Le sfortune di Solofra
Gli
errori e le superficialità di Carmine Tavarone
nello studio
L’organo, il
pulpito, i portoni in Restauri a Solofra.
Gli errori degli
storici dell’arte nell’analizzare le opere solofrane dipendono dal fatto che
questi studiosi non conoscono affatto la storia del paese, specie quella del
Cinquecento. Non si può
analizzare un’opera, anche storicamente, senza conoscere la storia del luogo,
dove questa opera è stata prodotta. Tutto questo
nasce dal disprezzo per la storia locale che è in parte motivato per il discredito in cui la fanno cadere
coloro che trattano questo tipo di storia senza averne gli strumenti. Alla storia
locale si deve attingere tenendo presente la qualità dello storico e cosa
egli può dare. Soprattutto si deve tenere presente il documento che egli
fornisce e come questo è letto. Uno studioso dell’arte non può disdegnare la storia locale. |
Lo
studio del Tavarone è condotto senza la consultazione dei documenti
Le fonti del
Tavarone
L. Giustiniani
(Dizionario Geografico ragionato del
Regno di Napoli ,
Napoli, 1805) riporta come vere solo delle ipotesi.
Vedi gli errori di Lorenzo Giustiniani
G.
Didonato (Solofra
nella tradizione e nella storia, Montoro, 1914), storico locale, non
attinge a documenti ed è attendibile solo per i dati, di cui ha diretta
esperienza (cioè come testimone).
Vedi
come si deve leggere il Didonato
M.
Monti (Zecche, monete e legislazione
monetaria angioina, Napoli, 1928). Il documento riportato dal Monti di
quattro operai solofrani che lavoravano all’inizio del XV secolo alla zecca
napoletana non deve essere inteso nel modo fatto dal Tavarone.
Vedi
cosa fu il battiloro solofrano
A. Perriccioli (L’arte
del legno in Irpinia dal XVI al XVIII secolo, Napoli, 1975) fa molti
errori.
Vedi gli errori della Perriccioli
Mario
Rotili (L’arte
del Cinquecento nel Regno di Napoli, Napoli, 1976). Il Rotili
afferma che le opere solofrane sono una produzione partecipe della cultura
manieristica partenopea. La storia di Solofra dimostra vera questa
affermazione. Il Tavarone non ci crede.
Affermazioni
errate o superficiali del Tavarone:
[La
Perriccioli] “stranamente esclude l’esistenza di una
bottega o di botteghe di maestri intagliatori locali, insistendo sul ruolo di
guida di artisti napoletani” (p. 73).
L’affermazione
della Perriccioli qui è corretta poiché a Solofra non
c’erano botteghe di maestri intagliatori, mentre ci fu il ruolo guida di
maestri napoletani.
“L’arte
di trasformare l’oro in lamine sottilissime, […] era dunque una delle attività
cardine dell’economia solofrana” (p. 73). Affermazione non vera per il
Cinquecento.
Vedi
cosa fu il Cinquecento solofrano
“La
possibile esistenza di botteghe di intagliatori locali è da mettere pertanto in
relazione con lo sviluppo con quelle del battiloro che garantivano
un’eccellente qualità, oltre che costi di assoluta concorrenza del prezioso
materiale…” A Solofra non esistevano
botteghe di intagliatori e non erano legate a quelle del battiloro. Questa arte
si svolgeva nella forma dell’oropelle (doratura della pelle per scarpe, rilegature,
finimenti vari), usava per lo più l’argento ed era legato strettamente a Napoli
che aveva la privativa dell’arte. I solofrani potettero esercitarla a Solofra,
a partire dalla prima metà del Cinquecento, perchè ebbero casa e residenza
nella capitale. Ciò dette loro la possibilità di usufruire delle prerogative
permesse agli abitanti di Napoli.
Vedi il rapporto Solofra-Napoli
L’unione
dell’intaglio in legno e della sua doratura avvenne in seno alla famiglia
Vigilante tra Solofra e Napoli. Troiano Vigilante fu doratore a Solofra e a
Napoli. Giovanni Battista Vigilante fu intagliatore a Napoli nella bottega del Tortelli. A questa famiglia apparteneva Tommaso Guarini per
aver sposato Giulia Vigilante.
Vedi
chi è
e
La famiglia di Giulia Vigilante madre di Francesco Guarini
La
bottega di Tommaso fu la trasformazione di quella del padre Felice tra la fine
del Cinquecento all’inizio del Seicento quando accolse anche l’intaglio in
legno. Questa trasformazione fu legata alla costruzione della Collegiata.
Vedi cosa fu la bottega di Tommaso Guarini
“Ed
è perciò ipotizzabile che alcuni di questi artigiani [solofrani] […] furono
chiamati ad eseguire gli arredi lignei della Collegiata” (p. 73).
Gli
unici artigiani solofrani che lavorarono agli “Arredi lignei” della Collegiata
furono Gian Tommaso Guarini, autore del cassettonato e suo figlio Antonio (“pittore e scultore, più
scultore che pittore”). Invece troviamo a Solofra Antonio Sclavo
o Scano e gli artigiani della sua bottega, nonché Bernardo Lama che a Napoli
aveva anche una bottega di intaglio.
Tommaso
in calce alla sua opera si firma “pinsit et sculpit” per cui, “indirettamente, conferma l’esistenza, sul territorio solofrano,
di avviate botteghe di intagliatori”. La deduzione del Tavarone è completamente
errata. Anzi la sottolineatura dell’artista accanto alla firma può significare
esattamente il contrario, e cioè che egli, conosciuto come pittore, in questa
opera ne è anche scultore.
“Tra
di esse [le tante botteghe solofrane] fu attivissima quella dei Guarino: vi
lavorava Gian Tommaso e vi apprendevano l’arte i suoi figli, in particolare
Francesco, prima di recarsi a Napoli. La dirigeva il padre Felice…”
La
bottega di Tommaso cominciò a lavorare il legno all’inizio del secolo quando il
padre Felice era già morto. Dei figli di Tommaso fu scultore in legno solo
Antonio (1620-1656) che non potette lavorare al cassettonato
della navata centrale che iniziò nel 1614 e terminò nel 1624, invece lavorò al cassettonato del Transetto dove Francesco fece solo le
tele, a quello di S. Agata e a quello della chiesa
dello Spirito Santo. Gli altri figli maschi di Tommaso, Sabato
(1609-1656) fu dottore fisico, Michelangelo morì a 10 anni nel 1613, Giuseppe
fu solo pittore.
Il
Tavarone corregge la Perriccioli che attribuisce a
Tommaso l’intaglio dell’organo poiché non sostenibile con i tempi biologici
(vita di Tommaso 1573-1637 contro l’opera dell’organo 1579-1583) è scettico
anche sulla paternità che la tradizione, assunta dalla Perriccioli,
l’attribuisce al D’Aste (p. 73). Si mostra convito che ci fu un artista solofrano
a lavorare all’organo. Non conosce invece che l’organo e il pulpito è opera
dello Sclavo o Scano.
Vedi le opere della Collegiata
Analisi
non storica
“L’artista
solofrano, che lavorò all’organo, appare suggestionato, più che da un Annibale
Caccavello o da un Gian Domenico D’Auria [come dice
Dove
però la storia può entrare:
Si
tenga presente lo stretto rapporto tra Solofra e Napoli dove molte famiglie
avevano casa per godere i privilegi che la residenza nella capitale permetteva
al loro commercio e che aveva permesso la lavorazione dell’oro a Solofra. Ma si
può tenere presente anche il rapporto con Cava e Nola dove si attingevano le
maestranze per la costruzione della Collegiata.
Non entro nell’analisi artistica dei manufatti che il
Tavarone attribuisce al nolano con esiti mediocri ma anche alla bottega del
Tortelli dichiarando di non essere d’accordo con l’ipotesi della Perriccioli che, individuando una differenza (da lui non
negata) tra l’organo e le altre opere (pulpito e porte) soprattutto le porte,
pensa all’intervento di più mani.
Dai
documenti in mio possesso posso senza dubbio affermare che l’ipotesi della Perriccioli è più consona poiché in effetti tra la fine del
Cinquecento e l’inizio del Seicento (le porte terminarono intorno al 1611) ci
furono diversi artisti che lavorarono alla Collegiata. Tra questi ci furono i
doratori napoletani Pistelli e Rosano che lavorarono al Transetto in
collaborazione con Troiano Vigilante che operava tra Solofra e Napoli e
definitivamente poi andrà a dirigere la bottega napoletana di battiloro della
sua famiglia.
*
Un’alleanza
in nome di cosa?
Come
tutti gli storici dell’arte anche Carmine Tavarone adotta la dizione del
cognome di Tommaso e Francesco con la i finale.
Anche
qui è la non conoscenza della storia di Solofra a determina l’errore.
La
questione del cognome di Francesco Guarini
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2005
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