Gabriele Russo

 

Uno medico del Novecento

(1874-1946)

Nel suo diuturno lavoro il dottore Gabriele Russo entrava nei tuguri ove portava sollievo ai mai fisici ed un conforto a quelli morali. Usciva da queste case seguito dal sorriso dei bambini per i quali aveva avuto una carezza ed una parola paterna e accompagnato dalla commossa gratitudine di quelli ai quali spesso lasciava anche del denaro per i medicinali ed i più urgenti bisogni. Arrivò ad essere il consigliere dei sofferenti infatti aveva il dono della parola con cui profuse conforti e speranze. Il suo squisito senso di umanità non lo abbandonò neppure dinanzi alle persone di elevato ceto sociale presso le quali lasciò il ricordo di comprensione e aiuto.

La madre Giovanna Somma, pia e caritatevole e grande nella famiglia, intuì le capacità del suo primogenito e lo affidò a suo fratello Gerardo Somma, rettore del Seminario di Campobasso. Gabriele meritò ogni anno la dispensa dalle tasse. A Napoli conseguì la laurea in medicina. Nel 1900 fu a Solofra medico chirurgo e nel 1907 fu Ufficiale sanitario del Comune e del Consorzio montorese. Partecipò ad un Concorso nazionale con una pubblicazione su "Carbonchio, infortunio sul lavoro" che riscosse il premio in palio e la conversione in legge con Decreto Ministeriale il 1° dicembre 1909.

Fu molto attaccato a Solofra e alla sua storia. Conservava a casa le riproduzioni delle opere di Francesco Guarini e ai suoi ospiti mostrava le tele della Collegata. Fu molto legato all'Ammiraglio Gregorio Ronca verso cui serbò molta stima e lo dimostrò nel discorso pronunziato nell'apporre la corona di bronzo alla sua tomba dono dei solofrani residenti a Buenos Aires.

Durante il colera del 1911 si prodigò nel dare i soccorsi. Istallò un lazzaretto alla periferia del paese nella Chiesa della Consolazione dove curò ogni particolare per il suo perfetto funzionamento.

Si occupò fattivamente per ottenere l'acquedotto civico fin dal 1913 e quando, dopo aver superato numerosi ostacoli tra cui anche quelli della guerra, solo nel 1932 lo vide realizzato, fu l'oratore designato per la inaugurazione. Sottolineava che solo in questo modo si potevano sottrarre delle vittime all'infezione tifoidea che annualmente colpiva in modo epidemico.

 

Durante la Grande Guerra fu in prima linea negli Ospedaletti da campo dal 1915 al 1917 in Albania.

Qui soccorse Ercole Ercoli sulle rive del Voiussa quando l'aviatore compì l'eroico gesto che lo ha fatto passare alla storia. Aveva esplorato col suo apparecchio tutta la zona nemica ma fu colpito e cadde con l'aereo in fiamme per cui fu ritenuto carbonizzato. Egli invece riuscì a salvarsi e rimase nascosto fra gli alberi vari giorni mentre solo di notte si spostava cautamente verso la zona italiana con una ferita in cancrena senza cure senza fasciature senza cibo. Quando raggiunse l'accampamento italiano dovette subire l'amputazione della gamba ferita, operata dal colonnello medico Gabriele Russo.

 

 

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Ercole Ercoli, medalia d'oro di Torre Annunziata, colonnello dell'aeronautica fu tra i pionieri dell'aviazione italiana, durante la prima guerra mondiale fu uno degli assi del bombardamento aereo. Nel 1916 fu attaccato nel cielo di Zarnec (Albania) da un veivolo nemico. I suoi compagni furono colpiti a morte, i serbatoi furono forati. L'Ercoli, pure se ferito, riuscì a raddrizzare l'aereo e ad atterrare a 50 Km dalle linee italiane. Dato fuoco all'apparecchio, anche se esausto per la perdita di sangue, riuscì a fuggire alla cattura e dopo sette giorni a raggiungere la postazione italiana sulla Voiussa.

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L'Ufficiale medico Russo curò tutti i prigionieri austriaci ben duemila cosa che gli fece meritare, finita la guerra, una medaglia al valore dal parte austriaca.

Nell'ultimo anno di guerra fu a Napoli presso l'Ospedale militare. Finita la guerra ebbe la nomina a cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro con la seguente motivazione: "Perché seppe mitigare le asprezze della guerra con l'innata bontà del suo cuore nell'ora grigia e nell'ora lieta". In una pergamena 500 Ufficiali del presidio di Napoli firmarono sottolinearono i suoi meriti eccezionali.

Fece parte del Tribunale militare di Napoli meritandosi diversi attestati tra cui le lodi dell’avvocato Angelo De Stefano, fratello del dirigibilista Felice.

Nel 1919 ritornò a Solofra dove svolse la sua opera di medico teso al sollievo dei sofferenti.

Nella incursione aerea del 21 settembre del 1943 mise a disposizione dei feriti la sua opera e la sua casa accogliendo tutti amorevolmente provvedendo loro per il vitto ed ogni necessità fino al giorno della liberazione.

Continuò ad essere in prima fila nelle opere benefiche.

Morì il 17 luglio del 1946 colpito da cancrena polmonare in seguito ad una caduta.

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Sposò Pia Izzo di Napoli da cui ebbe: Giovanna, Vincenza, Pasquale, Rita, Maria, Luigi.

 

 

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