Famiglie
solofrane
RUSSO
Circa l'origine di questo cognome vi sono
tre filoni che hanno un comune riferimento al colore "rosso" ma si
differenziano per la origine e la collocazione storica ed ambientale.
Il primo filone molto generico rimanda al termine di matrice
tardo-latina r-ssus=rosso senza ulteriori riferimenti
epocali, d'origine né di collocazione spaziale. In dubbio sono le motivazioni
dell'abbinamento cromatico ad un iniziatore del casato, né viene
spiegato a cosa esso si riferisce se al colore dei capelli, o
all'abbigliamento, oppure ad un particolare oggetto di colore rosso, né perché
i portatori di questo cognome storicamente fossero concentrati nel sud della
penisola italiana.
Il secondo filone, pur ripetendo il riferimento al colore
"rosso", rapportandolo al termine latino classico "rubeis " o "rubeo"
cerca di darne una motivazione più articolata riferendolo a membri di comunità
"barbara", discesa dal nord Europa ed
insediatasi stabilmente in alcune zone dell'Italia meridionale dove quel cognome
appare più frequentemente ed intensivamente distribuito. Il riferimento a genti
del nord e nord-est europeo meglio giustifica l'abbinamento cromatico
all'individuo perché molte fonti rammentano come quei popoli, di ceppo etnico
slavo, avessero in comune il colore rossigno dei capelli. E
poiché il cognome inizia a diffondersi dalla fine del 300 d. C. può
ritenersi accettabile l'idea che riferendosi ai suoi portatori sia valsa l'abitudine di indicarli genericamente come i
"Russus" o 'Rubeis",
o Rubeo ed infine Russo.
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La leggenda fa riferimento agli Unni e ai
Normanni. Dei primi si dice di un gruppo che lasciato
Attila avrebbe proseguito la penetrazione in Italia fino a fermarsi nell'area
potentina ove si insediò stabilmente e che fu indicato come LU RUSSU riferito
alla regione di provenienza. Dei Normanni, anch'essi caratterizzati dal colore
dei capelli rossicci, ci si riferisce al gruppo normanno della Contea di Aversa, che ha la sua punta di diamante nel Patriziato
Russo di Pozzuoli.
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Il terzo filone è quello del ceppo "amalfitano"
dimostrato essere il più antico. La documentazione dà tra i pionieri che vi si insediarono nel IV secolo d. C. un certo Rubeis-Rubeo, nobile e mercante originatore del casato. Il
nome poi si trasformò in Russo come risulta da
successivi riferimenti documentali tra cui uno che li indica come possessori di
una parte della Chiesa dì S. Michele Arcangelo o di S. Angelo di Capo di Croce
di Amalfi. Nel 1018 erano nel pieno della loro potenza economica e a Ravello furono tra le Case fondatici della parrocchiale
Chiesa di S. Giovanni del Toro.
I Russo poi si consolidarono e
radicarono nella Campania sud-orientale, nel salernitano e nelle propaggini irpine.
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I Russo nell'area solofrano-montorese
Nel 1158 sono documentati tra Montoro e S. Agata i
fratelli Riccardo (moglie Marotta figlia di Urso di Banzano) e Ruggiero (moglie
Diana) con i figli Roberto e Riccardo, possessori e
lavoratori del ferro in tutta l'area ed in rapporto con la bottega di Biscardo Russo nella Ruga Ferrariorum
di Salerno. Questa attività permise alla famiglia di entrare nella Zecca di
Salerno e poi in quella di Napoli costituendo una consorteria che di padre in
figlio giunse ad Anellus documentato nel XIV secolo.
Secolo XVI
All'inizio del XVI secolo
abitarono a Solofra Parmisano, Paolo (di Sorrento)
col figlio G. Battista commercianti di pelli; Antoniano proveniente da S. Angelo di Sentigliano; Santoro proprietario
di terreni; Cola esperto nell'arte sutoria presso
i Guarino.
Secolo XVII
Nella seconda metà del XVII secolo sono documentati Nicola col figlio Giacomo
Antonio; Giovan Sabato, Marco, Luca Santo, Antonio
Angelo col figlio Marco e il nipote Francesco
Nicola.
Secolo XVIII
Nel XVIII secolo ci sono Giovanni coi figli Michele
Arcangelo, Tommaso Giuseppe, Nicola (col figlio
Giuseppe Antonio, Giovanni Simeone, Giovanni Michele e Michele Arcangelo) e Romualdo nel 1733.
Antonio col figlio Michele
Arcangelo.
Marco col figlio Nicola e i nipoti
Pasquale Francesco, Consolato Sabato e Vincenzo.
Angelo Antonio con i figli Tommaso e Pasquale
Francesco (col figlio Domenico).
Carmine col figlio Domenico abitanti alla Selvetella e Vigne.
Taddeo col figlio Arcangelo e il nipote Arcangelo
Taddeo (coi figli Pietro Santo e Taddeo).
Nicola, macellaro
al Sorbo col figlio Tommaso.
Nicola, colono alle Masserie.
I Russo dal Catasto
Onciario (1754)
Cupa-Toppolo e Capopiazza
Domenico, conciatore di 73 anni coi figli Michele, coiraro di 40 anni (sposato a Giuditta Giliberti di 36 anni
con i figli Anna di 12, Fortunata di 3, Antonio di 1) e Carmine anch'egli coiraro di 38 anni. La famiglia abita un sedile di case con
gradata e cortile, possiede una bottega alla Forna
(confinante con i beni di un altro figlio Liberato) dove lavorano
i figli e una selva castagnale
detta Boschi dei Fasani. Ha un peso a favore
della Cappella dell'Immacolata nella Collegiata.
Liberato, coiraro di 33 anni, sposato con Angela Giliberti di 34 anni
con i figli Pasquale di 3 anni e Domenico di due anni. Abita un
divisorio di casa con gradiata e cortile, lavora in
una bottega alla Piazza (presa in fitto dalla famiglia Giannattasio) ed impegna
nell'arte della conceria 10 ducati.
Felice, lavoratore
di conceria di 54 anni sposato con Lucia Pirolo di 50 anni con una figlia
Teresa di 19 anni. Abita alla Cupa in un'abitazione di
proprietà confinante con i beni del fratello Domenico.
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Questo ceppo è ben definito sia nell'attività di conciapelli che nell'abitazione
nello stesso casale. Da notare la chiara alleanza familiare con i Giliberti
della Forna.
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Balsami
Taddeo conciatore di 44 anni sposato con
Teresa Guarino di 32 anni con i figli Gabriele di anni
9, Arcangelo di anni 1, Carmina di anni 11 e Angiola di anni 7. Abita una casa
dotale della moglie con cortile e orto confinante con i beni di Felice Russo.
Impiega nell'arte 75 ducati.
Felice maestro conciatore di 35 anni sposato
con Lucia Giliberti di 30 anni con i figli Domenico di anni
sei e Carminantonio di mesi 6. Abita in un divisorio
con gradiata e cortile (confinante con i beni di
Tommaso Russo e con la via pubblica). Lavora in una conceria (locata al Monte
della Famiglia Vigilante per ducati 27) ai Balsami nella quale impiega
100 ducati. Possiede due giovenche date a soccida con una rendita di 24
carlini.
Sabato, bracciale di 33 anni (sposato con
Grazia Guarino di 33 anni) coi figli Antonio
(bracciale di 14 anni), Lorenzo di 9 anni (sposa Vittoria Ziccardo nel 1791 e muore nel 1792), Giuseppe di 15 anni, Gennaro di 1 anno e Rosa di 11 anni.
Muore nel 1790.
Sorbo
Raffaele di 50 anni
(sposato con Carmina Balsamo) col figlio Pasquale di 12 anni.
Fratta
Nicola, giudice a contratti di 60 anni
(sposa Isabella Cartolano di 55 anni) con i figli Pasquale corredatore (sposato con Agnese D'Urso muore
nel 1790), Vincenzo, corredatore di 14 anni,
Michele (abita lontano nel 1790 è documentato un suo figlio, Saverio che abita
a La fornace dei boschi vecchi).
Gio Antonio bracciale di
49 anni (sposato con Maria Petrone di 41 anni) col figlio Pasquale di 19 anni,
bracciale.
Michele, bracciale di
30 anni (sposato con Grazia Solimene) col figlio Tommaso di 20 anni,
bracciale.
S. Angelo Strada vecchia
Giuliano, bracciale di 23 anni (sposato Lucia Mongiello di 25 anni).
Forna
Michele, bracciale di
30 anni (sposato con Felice Maria Guarino) con i figli Caterina, Fortunata e
Lucia.
Caposolofra
Giovanni, bracciale di
80 anni (sposato con Anna Galluccio di 65 anni) col
figlio Niccolò, bracciale di 25 anni.
S. Agata di Serino
Andrea, bracciale
(sposato con Agnese D'Urso) con i figli Antonio, bracciale, Rosa e Liberato.
Niccolò, bracciale di
50 anni (sposato con Girolamo Romeo di 45 anni) con i figli Michele, bracciale, Pasquale, Gennaro, Carmine, Pietro.
Nel 1790 sono documentati:
Carmine col figlio Antonio (sposato con
Isabella Corsetto di Altavilla).
Ferdinando con i figli Nicola, Pasquale e Margherita (sposato con Sabato del Vacchio).
Gabriele col figlio Pasquale.
I fratelli Pietro Santo (sposato con
Maddalena Guarino) e Taddeo col figlio Nicola (sposato con
Lucia Landolfi con i figli Rosa, Angelica, Raffaele,
Maria, Michele) e Gabriele (sposato con Angela Guarino col figlio Luigi, sacerdote).
Botteghe di conceria o magazzini ad uso conceria
·
Bottega del Monte della famiglia Vigilante
locata a Gabriele e Felice Russo
sita al Fiume.
·
Bottega di coiraria del
Monte della Fam.
Giannattasio
per l’attività di Liberato Russo
sita alla Piazza.
·
Magazzino uso bottega di
Domenico Russo e figli
sito alla Forna.
Secolo XIX
Sono documentati Carmine
Antonio col figlio Antronio
abitante a Pie' S. Angelo.
Giuseppe col
figlio Felice Antonio.
Ferdinando coi figli Nicola e Pasquale.
Taddeo col
figlio Gabriele (coi figli Pasquale e Luigi).
Tra le fabbriche esistenti nel
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Una
testimonianza
Le mie conoscenze per quanto riguarda il ceppo
"solofrano" della mia casata si fermano ai
racconti di mio nonno Filippo Russo (nato a Solofra nel 1850) che hanno sicuramente un loro fondamento
storico da sottoporre ad analisi, confronto e controllo con più concrete fonti.
Mio nonno mi parlò ripetutamente, durante la mia infanzia e la prima
adolescenza, dei suoi ricordi personali e delle notizie che, a sua volta, suo nonno Raffaele gli aveva tramandato come eredità
culturale sul passato ormai remoto della nostra famiglia. Nonno Filippo mi diceva che quelle cose le aveva raccontate a lui suo nonno
quando lui aveva pressappoco la mia stessa età.
Raffaele parlò spesso con mio nonno Filippo della vita iniziata nell'agiatezza da parte di
suo padre Gabriele e finita nella miseria per
tutta la famiglia a causa di Raffaele che aveva sperperato una fortuna al gioco per il
quale perse l'azienda mercantile salernitana, due velieri, la casa ed
ogni altro bene. Forse per la vergogna o forse per sfuggire ad altri creditori
il meschino si trasferì con la famiglia a Solofra dove con i figli maggiori tra
i quali Gabriele (il padre di Raffaele) aprì una bottega di
battiloro. Questa attività era, all'epoca, appannaggio di gente "così
detta decaduta" la cui sola ricchezza era la memoria di un passato dorato.
Quel lavoro era anche abbastanza lucrativo e decoroso ed era sussidiario delle
arti della pittura, della scultura, della lavorazione del ferro battuto, della
ceramica, che usavano impiegare sottilissime lamine o fogli d'oro da applicare
su tavole di legno o su manufatti in ceramica o ferro. I migliori clienti erano
sicuramente i "pittori", i corniciai ed i ceramisti che impiegavano
quel materiale in discrete quantità per impreziosire le loro opere. La
produzione delle lamine in oro zecchino con i nuovi sistemi scese a livelli
bassissimi e si limitò a pochissimi produttori che usavano macchinari moderni
per soddisfare richieste particolari e saltuarie. La
conseguenza di tale situazione fu che in breve tempo il mestiere di
"artigiano battiloro" si estinse. A quella triste fine non fu presente Gabriele l'ultimo testimone dei tempi
della ricchezza della stirpe, morto a Solofra presumibilmente a cavallo della
fine del XVIII e l'inizio del XIX, ma soccombettero i
fratelli ed i suoi figli dei quali tre maschi, dopo aver appreso il mestiere di
battiloro, avevano preso ad esercitarlo separatamente ed in proprio. Del resto
della famiglia arrivata a Solofra mio nonno mi parlò solo di tre figli. Di essi uno lasciò Solofra e se ne perdettero le tracce e gli
altri due, pur restando a Solofra, ebbero un destino diverso. Tutti i membri
della casata fino agli albori dell'800 erano in possesso di
buona cultura, mentre uno dei due citati fratelli solofrani la mise a frutto
esercitando una professione redditizia che gli ottenne un giusto posto nella
considerazione e nel rispetto della società. Il nonno di mio nonno, meno dotato
di spirito d'iniziativa e di capacità imprenditoriale, dopo il fallito
tentativo di produrre pellami fini, per sfamare se stesso e la famiglia, servì
come operaio nella stessa azienda che fu costretto a
cedere. Visse male quella miseria che non gli consentì neppure di dare
un'istruzione elementare alla prole alla quale poteva solo raccontare degli
antichi fasti di una Casata ricca e rispettata. Il padre di mio nonno seguì la sorte
di tutti i figli dei "conciapelli"
condannati all'indigenza ed all'analfabetismo. Egli lasciò ai figli ed ai
nipoti solo la memoria di un passato che andava sbiadendo con gli anni. Di quel
passato, mai vissuto ma a lui trasferito per memoria da suo nonno e che aveva
il sapore di una bella favola, Filippo Russo si
impossessò ed appena sposato ne fece punto dì partenza per la risalita sociale
della sua discendenza. D'accordo con la moglie Maria Agostina decise che i loro
figli avrebbero dovuto riscattare quel passato con l'arma della cultura.
Filippo Russo fece per tutto l'arco lavorativo della sua vita
il "manovale alla stazione di Solofra" e non disdegnò di
prestarsi ai favori più umili di facchinaggio pur di arrotondare il misero
salario. Aiutato da una moglie altrettanto determinata e ricca di iniziativa che esercitò il mestiere di venditrice
ambulante di stoffe di casolare in casolare nelle campagne di Solofra, Serino,
Montoro, mandò a scuola tutti e 5 i figli suscitando nella Solofra di fine
ottocento sentimenti contrastanti dall'ammirazione, all'invidia, allo sdegno e
chiusero, in età avanzata, gli occhi soddisfatti perché nessuno dei foro figli
li aveva delusi.
Gabriele, fu il primogenito con il titolo di VI classe elementare (a quei tempi
istruzione di tutto rispetto) intraprese la carriera militare come
sottufficiale nel giovanissimo Esercito Italiano. Sposò, da Maresciallo
Maggiore dì Fanteria, in età avanzata, Elvira Falciani
degli omonimi Conti di Torre Annunziata ed ebbe tre figli Elena, Filippo e Carlo e morì per i postumi delle
ferite subite a causa del terribile terremoto di Messina.
Raffaele, si diplomò geometra ad Avellino, emigrò in Argentina prima della
Prima Guerra Mondiale, dove si laureò in ingegneria e lavorò come dirigente,
nelle Ferrovie. Sposò un'argentina, non ebbe figli e morì a Rosario.
Nunzia prese il diploma di VIII elementare e
sposò Michele De Vita commerciante in Solofra e non ebbero figli.
Il quartogenito Gennaro diplomatosi in ragioneria ad
Avellino partì per il fronte, nel 1916, come Tenente di Fanteria e congedato
entrò nell'Accademia Militare di Modena per l'Arma dei Carabinieri (primo
Ufficiale solofrano dell'Arma), sposò la nipote del suo Colonnello Comandante
della Legione Carabinieri di Trieste, ebbe una sola figlia Graziella, combattè
al fianco del Duca d'Aosta, Amedeo di Savoia ad Amba Alagi come Capitano Comandante della omonima
Compagnia Carabinieri e venne decorato sul campo dal Vicerè d'Etiopia,
concludendo la sua carriera da Generale dei Carabinieri a Firenze.
Discendenza di Graziella Russo di
Gennaro Sposa Luigi Cerchiai (Pescia 1929 – Napoli 2006), direttore sanitario del Fomentano
Center Hospital e del Fatebenefratelli e medico di
fiducia di Alberto Sordi. Ha: Luca professore di Archeologia all’Università di Salerno http://www.unisa.it/Dipartimenti/DBC/Luca_Cerchiai/index.php e Giovanni Campione di Ippica. |
L'ultimo figlio Salvatore si diplomò Perito Industriale ad Avellino presso l'Istituto
d'Arti e Mestieri. Dopo
Salvatore ed Anna Vemola ebbero tre figli: Giuseppina laureata a Napoli in Lingue Straniere e poi
Preside nelle scuole medie scaligere; Filippo laureato in Scienze Strategiche, Maggior Generale
d'Esercito, conferenziere e storiografo; Teresa laureata presso il Magistero della Donna di
Verona.
Si ringrazia il Generale Filippo Russo
per il contributo offerto per la stesura di questa scheda.
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