
convegno di studi del novembre 1999, Avellino, 2003, pp. 150 e sgg. Vedi pure
sito web citato.
43. Ibidem.
44.
M. Grieco, Francesco Guarini da Solofra e la pittura napoletana del ’600,
Avellino, Pergola, 1963.
45.
M. De Maio, Gabriele Fasano e Lo Tasso napoletano, in
"Riscontri", Sabatia, 1999, 21, n. 3-4, pp. 31-51.
46.
M. De Maio, Solofra e la repubblica napoletana del 1799, cit.
47.
Sito web citato.
Il
secolo dell’Illuminismo solofrano.
In questo secolo ci
furono molti solofrani che, entrati a far parte del mondo della cultura,
vennero a contatto con le istanze di rinnovamento dell’Illuminismo napoletano che
fu molto vicino ai problemi solofrani poiché ebbe una caratterizzazione
prettamente economica. Indicando nel rinnovamento l’unico mezzo per cambiare la
situazione di arretratezza del Meridione, questo movimento d’idee sottolineava
la necessità di instaurare nuove strutture produttive e commerciali libere dai
privilegi feudali ed ecclesiastici e di far sì che le leggi fossero a
protezione del cittadino diversamente da come era successo fino ad allora48.
Lungo tutto il secolo
nella società solofrana furono vive queste idee, che dovevano essere realizzate
in modo non violento ed in sintonia con la monarchia non oppressa dal
predominio nobiliare e che furono anche di quelli che, come si diceva,
"vivevano nobilmente", perché anch’essi erano legati alle attività
che si svolgevano a Solofra. L’elemento antifeudale che serpeggiava nella
società solofrana vi trovò una speranza che le cose potessero cambiare anche se
continuava la preponderanza feudale ed anche se il ristretto patriziato delle
finanze, ancora più arricchitosi con le riforme di Carlo III, continuò a tenere
il controllo dell’Universitas. L’Orsini fu sentito sempre più lontano mentre il
suo comportamento appariva sempre più simile a quei borghesi che erano riusciti
ad avere un titolo nobiliare49.
Si giunse così alla
Rivoluzione napoletana del 1799 che alimentò le speranze anche dei non
giacobini sia di Solofra che di S. Agata e che si risolse negativamente appena
quella rivoluzione prese forme estremiste, mettendo in evidenza la tendenza
essenzialmente moderata della società solofrana50.
Gli eventi
rivoluzionari portarono alla rovina della economia di Solofra, definito
"il più ricco paese della provincia", che uscì gravemente colpita per
le perdite di intere partite di arrendamenti, per la scomparsa del battiloro e
della lavorazione della pergamena, che dopo la concia erano state le arti più
rappresentative, e per la riduzione subita dalla stessa concia tanto che a metà
Ottocento le botteghe che praticavano tale attività erano solo una trentina
rispetto alle oltre sessanta di un secolo prima51.
La realtà
socio-economica solofrana di questo secolo può essere definita tenendo presente
i dati del catasto onciario del 1754 che censiva poco meno di 4000 cittadini e
750 unità lavorative (fuochi). Tra questi c’erano 660 conciapelli, 348
battiloro, 594 altri artigiani tutti legati alla pelle o ad attività
collaterali, mentre i lavoratori dipendenti che offrivano l’opera nei campi e
nelle concerie (bracciali) erano poco più di 300. Gli addetti al commercio
erano 579 ma anche coloro che esercitavano le cosiddette "attività
liberali" o i "viventi del proprio", come allora si chiamavano
coloro che non svolgevano attività operative - ben 509 - avevano tutti impegni
mercantili e finanziari con famiglie più o meno direttamente impiantate a
Napoli, che intrattenevano rapporti commerciali con Solofra e svolgevano in
prima persona e concretamente tali attività52.
Vale infine ricordare
tre grandi rappresentanti del rinnovamento solofrano: il vescovo Costantino
Vigilante (1685-1754) che contribuì alle riforme messe in atto da Carlo III e
lottò per l’abolizione delle prerogative ecclesiastiche; il giurista
Massimiliano Murena (1728-1781), un riformatore moderato autore di opere
d’impostazione illuministica53; Giuseppe Maffei (1728-1812), un uomo
di legge che come insegnante e rettore dell’Università partecipò al fervore di
studi e di idee che precedette il 1799 tanto da subire la carcerazione, durante
l’opera repressiva nel 1794, e la chiusura della sua scuola privata54.
_________
48.
M. De Maio, Solofra e la repubblica napoletana del 1799, cit.
49. Ibidem.
50. Ibidem.
51. Ibidem.
52. Ibidem.
53. Ibidem.
54.
M. De Maio, I Maffei di Solofra, cit.
Il
secolo diciannovesimo
L’Ottocento iniziò con
un sostanziale svecchiamento delle strutture dell’antico regime ad opera dei
napoleonici i quali si servirono anche dell’apporto di solofrani, come di
Gaetano Giannattasio che contribuì all’ammodernamento dell’apparato
amministrativo, mentre Giuseppe Maffei partecipò al rinnovamento
dell’Università e Leonardo Santoro rinnovò la chirurgia55.
Contro la reazione
instaurata dal Congresso di Vienna si riaccese una tendenza che spingeva per
riforme più radicali e che operò nella Carboneria costituendo a Solofra ben tre
Vendite che poi daranno vita ai moti del 1820-1821, mentre contro il
reazionarismo borbonico ci furono coloro che si adoperarono per mantenere viva
l’esigenza di una profonda opera di rinnovamento per svecchiare le strutture
del Meridione. Tra questi vale citare Luigi Landolfi (1814-1889), avvocato ed
uomo di cultura che trasformò il suo salotto napoletano in un centro in cui,
come lui stesso disse, "si faceva l'Italia" e che poi dette il suo
contributo lottando sulle barricate nel 1845 e impegnandosi nei primi decenni
dell’unità per evitare che il sud partecipasse al nuovo Stato in posizione di
dipendenza; e Giuseppe Maffei junior (1829-1892) che partecipò all’importante
compito di riordinare la Magistratura napoletana56.
La realtà industriale
aveva ancora forme di arretratezza con un sistema di lavorazione tradizionale a
basso contenuto tecnologico con lunghi tempi di lavorazione che esponevano
l’imprenditore a pericoli inflativi condizionando il guadagno o mettendolo
nella impossibilità di far fronte a impegni creditizi. Ancora in questo periodo
c’erano botteghe che svolgevano solo la fase di concia, mentre la rifinitura
era divisa in parti, svolte in piccole unità lavorative, che facevano capo a
imprese più grandi, che avevano l’intero processo di concia o settori di
rifinitura praticati con metodi che cominciavano ad essere moderni. Infatti
diverse imprese solofrane - ne sono documentate 35 a metà secolo - erano a capo
di una fitta rete di attività minori la cui estrema duttilità permetteva di adeguarsi
alle esigenze del mercato, svolgendo un’importante funzione ammortizzatrice; ed
altre, piccole e medie a carattere familiare, trovavano nelle ampie alleanze,
che ancora allora erano realizzabili e che fornivano la manodopera e il
capitale, la possibilità di non essere sopraffate dalla situazione di crisi che
colpì il settore57.
Bisogna dire però che
in questo sistema, ancora ampiamente preindustriale, c’erano delle imprese già
avviate verso forme di vera industrializzazione, con macchine che sostituivano
il lavoro manuale, con sistemi di concia chimica al posto di quella naturale e
con una moderna organizzazione aziendale. Esse, che lavoravano una vasta gamma
di prodotti ed erano presenti non solo sul mercato nazionale, riuscirono ad
emergere "nell’ambiente anti-industriale del Mezzogiorno" come mostra
la partecipazione di ben due ditte - la Buonanno e la De Vita - alla
esposizione nazionale di Torino del 189858.
In un ambiente come
quello solofrano si fecero sentire presto le istanze della questione sociale.
Si costituì infatti a Solofra e a S. Agata, un sostanzioso movimento operaio
con la formazione di ben tre Società di mutuo soccorso, per l’assistenza agli
operai, che poi si trasformarono in Leghe di resistenza per la lotta in difesa
delle rivendicazioni operaie. Tra queste la Lega Pellettieri, una vera lega di
mestiere forte di ben trecento adesioni, fu al centro delle rivendicazioni del
1903, quando ci fu uno sciopero di ben l0 giorni mentre il problema solofrano
venne discusso persino in parlamento59.
Solofra annovera tra
i suoi uomini illustri di fine secolo il marinaio scienziato Gregorio Ronca che
con le sue innovazioni applicate alle navi dette un sostanziale contributo nel
trasformare la Marina italiana in un’arma all’avanguardia da essere imitata da
altre marine europee e persino da quella giapponese60.
____________
55. Ibidem.
56.
M. De Maio, La Carboneria a Solofra, sito web citato.
57.
Sito web citato.
58.
M. De Maio, Famiglie solofrane. I Buonanno, in sito web citato.
59.
M. De Maio, Il Socialismo nell’area solofrano-santagatina, in Introduzione
a A. Famiglietti, I miei ricordi, Solofra, 1986.
60.
M. De Maio, Il navigatore scienziato Gregorio Ronca. Un irpino da non
dimenticare, Solofra, 1987.
Il
Novecento
L’ampia realtà operaia
solofrana subì un forte incremento con le riforme elettorali d’inizio secolo
quando sia Solofra che S. Agata ebbero un governo socialista mostrando la
presenza di un’ampia cellula rivendicativa. Inoltre si evidenziò una sua
radicalizzazione quando il maggiore rappresentante del socialismo solofrano,
Vincenzo Napoli, che aveva rifondato la Lega pellettieri decimata
dall’emigrazione, partecipò alla costituzione del partito comunista a Livorno
(1921), mentre a S. Agata, per l’esistenza di una diffusa realtà operaia, si
ebbero le manifestazioni più ampie61.
Ciò fece sì che il
processo di fascistizzazione, messo in atto in Italia poco dopo, fu più facile
a Solofra che aveva un numeroso patronato mentre per S. Agata si operò
aggirando l’ostacolo. Il centro infatti, che nel 1796 aveva ottenuto il
distacco da Serino divenendo Comune autonomo, fu assorbito nel Comune di
Solofra. In questo periodo Solofra ebbe un campo di prigionia fascista che poi
divenne l'unico campo d’internamento femminile della provincia accogliendo
donne appartenenti ai paesi contro cui l’Italia fu in guerra e donne italiane
antifasciste62.
Durante la seconda
guerra mondiale Solofra subì un disastroso bombardamento il 23 settembre del
1943 che rase al suolo i rioni alti del Sorbo e dei Balsami uccidendo trecento
persone. In questo frangente si evidenziò l’opera di molte persone che si
prodigarono per portare soccorso ai numerosi feriti tra cui vale citare la
figura di Giulia Ronca, nipote del grande Gregorio e crocerossina, che
trasformò la sua casa in un ospedale per il primo soccorso63 e di
Cenzina Russo che, come Presidente del Cif Provinciale e dell'Eca Comunale, si
adoperò nell'immediato dopoguerra per sostenere le famiglie più colpite dagli
eventi bellici con la distribuzione degli aiuti americani, l'assegnazione di
refezioni e colonie marine e montane, l'apertura di corsi di formazione
professionale, ed operò a livello nazionale nel Movimento femminile della
Democrazia Cristiana negli anni cruciali tra il '48 e il '5364.
Nel secondo dopoguerra
si registra un profondo rinnovamento della realtà industriale solofrana il cui
spirito imprenditoriale seppe trarre giovamento dagli aiuti a favore dello
sviluppo del sud. La Cassa del Mezzogiorno infatti permise a molti operai di
trasformarsi in imprenditori i quali si trovarono pronti per la nuova
industrializzazione e ora esprimono la realtà di polo ad alta tecnologia capace
di vincere le sfide del mondo contemporaneo.
61.
M. De Maio, Il socialismo nell'area solofrano-santagatina, cit.
62. Ibidem.
63.
A. Favati, Le internate, Atripalda, Mephite, 2002.
64.
http://www.solofrastorica.it
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