SOLOFRA NEL MEZZOGIORNO ANGIOINO-ARAGONESE

[PARTE PRIMA]

[PERIODO ANGIOINO]

CAPITOLO I

Gli Angioini nel Mezzogiorno d’Italia

 

Alla morte di Federico II (1250) l’Italia meridionale rimase affidata a Manfredi, suo figlio naturale, in attesa che l’erede designato al trono, Corrado IV, che era andato in Germania per farsi incoronare imperatore, ne prendesse possesso. Il nuovo imperatore invece morì prematuramente (1254) il che fece aprire una questione dinastica - Manfredi intanto si era fatto eleggere re di Sicilia - che coinvolse il Meridione nella complessa lotta tra i Guelfi e i Ghibellini nella quale intervenne il papa, il francese Clemente IV, che dette il Regno di Sicilia al suo connazionale Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia1.

Costui, sconfitto Manfredi a Benevento (1266) e l’altro pretendente - Corradino di Svevia sceso dalla Germania - a Tagliacozzo (1268), s’impadronì dell’Italia meridionale dando inizio al dominio angioino con il quale in un secolo e mezzo (1266-1435) il Mezzogiorno ebbe un assetto sociale ed economico che contraddistinguerà tutta la sua storia2.

Carlo I (1266-1285) dette al suo governo per molti aspetti una linea di continuità con la monarchia normanno-sveva3, ma dovette crearsi intorno a sé una base feudale-militare su cui poggiare. Concesse per tanto ai francesi, che lo avevano seguito, feudi ed incarichi nei punti nodali della vita politica ed amministrativa4, premiò la feudalità che era stata a lui fedele ed anche recuperò alla fedeltà gli antichi fautori degli Svevi, il che comportò un ampio rimaneggiamento dei feudi, segnando in modo significativo il passaggio alla nuova epoca, ed "innescò un processo di selezione sociale" che fu la caratteristica dell’età angioina5.

Nei riguardi delle Universitas, la cui costituzione era stata favorita da Federico II e che avevano preso vigore nel caos seguito alla morte dell’imperatore, il re angioino agì in modo da potersi inserire nel loro controllo. Concesse loro forme di autonomia - la giurisdizione bajulare, l’elezione dei giudici e del mastrogiurato - che le fecero dipendere dal potere regio e che permisero di uniformarle ed di inquadrarle in uno schema dai contorni ben precisi. L’uso dei diritti municipali però mise in atto processi di maturazione delle comunità che, anche se non furono mai favorite eccessivamente, le resero più capaci di contrastare le prepotenze feudali6.

Il re angioino mise in atto inoltre un considerevole sforzo di razionalizzazione dell’amministrazione del regno, sconvolta dalla lunga crisi dinastica, con lo sviluppo della burocrazia regia, che ebbe lo scopo di imporre ai due soggetti che ne formavano l’impalcatura - i feudatari e le Universitas - l’autorità del potere centrale7.

In virtù di questa opera i feudatari furono costretti, ma solo inizialmente, a rinunziare a talune loro prerogative circa l’amministrazione della giustizia, a veder limitati i propri privilegi finanziari e proibite le esazioni di opere contrarie alle libertà civili8.

Ci furono però insuccessi a tutti i livelli a cominciare dai contrasti tra i francesi e l’elemento locale che produssero forme di intolleranza, a cui vanno aggiunti concessioni e compromessi che si accentuarono con la crisi della guerra del Vespro (1282-1302). In tale frangente sia Carlo I che il figlio Carlo II (1285-1309)9, spinti dalla necessità di avere una feudalità fedele e pronta a dare il proprio aiuto, furono costretti ad ampliare le prerogative e le giurisdizioni feudali e quindi ad accentuare il processo di feudalizzazione10. In tal modo la feudalità, base militare e politica del regno, diventò una forza di pressione e di ricatto che provocò una graduale debolezza del potere regio che perdette forza con la crescita dei privilegi feudali11. Va detto però che il potere regio, contro una feudalità che appariva instabile, per i frequenti cambiamenti di fronte e per la faciltà con cui le famiglie feudali uscivano di scena, e debole, per la chiusura ai grandi problemi, per le prevaricazioni e le violenze, fu l’unico elemento stabile in uno scenario di continui cambiamenti, portando alla creazione di un concetto particolare di monarchia e cioè di sovranità di origine divina, quindi stabile, ma tenuta da uomini, quindi limitata12.

In questo periodo comunque comincia un lento processo di trasformazione nella gestione dei feudi, nei rapporti giuridici, nelle prerogative militari, che andò di pari passo con lo sconfinamento, da parte della feudalità, in forme degenerative, tra cui quella della pressione fiscale, ingigantitasi talmente che diventò un paradigma del governo angioino13.

Si determinarono in tal modo profondi ed ampi cambiamenti che scardinarono l’istituto feudale.

Le prime avvisaglie si videro già con Carlo II, che fu costretto a concedere ai baroni dei privilegi che in effetti erano abusi perpetrati fin dalla crisi della casa sveva quando la feudalità si era arrogata una serie di competenze. Queste furono regolate dal re angioino - in piena guerra del Vespro e in assenza del padre - con vari interventi; quando riconobbe, per esempio con i Capitoli di S. Martino (1283), ai feudatari competenze nelle cause criminali minori a cui si aggiunsero, in seguito, altri privilegi come la riduzione del servizio militare a tre mesi14.

Sotto Roberto d’Angiò (1309-1343)15 il potere baronale dette altri colpi alla corona e al cuore dell’istituto feudale, quando riuscì ad ottenere la trasformazione del servizio militare in prestazioni in denaro (adoha) e poi la possibilità di riscuotere dai vassalli una parte di questo obbligo primario di ogni feudatario16. Ancora re Roberto concesse le "quattro lettere arbitrarie" dando ai feudatari altre prerogative nel campo della giurisdizione, che aprirono la via alla concessione della giustizia criminale, strumento di oppressione sulle popolazioni17.

Sotto i successivi re angioini - Giovanna I (1343-1381)18, Carlo III Durazzo (1382-1386)19 e Ladislao (1386-1414)20 - la struttura feudale fu ulteriormente attenuata fino trasformare il feudo in un bene ereditario, cioè in un "dominio". Si crearono insomma le basi per la commercializzazione del feudo e l’allargamento dei ranghi baronali.

Dopo la morte di Ladislao iniziò un periodo - sotto il governo di Giovanna II (1415-1435)21 durante la settennale guerra tra Renato d’Angiò e Alfonso V22 - travagliato "da contese dinastiche e infidi schieramenti baronali", e da abusi feudali, anche a danno della Curia Regia, che daranno una diversa configurazione al rapporto tra la monarchia e il baronaggio23. I feudatari, vincendo su un ampio fronte, divennero i veri arbitri in tutti gli ambiti della vita sociale, il feudo divenne, con la Prammatica Filingeria, patrimonio familiare24, i rapporti giuridici con la concessione del mero e misto imperio si trasformarono in un fatto privato25, il "servizio militare" non si riferì più ad un’armata convocata dal re ma fu un servizio mercenario che permise ai feudatari di trasformarsi in condottieri26.

La classe feudale, che aveva conquistato lungo tutto questo periodo un vasto predominio sociale ed economico rafforzando il carattere signorile del proprio stato, si trasformò insomma in una nobiltà patrizia o in un’aristocrazia di proprietari terrieri.

______________ 

1. Cfr. G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino-aragonese (1266-1494), Torino, 1992, pp. 15-30.

2. Cfr. G. Vitolo, Il regno angioino in Storia del Mezzogiorno, IV, I, Napoli-Roma, 1968-1972, p. 11.

3. Cfr. E. Besta, Il diritto pubblico nell’Italia meridionale dai Normanni agli Aragonesi, Padova, 1929, pp. 28 e 108. Nei rapporti con la classe baronale, nei privilegi elargiti agli ecclesiastici Carlo seguì l’indirizzo precedente.

4. Carlo I incamerò i beni dei feudatari che avevano parteggiato per Corradino concedendoli ai francesi che ebbero nelle loro mani anche molti Giustizierati (cfr. P. Durrieu, Les archives angevines de Naples, Parigi, 1866-1887, I, p. 207).

5. Cfr. D. Winspeare, Storia degli abusi feudali, Napoli, 1811, pp. 160 e 165 n. 54. La concessione di suffeudi o varie dignità, con cui Carlo I premiò i suoi fedeli, riguardò anche il ceppo solofrano dei Fasano (v. ultra).

6. G. Galasso, Il Regno..., cit., pp. 422 e sgg.; Caggese, I, pp. 366 e sgg. Per la dell’Universitas di Solofra v. ultra.

7. La burocrazia regia attraverso una fitta rete di alti ufficiali, i cui organi erano la Magna Curia e la Suprema corte di Giustizia, esprimeva il potere assoluto del sovrano sui feudatari e sulle comunità, che ebbero un certo spazio nelle Assemblee provinciali dove potevano esprimere i loro bisogni.

8. Cfr. R. Moscati, Feudalità napoletana nel periodo angioino, ASPN, 1936. In questo primo momento la feudalità non ebbe la giustizia penale, fu costretta al servizio gratuito in guerra con le proprie milizie fino a tre mesi, persino a richiedere consensi sovrani per i matrimoni delle figlie.

9. Detto "lo Zoppo" e sposato a Maria di Ungheria, Carlo II riordinò il Regno dopo i disordini provocati dalla guerra del Vespro che portò alla perdita della Sicilia.

10. Cfr. G. M. Monti, Da Carlo I a Roberto d’Angiò, ASPN, 1934.

11. Tali concessioni, che furono date sotto forma di doni (ad personam), crearono una contrapposizione tra ordinamento giuridico, che non riconosceva i privilegi, e realtà storica (cfr. G. M. Monti, Diritto pubblico svevo e diritto pubblico angioino in Nuovi studi angioini, Trani, 1937, p. 110).

12. Cfr. G. Galasso, Il Regno..., cit. pp. 342-343. Si giunse così alla "dottrina dei due corpi del re, uno che si perpetua nelle istituzioni, a cui si attribuiscono prestigio e potere, e l’altro, quello che si sperimenta nella realtà, che non è né forte né stabile" (ivi).

13. Cfr. D. Winspeare, op. cit. pp. 20 e sgg. Elementi di questo fiscalismo furono l’adoha, la subventio generalis o colletta, le secrezie. Per queste voci v. infra e il glossario.

14. Cfr. D. Winspeare, op. cit, pp. 22.

15. Roberto era fratello di Carlo II ed era salito sul trono poiché il figlio di costui, Carlo Roberto (Caroberto), era divenuto re di Ungheria.

16. Roberto, assecondando una tendenza già in atto nel baronaggio, di sottrarsi cioè a questo obbligo che in alcuni casi già era sostituito da una tassa, fu costretto ad estendere a tutti l’esonero. E, poiché molti feudatari erano inadempienti, dovette annullare il debito e gravare parte di tale tassa sui vassalli. Bisogna considerare anche la propensione della monarchia di liberarsi dal feudatario infido e di crearsi un esercito proprio (G. Galasso, Il Regno..., cit., pp. 373-378).

17. A Solofra questo potere innescò - lo si vedrà - forme di prepotenza feudale.

18. Giovanna I, nipote di re Roberto, salì al trono perché costui, essendogli morto l’unico figlio e per evitare una guerra di successione l’aveva fatta sposare col figlio di Caroberto, Andrea, che la regina fece assassinare sposando un altro cugino, Luigi di Taranto, e provocando l’invasione del Regno da parte di Luigi d’Ungheria, fratello di Andrea. Dopo una momentanea fuga in Francia e morto pure il secondo marito (1366), Giovanna sposò Giacomo di Maiorca e alla morte di costui (1376), in quarte nozze, Ottone di Brunswich. Poiché durante lo scisma la regina aveva appoggiato l’antipapa Clemente VII, il papa Urbano VI chiamò in Italia Carlo di Durazzo, figlio della sorella della stessa Giovanna, che fu posta in carcere e poi fatta uccidere (1382).

19. Carlo III di Durazzo vide contrastato il suo regno da Luigi d’Angiò che Giovanna aveva designato come suo successore e che venne a Napoli per vendicarne la morte ed occuparne il trono ma morì presto.

20. Ladislao, figlio di Carlo di Durazzo, divenne re ad appena 10 anni. La fazione contraria, però, gli oppose Luigi II d’Angiò, figlio di Luigi I, formando una lega della quale fecero parte il Papa e Firenze.

21. Giovanna II, sorella di Ladislao, designò come suo successore Luigi III d’Angiò e, morto questi, Alfonso V d’Aragona.

22. La guerra fu scatenata da Renato d’Angiò che, come fratello di Luigi III, pretese il trono di Napoli invadendo il regno e sconfiggendo, in un primo tempo, Alfonso V.

23. G. Galasso, Il Regno..., cit., pp. 366-372. Tale periodo incise nella storia feudale di Solofra (v. infra).

24. Più avanti si parlerà di questa ordinanza di Giovanna II che interessò anche Solofra.

25. Il mero e misto imperio, con cui Roberto aveva favorito i baroni più forti, fu esteso da Giovanna II a tutta la feudalità, provocando l’aumento della pressione fiscale sui vassalli, prevaricazioni e prepotenze accentuate dalla debolezza della monarchia. Si vedrà al riguardo la preoccupazione precipua dell’Universitas di Solofra fu quella di evitare o controllare l’invadenza feudale.

26. Per la feudalità napoletana questo passaggio fu più facile che nell’Italia centro-settentrionale, poiché i feudatari-condottieri già possedevano una signoria e una posizione politica.

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Continua con

Capitolo II.

Solofra nel primo periodo angioino

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da M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra, 2000