Scherzi da…
Veniva luglio.
Sulla Scorza, ogni anno, il Regio Esercito mandava un
battaglione di soldati per il campo estivo.
Il loro arrivo era salutato con manifestazioni di entusiasmo
patriottico: le autorità cittadine ricevevano gli alti ufficiali in Municipio;
lungo le strade, ove marciavano i soldati, le scolaresche sventolavano bandiere
tricolori. La gente, assiepata lungo i marciapiedi, applaudiva.
Scendevano i militari, la sera, in libera uscita e
, tappa obbligata, era la bottega del ciabattino, mastro Pascale,
altrimenti detto Rondoro” chiamato dai figli “Tato”.
Era un tipo estroverso, cordiale con tutti ed amava vivere
scherzando. Non era bello, anzi… aveva una testa molto, ma molto grande, tanto
che andava detto “a capa e rondoto”, ed il cappellaio
non trovava mai il cappello adatto alla sua testa.
Sulla Forna Rondoro
era una istituzione e la sua bottega di ciabattino era frequentata da molta
gente.
Anche alcuni soldati, conosciuto il tipo, facevano ogni sera tappa
nella sua bottega, divertendosi a discorrere e a cantare. Nell’anno che vennero
al campo estivo gli Allievi Ufficiali, c’era un fiorentino, che
immancabilmente, ogni sera, nel fermarsi davanti la bottega intonava il
ritornello;
“Come va che tanta gente
ha quattrini ed io non ho niente,
mentre a me gira e rigira
manca sempre mezza lira,
mezza l-i-r-a!
Tato con la testa china, intento al lavoro, accompagnava il canto
con ritmiche martellate sulla suola bagnata di fresco
e poggiata sull’arnese di ferro che a mo’ di cavalletto era poggiato sulle
gambe.
Apriva bottega avanti l’alba e chiudeva a notte inoltrata; era un
lavoratore instancabile, aveva bisogno di guadagnare, la sua famiglia era
numerosa: la politica demografica fascista produceva i suoi effetti.
Amava egli scherzare, e, novello Buffalmacco, oggetto delle sue
frecciate erano due donne, che facevano parte dell’ambiente.
La Forna non sarebbe esistita senza quei
tipici personaggi, integrati
nel paesaggio, ove facevano folclore. Si, perché la Forna era abitata da Magnabuono,
da Nannone, da Luigiella “a
scarpellina “, da suo marito Uistino,
da Michele ‘e stecca, da donna Rosa ‘, da ‘a Mulignana…
e da tante, tante persone, ognuna carica della sua umanità e della sua
caratteristica che la si distingueva da altre e irripetibilmente uniche.
Donna Rosa era una ex-suora e faceva l’affittacamere. Abitava a
pochi metri dalla bottega del nostro ciabattino.
Luigiella faceva ‘a cantiniera: vendeva
vino e misere pietanze, per lo più consistenti, a seconda della stagione, in
zuppa di stoccafisso e baccalari, di soffritto di maiale o di vitella, di fave
cotte. Vendeva anche lupini e frutta di stagione.
Il suo locale, a piano terra, buio come mai si possa immaginare,
era frequentato da operai, che dopo una faticosa giornata lavorativa affogavano
nel bicchiere la loro malinconia, la loro stanchezza e le continue frustrazioni
della giornata.
Giocavano a carte al coperto nelle serate di pioggia (niente luce
elettrica, c’erano i lumi a petrolio) e a bocce quando era sereno.
Venivano da mastro Rondoro clienti da
tutta Solofra, perfino dalle frazioni di S. agata e di S. Andrea ed erano i
ragazzi a fare le commissioni e a ritirare le scarpe risuolate e bene
inchiodate (chi si ricorda più le centrelle?).
Mast’ Pascà,
hai fatto le scarpe?
Tu, si’ Ciccillo, o figlio ‘e Mariannina?
Si.
Aspetta che guardo, perché fra tante scarpe non riesco a trovare le
tue.
Vagliò, fa’ ‘na cosa. Va’ da Luigiella ‘a cantiniera, essa s’ha pigliata stamattina ‘na sculetta” e non me l’ha ancora restituita. Va’ a nome
mia e fattela dare.
Il ragazzo correva e sempre tornava vergognoso per le male parole
ricevute e indispettito per essere stato lo strumento di quella presa in giro.
La stessa burla veniva spesso fatta a dispetto di donna Rosa, che,
intenta alle sue faccende domestiche, correva alla bussata, s’affacciava alla
loggetta e chiedeva:
Chi è?
Songh’io
E che vuò?
A ditto mast’
Pascale raie ‘a scupetta.
“A sculetta da mamma, da zia, da a sora e
da quante chiù ne tene”.
Succedeva il finimondo. Donna Rosa, quale ex-suora sapeva
ingiuriare Rondoro con tutti gli epiteti a sua
conoscenza.
Il ragazzo, mezzo frastornato, scappava e mastro Pasquale,
martellando cantava a voice distesa.
Quando ciò succedeva nella controra dei pomeriggi estivi, tutto il
quartiere si destava dalla sonnolenza pomeridiana.
Si affacciavano le massaie alla finestra, uscivano all’aperto i
bottegai ed ognuno si godeva la scena esilarante, che, anche se spesso
ripetuta, era sempre uno spettacolo degno della più comica sceneggiata
napoletana.
Il resto è silenzio!