SOLOFRA NEL MEZZOGIORNO ANGIOINO-ARAGONESE
[PARTE
PRIMA]
[PERIODO ANGIOINO]
CAPITOLO II
Solofra nel primo periodo angioino
1. Al
tempo di Giordana Tricarico (1256-1298) e di Riccardo
Filangieri (1298-1321). Il primo periodo angioino
a Solofra fu caratterizzato dalla signoria di Giordana Tricarico
che aveva avuto in dote dal padre Giacomo il vico, distaccato dal feudo
di Serino1. Durante il suo dominio e voluto da Carlo I, avvenne l’importante ampliamento del territorio solofrano
sul lato settentrionale che inglobò, a spese di Serino, la collina ai piedi del
monte Pergola e parte del casale di S. Agata. Questa cessione, che portò alla
scissione del grande casale che Serino aveva sul
versante della conca solofrana, che dette a Solofra il possesso di un punto
fortificato fino a Turci e le permise di allargarsi nella zona pianeggiante2,
fu operata dallo stesso Carlo durante il periodo in cui il feudo di Serino
rimase nel demanio3. E fu dallo stesso confermata ad
Adelicia Tricarico, sorella
di Giordana, quando divenne signora di Serino, e a suo figlio Nicola de Marra,
il quale dovette assicurare il re dell’avvenuta cessione "di 1/3 del
casale di S. Agata a Solofra"4.
Si
può ipotizzare, in virtù di questo passaggio avvenuto all’inizio dell’autonomia
territoriale del casale di Solofra e data la sua importanza, un ampliamento
della fortificazione assorbita dalla nuova unità abitativa, proprio ad opera della feudataria Giordana, che aveva tutto
l’interesse a trasformare quello che era un semplice punto fortificato e
dipendente dal grande castello di Serino in un fortilizio più autonomo -
c’erano inoltre le esigenze difensive della guerra del Vespro - tanto che il
casale, nel 1283 per questa sua maggiore forza difensiva, si trova denominato castro5.
Alla
morte del marito Arduino Filangieri (1283)6, Giordana governò
Solofra a nome del figlio Riccardo7 sia
durante la di lui minore età che durante la partecipazione dello stesso alla
guerra del Vespro8. E poiché nei periodi di tregua Riccardo fu al
seguito dei re angioini9, avendo come punto di riferimento il feudo
di Candida, dove risiedeva la sua corte10,
e non Solofra, fu Giordana, come titolare della dote, ad avere più diretti
contatti con l’Universitas di Solofra11.
Alla sua morte (1298), poiché Riccardo era ancora impegnato nelle operazioni di
guerra durante le quali era stato fatto prigioniero in
Sicilia12, Carlo II dette la gestione delle terre al fratello di lui
Ruggiero "dovendosi con le rendite sostenere la famiglia del prigioniero"13.
La
comunità solofrana, dunque, all’inizio del XIV secolo,
nel momento in cui subiva l’ondata migratoria dalle terre teatro di guerra, di
cui si dirà, non ebbe la presenza del feudatario in loco, cosa che sostenne la
maturazione della sua capacità di autogestione e lo sforzo di emancipazione
politica e sociale14.
Reintegrato
nel feudo, Riccardo sposò Francesca Marra a cui assegnò come dotario Solofra15, il che evidenzia il carattere
distintivo che, anche nella mentalità del nuovo feudatario, aveva la piccola
comunità già capace di autonomia soprattutto
economica. Questo atto pose Solofra in una situazione
particolare che le fu di giovamento più tardi - lo si vedrà - quando subirà
un’altra ondata immigratoria, durante la vedovanza di Francesca e la sua
gestione del feudo per il figlio Filippo.
Ritornando
a Riccardo bisogna dire che nel 1309 fece atto di
sottomissione a re Roberto, e che visse in piena fedeltà agli Angioini fino
alla morte avvenuta nel 132116.
Per
quanto riguarda il feudo di Solofra se ne conosce la
rendita annua, determinata da un’indagine promossa da Carlo II nel 1298 per
verificare lo stato dei feudi, secondo il quale Solofra rendeva a Riccardo
Filangieri
Per
prima cosa bisogna notare che in questo feudo c’era un limitato numero di
famiglie vassallatiche. In questo periodo infatti il vincolo servile, che legava gli uomini al
signore e alla terra, già cominciava a venire meno. Gli uomini erano liberi di
acquistare o alienare le terre, pur pagando il censo feudale, che restava un
obbligo, ma riguardava solo le terre sottoposte al dominio feudale che non
erano quelle dell’intera circoscrizione territoriale. Questo fatto è legato ad
una situazione precedente che gli Angioini avevano trovato
in queste terre longobarde e normanne ed anche a Solofra, dove già in quel
periodo c’erano fondi goduti da liberi "possessores"
alcuni dei quali trasferitisi a Salerno, terre sottoposte alla giurisdizione di
Cava, altre in possesso della pieve di S. Angelo e S. Maria facenti parte
quindi della massa dell’episcopio salernitano, e terre appartenenti a
Montevergine18.
In
questo feudo invece si sentiva il peso dei "servizi feudali" - i
cosiddetti "abusi" - pretesi dal feudatario sia
come imposizioni sulle attività che come richieste di prestazioni gratuite. E questo nonostante che l’Universitas,
in virtù delle riforme angioine, avesse acquistato nei riguardi del feudatario
un potere effettivo, visto che costui era stato costretto a riconoscere gli usi
e i costumi locali e le prerogative già godute, le quali avrebbero dovuto
difendere i cittadini da ogni tipo di potere arbitrario19.
Gli
"abusi", che gli abitanti di Solofra furono costretti a dare a
Giordana prima e a Riccardo dopo, furono gli "angarii",
cioè lavori vari, come il trasporto di merci e
giornate gratuite svolte al loro servizio. A parte i censi sulle terre feudali,
che riguardavano i frutti prodotti, c’erano poi i censi sul demanio pubblico -
le terre di tutti - che erano un’altra forma di angheria.
Si pagava insomma per i prodotti delle selve (industria nemus),
in genere terre demaniali, e per i pascoli che avvenivano nei demani. Anche il diritto sui mulini era un’angheria, visto che le
acque erano demaniali.
Importante
è invece notare che mancano nel documento i diritti sull’uso delle acque che
servivano le "contrarie", perché esse si trovavano nelle terre
appartenenti alla pieve, su cui in questo periodo
esercitava il potere feudale l’arcivescovo di Salerno. La concia infatti fu favorita - e ciò contribuì a stabilizzare sul
posto questa attività - proprio dai privilegi, che avevano le terre episcopali
e che erano costituiti soprattutto da sgravi fiscali sul mercato di Salerno,
anch’esso gestito dalla chiesa salernitana20.
Si
può inoltre considerare la produzione silvo-agro-pastorale
del territorio, che dava, oltre ai prodotti del seminato, nocelle, castagne e
frutta, ed in cui l’attività pastorale era preminente, con una specificità, già
individuata nel periodo longobardo-normanno, e cioè la
produzione e la conservazione della carne di maiale, che sarà una nota costante
nella facies produttiva solofrana. A questa vanno aggiunte l’attività
molitoria, che si svolgeva sicuramente con l’uso di più di un mulino (dato il
plurale usato nel documento), e, elemento riguardevole per l’indirizzo che
prenderà la società solofrana, le attività artigianali ("opere")21.
Tra
le "opere" non è improbabile che possa intendersi qualche attività
legata alla concia delle pelli, che si trova regolata
in modo molto preciso in un articolo statuario dei Capitula
antiqua e che, anche se si svolgeva in terre fuori della giurisdizione
feudale del Filangieri, poteva sempre essere oggetto di imposizioni feudali
allorquando si spostava in altri luoghi.
Circa
l’esercizio della giustizia, che in questo periodo era limitato alle cause
civili, bisogna dire che esso, per le ragioni dette
sopra, non riguardava tutti i cittadini alcuni dei quali dipendevano da Cava,
altri da Montevergine, altri dall’episcopio
salernitano. Comunque, tenendo presente che i proventi
di questo esercizio non andavano tutti al feudatario, che un’oncia valeva 60
carlini, un carlino 20 tarì e un tarì
20 grani, e, considerando le multe e gli introiti indicati negli Statuti, si
può avere un’idea, se pure monca, dell’attività della curia locale22.
Altri
documenti di questo periodo danno la possibilità di individuare gli ulteriori pesi fiscali gravanti sulla comunità. C’era la subventio generalis,
la tassa annuale obbligatoria che da straordinaria era divenuta ordinaria e
gravava su ogni comunità in base al numero delle famiglie fiscali. A Solofra
ammontava a
Non
meno gravosa era l’adoha, che spettava al
feudatario e che, si è visto, pesò in parte sulle
popolazioni. La feudataria, dato che il feudo rendeva
Il
peso più gravoso sostenuto da Solofra in questo periodo fu
però quello per la guerra del Vespro, che ebbe momenti cruciali nella
piana a sud di Salerno e che coinvolse in modo considerevole tutte le terre del
Principato, pesando su di esse non solo con distruzioni ma anche con sovvenzioni
speciali, con la requisizione di decime e con la revoca alla corona delle
terre dei feudatari morti senza figli.
La
rivolta antiangioina, scoppiata in Sicilia ed
estesasi in altre zone, si era concentrata infatti
sulla frontiera Policastro-Basilicata, dove si era
fermata l’offensiva aragonese, il cui episodio più significativo fu
l’occupazione di Castellabate27. La guerra durò, quasi senza
interruzione, dal 1284 al 1299 ed ebbe carattere di guerriglia, provocando
distruzioni e devastazioni di bande armate che interessarono direttamente le zone
costiere e tutta la valle del Sele, e che spopolarono
le zone del Cilento. Tutti i castelli della pianura intorno a Salerno fino a
Montoro furono messi in allerta28. Solofra, anche se, come pare, non
fu toccata direttamente, fu costretta, a partire dal
___________
1. Cfr. Reg. Ang., F, IV, pp. 110-111; F. della Marra, Discorsi delle famiglie nobili,
Napoli, 1641, p. 420; Ricca, II e IV. Giacomo Tricarico
seguì l’indirizzo di suo padre Ruggiero, già manifestato alla fine del XII
secolo - staccare il casale di Solofra dal tenimento di Serino
- quando aveva assegnato il vico al figlio Giordano che però morì
senza eredi per cui Solofra era ritornata al possessore del feudo maggiore, il
fratello Giacomo. Con i figli di Giacomo si estinguerà il ramo dei Tricarico e il feudo di Serino passerà ai
della Marra (cfr. tav.
n. 1 e De Maio, pp. 65-80).
2. Il territorio del
vico di Solofra, delimitato a nord dal vallone cantarelle
fino alla sua confluenza nel rivus siccus, occupava solo metà della conca (cfr. tav. n. 2 e
De Maio, pp. 83-91 e sgg). L’acquisizione dei
nuovi territori portò alla formazione del casale di S. Agata di Solofra o di sopra e di quello di S. Agata di
Serino o di sotto.
3. Nel 1277 essendo
morto Nicola Tricarico, figlio di Giacomo e signore
di Serino, senza eredi il feudo, in attesa della
risoluzione della causa di successione, fu incamerato nel regio demanio
rimanendovi fino al 1284. V. qui n. 4. Vale la
pena consideare che il marito di Giordana era un
fedele di re Carlo.
4. AD, I, n. 28 e tav. n. 1. La cessione, che per Serino costituì la
perdita della fortificazione sulle pendici meridionali del monte Pergola,
facente parte del suo più grande castello, e il
ridimensionamento dei suoi possessi nella conca di Solofra, proprio per la sua
importanza, dovette essere confermata sia da Adelicia
(quando ebbe dal re angioino la successione nel
feudo), sia - nel 1296 - da Nicola de Marra, figlio di Adelicia
e di Risone, nel ricevere il regio assenso per il feudo. Si ricorda che il
feudo di Serino, morto Giacomo Tricarico, passò al
suo primogenito Roberto, che però lo perdette per aver
appoggiato Corradino (1268), andò quindi ad un altro fratello, fedele di Carlo
I, Nicola (1268-1277), alla morte del quale fu incorporato nel demanio regio
dove rimase fino al 1284, quando fu restituito alla sorella Adelicia
per premiare la fedeltà del di lei marito Risone de Marra (cfr.
Reg. Ang.,
5. Per quanto
riguarda questo punto fortificato bisogna dire che la
storia longobarda di tutta la zona e la logica del complesso difensivo
longobardo del Pergola-San Marco, che aveva il suo punto forte nel castello di
Serino, fanno risalire a questo periodo la dotazione di una fortificazione sul
lato di questo complesso che guarda la conca di Solofra (cfr.
De Maio, pp. 36 e sgg. e n. 39, pp. 44 e sgg. e n. 55; G.
Muollo-G. Coppola, I castelli, in Storia
illustrata di Avellino e dell’Irpinia,
1996, II, p. 433). Meno verosimile è la sua costruzione ex novo nel
periodo svevo come propone Pasquale Natella (in Storia illustrata di Avellino...
cit., III, p. 36) tenendo presente solo la
"planimetria" del castello, ricavata per altro dalla sua sagoma
attuale che comprende tutte le acquisizioni successive, tra cui quella
testimoniata nel secolo XIX da Antonio Giliberti che parla di "recenti
addizioni" che avevano fatto quasi scomparire "l’antico
fabbricato" (A. Giliberti, Pantheon Solophranum,
Avellino, 1886, p. 26 n. 1). I dati costruttivi svevi,
e cioè la "tipologia di torri quadrate sporgenti
dalla cortina e l’andamento rettilineo da torre a torre", che il Natella trova nel castello di Solofra, possono
appropriatamente riferirsi all’ampliamento ipotizzato sotto Giordana.
6. Arduino
Filangieri, appartenente ad una delle più cospicue famiglie di
origine normanna tradizionalmente antiangioina,
divenne fedele di re Carlo I assicurandosi il feudo di Candida (1269) e la
nomina a Giustiziere di Bari e a Maestro razionale della Regia Corte. Morì
partecipando alla spedizione angioina in Oriente (cfr. Ricca, II, pp. 204 e sgg).
7. Riccardo
Filangieri, primogenito di Arduino, ereditò i feudi
paterni e il casale di Solofra avendone l’investitura il 27 dicembre del 1283 (cfr. Ricca, II, p. 144).
8. Riccardo, fedele
agli Angioini, partecipò alla guerra contro gli aragonesi
al servizio di Tommaso S. Severino, conte di Marsico,
che difendeva le terre del Principato.
9. Nel settembre del
1290 Riccardo fu accanto a Carlo II nel parlamento di Melfi prorogato proprio
per permettere la sua partecipazione (cfr. Ricca, II,
p. 239).
10 La cura che Riccardo pose nel governo del tenimento di Candida
gli fece ottenere dal re l’istituzione di una fiera nel giorno della festa di
S. Angelo (cfr. Ricca, p. 239).
12. La prigionia,
iniziata in un momento cruciale della guerra (1298), terminerà il 23 dicembre
del 1301 (Reg. ang.,
13. Cfr. Ricca, II, p. 242. Durante la prigionia vennero usurpate alcune sue terre di Candida e di Abriola restituite con l’intervento del re (cfr. Ricca, II, pp. 220 e 243).
14. Tale sforzo è
messo in risalto nella parte terza.
15. AD, I, nn. 41 e 42. Per l’importanza di
questo atto v. infra.
16. AD, I, nn. 40 e 41. L’atto di
sottomissione fu fatto insieme al fratello Ruggiero.
17. AD, I, n. 31.
18. Per il possesso
fondiario a Solofra nel periodo longobardo-normanno v. De Maio, pp. 33 e sgg., 83 e sgg. Per le terre
possedute da Cava v. AD, I, n. 84 e tav. n. 4.
19. Cfr. D. Winspeare, op. cit, pp. 17-20. Secondo la dottrina, il feudo imponeva al feudatario vari
obblighi verso i vassalli (rispettare i loro diritti, provvedere alle cure
pubbliche, non chiedere prestazioni gratuite), che invece furono costretti a diverse servizi.
21. AD, I, n. 31.
22. V. la parte
terza in questo studio.
23 Cfr. AD, I, n. 18. I documenti
angioini permettono di seguire il pagamento di questa tassa annuale solo in
alcuni anni (1276-1277, 1281, 1285, 1290). Le rate a Solofra scadevano a
dicembre, a marzo e ad agosto, secondo l’antica tripartizione longobarda.
24. Cfr. AD, I, nn.
11, 14-21, 23-24, 27, 29.
25. Ibidem.
26. Cfr. Ricca, II, 245-246. Riccardo ebbe dal re il permesso
di riscuotere tale sovvenzione per il matrimonio di sua sorella Angela con
Bernardo Caracciolo.
27. Castellabate, che, ribellatasi agli Angioini, si era data
alle forze aragonesi, fu riconquistata da Tommaso Sanseverino che fermò l’avanzata dei rivoltosi (Camera, II,
p. 5; CDS, II, p. 311; De Lellis, II, p. 45; Reg. Ang., f.
28. Cfr. CDS, II, p. 195.
29. I Registri
angioini fanno conoscere il contributo dell’Universitas
di Solofra a questo conflitto, dato direttamente o insieme ad
altre comunità: il pagamento di una tassa per le milizie impegnate nella difesa
del Principato (AD, I, n. 16) attraverso il suo feudatario, Arduino Filangieri,
di un tributo per la costruzione delle navi necessarie per l’impresa (Reg. ang., M, XXIV;
De Lellis, II, p. 775), di uno per la fornitura di
legname per le galee attraverso Pietro Salerno che trasportava tavole a Salerno
(CDS, I, 354); l’invio a Capua di oltre 600 barili (Reg. ang.,
30. CDS, I e II, infra. L’impianto in territorio solofrano di
famiglie provenienti dal Cilento è dimostrato dal toponimo la celentana (o a li celentani)
attestato già nel 1257 (AD, I, n.2).
Vale la pena ricordare che il rapporto tra Solofra e l’ampia area cilentana è stato individuato già nel periodo longobardo-normanno
con il fondo Corneto di una famiglia
proveniente dall’omonimo centro presso Capaccio (cfr.
De Maio, pp. 88-89 e 126) come era avvenuto per i de Corneto di Salerno e quelli di Giffoni.
________________________
2. Solofra
nel Mezzogiorno commerciale del primo periodo angioino.
La traccia della consistenza socio-economica della
società solofrana, che si coglie nella specifica dei redditi del Filangieri e
che è in perfetta linea con quella che emerge dai 54 capitoli degli Statuti
antichi dell’Universitas, conferma il quadro che
della stessa si ha nel periodo longobardo e in quello normanno-svevo,
i cui elementi ora si evidenziano con contorni più netti31.
In definitiva si può affermare che la distribuzione delle colture, l’attività
economica e sociale, ed anche l’insediamento sul territorio - si vedrà tra poco
- mantennero i caratteri di fondo precedentemente
individuati in una evoluzione senz’altro lenta, ma costante. Di una società cioè ristretta in un piccolo spazio ma che dal suo
patrimonio agro-silvo-pastorale traeva i mezzi per
proiettarsi sempre più intensamente nel più ampio territorio verso cui dirigeva
ormai da tempo i suoi interessi.
Ci
si riferisce all’entroterra salernitano su cui a nord-nord-est sbocca non solo
geograficamente la conca di Solofra, dal quale ha avuto stimoli e al quale ha
dato risposte in quel processo di interrelazione
feconda che ha costituito il rapporto montagna-pianura in questa zona della
Campania32.
I possessores, i padroni cioè
di terre e di attività, dei quali anche gli Statuti solofrani danno una chiara
conferma, potettero esistere solo perché c’era questa proiezione, c’erano cioè
gruppi che continuavano a riversare i propri prodotti sulle strade del
commercio che, anche se difficili e pericolose, anche se in una mercatura
ristretta, giungevano a due importanti punti di smercio del sud, Salerno e
Salerno
era ancora il punto mercantile più importante di tutto il meridione, anche se
cederà il posto a Napoli, divenuta con gli Angioini la
capitale del Regno. Essa ora beneficiava di una fiera di 15 giorni a settembre,
che, concessa da Manfredi (1259) insieme all’ampliamento del porto33,
fu protetta dai nuovi re che si preoccuparono di venire incontro alle
difficoltà del commercio di allora. In particolare
Carlo II, che fu principe della città, la favorì
prorogandola di vari giorni per farvi partecipare i mercanti impiegati nei
lavori dei campi34. Intorno ad essa si ebbe
l’evoluzione della mercatura che, inizialmente legata alle attività del
territorio - il mercante era allevatore, contadino ed artigiano che nei giorni
di fiera lasciava i lavori - , diventò gradatamente più autonoma, anche se non
specifica, passando attraverso o avendo il sostegno dell’attività viaticale, che si faceva più intensa proprio nei periodi di
fiera. I mercanti furono protetti in vari modi: con l’istituzione di servizi di ospitalità ad opera dall’episcopio che aveva la gestione
della fiera35, con servizi di trasporto e di controllo dei luoghi
adiacenti e delle vie di accesso alla fiera, e attraverso un’attività di
pattugliamento che si estendeva ad un’ampia area e durava tutti i giorni
dedicati al commercio. In questa generale partecipazione ebbero un ruolo di
primo piano tutte le Universitas interessate, non
solo perché su di loro cadeva il peso dei servizi, ma perché quei giorni venivano protetti anche da una specifica legislazione
locale.
Intorno
a questa fiera si coagularono gli interessi delle famiglie più cospicue di
Salerno, che ne avevano dall’arcivescovo la gestione -
il potere di far allestire "logias, pergulas, apothecas" e in
quei giorni tenervi "tam mercatores
quam tabernarij et alij artifices"36
- e si irrobustì una compagine sociale artigiano-mercantile, che aveva i
tentacoli nelle zone del suo bacino di utenza. La città era
infatti il centro propulsore di una fitta rete fieristica che,
raccogliendo i prodotti delle terre, li convogliava in quel mercato, e della
quale fecero parte le fiere di S. Severino e di Montoro, entrambe a loro volta
al servizio delle zone vicine. La prima precedeva la grande
fiera salernitana di settembre - cominciava l’8 settembre - e già verso la fine
del secolo (1286) era uno dei suoi principali fornitori, luogo di raccolta e di
distribuzione delle derrate, tanto che nel 1303 ne fu ampliata la durata ad 8
giorni37. Questo centro mercantile direttamente legato a Salerno e
favorito dalla sua posizione di raccordo tra il bacino del Sarno
e quello dell’Irno si confermava come nucleo del
traffico mercantile minore. La seconda fiera, quella di Montoro, concessa nel
1301 e della durata di dieci giorni, si teneva ad agosto ed era sostenuta da un
mercato settimanale che accoglieva i prodotti del circondario38. Qui
come nell’altro centro c’era il magazzinaggio o fòndaco,
un luogo dove si raccoglievano le merci, se ne stabiliva il prezzo e si pagava
il dazio e dove deve configurare un forum, con le botteghe che accoglieva i prodotti del circondario e da vendere, ma che
anche conservavano quella invenduta in attesa del loro trasferimento verso
altri punti di smercio.
In questa attiva pianura alle porte di Salerno, dove sbarcava
il commercio con
Se
si tiene presente che Salerno avrà anche un punto fieristico a maggio si individua in questo vivo hinterland un continuum,
anche temporale, che risponde alla caratteristica della mercatura di questa
area, già individuata nel periodo precedente e definita "di
raccolta", e cioè di un’attività mercantile fatta di piccoli passi che
portava i prodotti alla fiera più grande; e si individua una ragnatela
mercantile sempre più fitta, che viveva tutto l’anno, alimentata dai mercati
settimanali che si tenevano in questi centri fieristici. E c’era un continuum
anche produttivo, un flusso di merci e di prodotti artigianali non solo
della stessa pianura ma anche dei monti che la circondano,
che lentamente, ma incessantemente, seguendo i ritmi stagionali, convergeva
verso la città40.
In questa area così intensamente commerciale, da una parte in
comunicazione con la vivacità dell’agro sarnese-nocerino
e dall’altra con l’operosità della valle dell’Irno, si può individuare una
conurbazione produttiva intorno all’industria armentizia
che andava da un diffuso allevamento di animali, alla lavorazione della carne
salata, alla produzione e manifattura della lana, all’industria dei cuoiami.
Essa
esprime l’impronta produttiva qui individuata fin dal tempo dei Normanni,
quando tra Salerno e le aree di S. Severino-Giffoni
si era creato un polo per la lavorazione dei prodotti
dell’allevamento - lane, pelli, carne salata - sostenuto da Federico II con
diverse concessioni alla comunità salernitana e al suo arcivescovo, che
favorirono la creazione di un monopolio di tale produzione, agevolato dal fatto
che tutta l’area era stata sotto la gestione di un unico feudatario, quello di
Giffoni41.
Salerno
tra l’altro ebbe, unica dopo Napoli, il jus sulla produzione dell’oropelle,
l’arte di impreziosire con l’oro le pelli, il che dette un ulteriore impulso
all’industria armentizia e pose la città al centro di
una forte richiesta della materia prima - la pelle conciata - per realizzare
questo prodotto di pregio diretto anche in oriente e verso il nordafrica42.
Nella città perciò si era formato un sostanzioso gruppo di artigiani,
dediti esclusivamente alla lavorazione della lana e della pelle anche con
modalità diversificate, che si aggiunse a quello, pur consistente ed attivo,
costituito dagli Ebrei, che nella giudaica salernitana avevano un centro
di concia43. Gli Ebrei di Salerno avevano esteso la loro attività
anche fuori la città lungo i corsi dei fiumi - l’Irno
e il flubio-rivus siccus-saltera
- le cui acque e le cui rive erano, come si è visto, protette perché sottoposte
alla giurisdizione vescovile e dove si spostarono quando furono cacciati dalla
città44. Se si considera, come si è detto,
che a Solofra le terre vescovili della pieve erano poste lungo il flubio, che sarà il centro dell’attività conciaria
solofrana, si trova il giusto legame anche territoriale che collega
l’artigianato salernitano con quello solofrano e che è in linea con
l’emigrazione artigiana da Salerno che costantemente in questo periodo
interessò Solofra45.
Un
altro punto di sbocco dei prodotti solofrani fu Cava,
anch’essa gravitante sulla pianura che si sta considerando, sotto la cui
giurisdizione cadevano alcuni fondi di Solofra - posti nella maggior parte
lungo il torrente cantarelle fin sotto
Turci - alcuni dei quali affidati fin dal tempo della feudataria Sarracena alla protezione della grande Abbazia46.
I ricchi prodotti di queste terre, tra cui la carne salata e le pelli,
affluivano facilmente ai porti cavesi di Vietri e di Cetara, anzi in
questo periodo si assiste a diversi tentativi di usurpazione
ad opera dei concessionari, che si spiegano col fatto che anche Cava era
oggetto di gelosie da parte degli altri centri di smercio e della stessa
Salerno47.
È
utile sottolineare che tali contrasti erano
espressione proprio del "localismo" che caratterizzava il commercio
del Meridione, trovavano infatti facile alimento nella parcellizzazione del
"subsistema di comunicazioni" con cui esso
si esplicava e di cui parla il Galasso48. Nell’entroterra
salernitano, proprio perché questo avveniva intorno ad un centro vitale e di
caratura internazionale come Salerno, sarà uno degli elementi degli
sconvolgimenti del XIV secolo.
Alla
fine del XIII secolo si intensificò un altro fronte
per il commercio solofrano, quello creato dalla divisione del grande Giustizierato di Principato e Terra beneventana,
che rispose ad un’esigenza, fortemente avvertita durante il corso della guerra
del Vespro, di creare cioè una più diretta e specifica amministrazione nelle
zone fortemente provate dal conflitto, ma anche di assicurare un collegamento
tra le due aree pianeggiati del Tirreno e quelle dell’Adriatico, le due piazze
più importanti del mercato meridionale49.
Il
rapporto con questa area fu favorito dalla costruzione
della strada che da Salerno, attraverso il passo di Forino, portava in Puglia,
alla quale gli Angioini dettero il ruolo di raccordo e di direttrice del
traffico mercantile e che considerarono nodo commerciale di estrema importanza.
Su di essa fu istituita la dogana di Atripalda, nonostante quella vicina di Avellino, che
provocò la convergenza su questa cittadina dei prodotti di tutta la valle del
Sabato e dei suoi monti circostanti e confermò, mettendolo in risalto, il
risvolto economico che l’operazione politico-militare della divisione del Giustizierato aveva determinato51.
Solofra,
dunque, attraverso la ricca valle del Sabato, vedeva intensificato il rapporto
con i mercati della Puglia, dove, a Barletta e a Trani,
c’erano altrettante fiere anch’esse legate alla ricca rete fieristica del resto
della Puglia. A Barletta, che era uno dei mercati più attivi della regione e
dove c’era una fiera internazionale, a Trani, che
aveva una fiera ad agosto ed una a novembre e a Manfredonia giungevano i
mercanti ragusei di argento
e di pelli, e vi risiedevano per vari mesi durante i quali intraprendevano
rapporti commerciali per raccogliere i prodotti del loro commercio52.
Con questi tre centri di commercio Solofra ebbe stretti
rapporti non solo attraverso i suoi mercanti ma anche con posti fissi di
vendita53.
Bisogna
fare una considerazione circa la costituzione del Giustizierato
di Principato a serris Montorii
citra Salernum e di
quello di Principato a serris Montorii
ultra Salernum - il cui confine passava
sulla pianura tra Rota e Montoro includendo Forino e Montoro superiore con
Solofra nel Principato Ultra - e dire che essa non
salvaguardò l’integrità dell’hinterland salernitano infatti la pianura
fu divisa dalla sua zona pedemontana54. È vero che, data la natura
non doganale delle due province, questo hinterland,
che aveva costituito e costituiva un’unità integra con la città, continuerà a
restare unito e gravitante su di essa come lo sarà anche nell’ambito diocesano55,
ma è vero anche che la divisione, tranne qualche ritocco, divenuta in seguito
amministrativa, ha creato senz’altro un forte contrasto tra il territorio e la
sua storia56.
Il
commercio solofrano dovette fare i conti in questo periodo con la pericolosità
delle strade infestate dai predoni, tanto che l’Universitas
dette il suo contributo, con
Bisogna infatti tenere presente che la viabilità nel periodo angioino si era fortemente ridotta. Molte strade erano
utilizzabili solo stagionalmente per la presenza di paludi e di smottamenti e
per la carenza di manutenzione, il che limitava la
sicurezza e trasformava il viaggio in "un’avventura imprevedibile"
resa ancora più pericolosa dai predoni. La guerra del Vespro
infatti favorì il proliferare "di bande di grassatori, di
predatori, di ladroni che assaltavano e spogliavano dei loro beni pellegrini e
mercanti"60 tanto che è proprio in questo periodo che si può
cominciare a parlare di brigantaggio, come fenomeno prodotto da gruppi armati
che prenderà maggiore consistenza nel secolo seguente61.
Anche
i porti, favoriti come alternativa alla insicurezza
delle strade, diventarono insicuri per le incursioni dei corsari, per
combattere le quali furono armate vere e proprie flotte. E
pure per quest’altra piaga del commercio angioino fu necessario gravare le Universitas
interessate al traffico, cosa che naturalmente avvenne anche per Solofra62.
Intanto
nel Regno angioino erano state immesse le nuove
monete volute e fatte coniare da Carlo I al cui cambio
partecipò, nel giugno del 1276, anche Solofra che inviò nella sede del Giustizierato un notaio e dei testimoni per ricevere le
monete da dividere tra gli abitanti e in cambio dette oro per un valore che
superava i 300 carlini63.
_____________
31. Cfr. De Maio, pp. 83 e sgg. e la parte
terza.
32. Per seguire in che modo l’entroterra salernitano ha definito
la storia precedente di Solofra v. De Maio, pp. 29 e sgg. In questo
studio si è dimostrato lo stretto legame tra Salerno e la sua pianura di
riferimento, della quale la zona a nord-nord-est ha costituito un vitale e vivo
enclave in cui si è realizzato più intensamente il rapporto tra la
pianura e la montagna citato dal Galasso (Moltivi,
permanenze e sviluppi della storia regionale in Campania, in L’altra
Europa, Napoli, 1972). Tale rapporto per Solofra è stato individuato e
dimostrato a partire dal periodo successivo alla
guerra greco-gotica (535-555).
33. Cfr. AD, I, n. 3. La concessione,
con la libertà da tributi di dogana "et omni alio iure",
agevolava il commercio verso questo centro mercantile.
34. Cfr. Crisci, I,
p. 317 e G. Paesano, III, p. 122-125. Tale esigenza mette in risalto la
figura del mercante solofrano - agricoltore e insieme artigiano - individuata
nel periodo longobardo-normanno (De Maio, pp. 29 e sgg).
35. Cfr. Crisci, I,
p. 317. Si consideri l’importanza di questa gestione per il commercio
solofrano ancora in gran parte legato all’episcopio
salernitano (v. anche De Maio, pp. 78-80 e 97-100).
37. Cfr. Camera, II, p. 98 e n. 1.
38. Cfr. AD, I, n. 35. Il mercato, che
si svolgeva nella piazza del castello, si teneva ogni mercoledì, la fiera
invece nel giorno di S. Stefano di agosto. Vale la
pena considerare come le fiere si riferissero sempre a festività religiose,
poiché la chiesa serviva da richiamo ma anche faceva da protezione a questa attività preminente delle comunità.
39. Cfr. G. Yver, Le
commerce et les marchands dans l’Italie mèridionale
au XIII et au XIV siècle, Paris, 1903, p. 62 ; M. A. Del Grosso, Un’azienda feudale: il patrimonio
della chiesa salernitana nel sec. XVI, in "Rivista Storica del Sannio",
1995, pp. 29-119; Caggese, I, pp.
93, 280-309; II, pp. 299-300..
42. Cfr. De Maio, pp.
77-78). Vale la pena citare che si ha
testimonianza di argenti lavorati da mercanti
fiorentini fin dal 1289 (Reg. Ang.,
F., 33, p. 141).
43. Cfr. A. Marongiu, Ebrei a
Salerno nei documenti dei secoli X e XIII, in ASPN, 1937 ;T. Tamassia, Stranieri ed Ebrei
nell’Italia meridionale dall’età romana alla sveva,
Venezia, 1904; A. Milano, Storia degli Ebrei in Italia, Torino,
1963.
44. Cfr. Reg. Ang., F., 40, pp. 72, 73,
84. La cacciata degli Ebrei risale al 1291
quando fu distrutta
46. Cfr. De Maio, pp. 65-66 e sgg,, pp. 119-122. Vale la penna ricordare che le terre
dell’Abbazia godevano di esenzioni e privilegi.
47. Cfr. AD, I, n. 6 dove si parla di
una causa intentata da Cava contro un tentativo di usurpazione da parte di
Nicola di Solofra nel 1272. Per la discordia tra Cava e
Salerno v. Camera II, pp. 55-57. V. pure AD, I, n.
30.
48. Cfr. G. Galasso, Il Regno... cit., p. 843.
49. Cfr. Camera, II, p. 74 e G. Galasso, Il Regno..., cit., pp. 843 e sgg. Poiché
il Regno angioino non ebbe un’amministrazione
provinciale, i Giustizierati ebbero solo carattere
giudiziario non doganale né ecclesiastico. Le individualità invece erano
costituite dalle città, dalle famiglie feudali, dai conventi e dai monasteri per cui la vivacità delle provincie
dipendeva da queste realtà in esse presenti (ibidem).
51. La dogana fu
istituita nel 1320 da Romanello Orsini, signore di Atripalda.
53. ASPN, 1892, p.
496, n.4. Le relazioni commerciali tra questi centri
e Solofra sono chiaramente rintracciabili anche attraverso la vicenda dei
Fasano (v. ultra).
55. La diocesi di
Salerno continuerà infatti ad inglobare in sé i
territori di Solofra, Montoro superiore, Forino e Serino.
56. Se è importante
che le divisioni seguono i profili morfologici dei territori lo è ancora di più
per i profili storici che determinano le realtà socio-economiche dei territori,
lo dimostra il fatto che in troppi studi, e quelli a
carattere locale hanno una grande importanza per la grande storia, le vicende
della storia di Solofra non sono viste nella ottica del suo hinterland
di appartenenza togliendo molto ad entrambi.
57. Cfr. AD, I, n. 7. Nella
disposizione decretata nel giugno del 1271 Eliseo del castello di Serra fu nominato custode dei passi
e delle vie da Montoro ad Avellino attraverso Solofra e Serino, utilizzando il
passo di Turci. Aveva ai suoi ordini 60 armati il cui peso fu diviso tra le
varie Universitas interessate dalle strade. Solofra dovette darne 3, Serino 4, Forino 6. Si consideri la minima
differenza tra Serino, con un territorio molto più
ampio, e Solofra e trovare la ragione di ciò nel maggior traffico solofrano che
pesava sulla strada.
58. Reg. ang., M, II, pp. 136-137.
59. Reg. ang., M, VI, p. 237.
60. Cfr. Caggese, I,
pp. 380 e sgg.; G. Yver,
op. cit., p. 61 e sgg. Fin dal 1321 si era creata una societas bannitorum
che sotto la guida di un certo Ispanò si aggirava nei
dintorni di Salerno (Caggese, I, p. 340) tanto che
gli Angioini istituirono le corvée degli abitanti dei paesi interessati
al problema.
61. Cfr. N. Cilento, Origini storiche e sociali
del banditismo meridionale in "Archivio Storico per
62. Cfr. CDS, I, pp. 354, 466-467.
63. AD, I, n. 12. Cfr. C. Minieri Riccio, Il
regno ..., cit.
_____________________
3. Situazione
abitativa a Solofra all’inizio del XIV secolo. La
divisione del grande Giustizierato di Principato e
Terra beneventana non aveva tenuto presente le aggregazioni ecclesiastiche infatti l’Archipresbiterato
di Serino, in cui era inglobata la parrocchia di Solofra, continuò ad
appartenere alla giurisdizione dell’episcopio di Salerno pur facente parte del
Principato Ultra64.
Per
questo motivo negli Archipresbiterati salernitani, nel 1309, fu fatta un’inquisizione per
accertare lo stato delle Chiese e le decime che esse rendevano. Ne nacque un documento
importante da cui si può cogliere la situazione
ecclesiale nel territorio di Solofra all’inizio del XIV secolo68.
Qui
la pieve, diventata parrocchia di S. Angelo69, era retta dall’abbas Nicolaus domini
Marini de Surrento ed aveva due cappellani "domno Besalacqua et Domino Consulo"70.
Nel circondario parrocchiale di Solofra c’erano ancora le chiese di S.
Giuliano, di cui era rettore "domno Coradus Taiabosco di Salerno e
cappellano Roglerio de S. Giuliano"71,
e di "S. Cruce", di cui era rettore l’abbas Nicolaus Marescalcus de Salerno e cappellano Tomasius
de Marcualdo72. Il casale di S. Agata di
Solofra, qui chiamato S. Andrea, aveva nell’omonima chiesa l’abbas Matheus de Protogiudice de Salerno e il
cappellano Guglielmo di Solofra73.
Il
documento mette in evidenza un aumento del clero
nonostante la stasi demografica dell’epoca e fa considerare soprattutto
l’immigrazione di elementi forestieri - era in corso la guerra del Vespro - tra
cui, cosa più importante come si vedrà, provenienti dalla società salernitana
ben tre sacerdoti. Questa tendenza emigratoria soprattutto da territori salernitani, dietro la spinta
della guerra del Vespro, si riscontra anche nella popolazione civile.
Importante è anche la provenienza dalla costa di Amalfi
dell’abate di S. Angelo, che conferma il rapporto di queste terre con Solofra74.
Rispetto
all’epoca normanno-sveva dal punto di vista
ecclesiastico il territorio si è arricchito della chiesa di S. Giuliano. Il
numero dei sacerdoti ed il loro grado indica che a
Solofra è, all’inizio del XIV secolo, già in atto la pratica della istituzione
nelle chiese di cappelle o altari con donazioni di beni o oblazioni su essi.
Questa pratica, attuata per sfuggire alla morsa del fisco e favorita dalle
concessioni che Carlo I aveva fatto al papato, dette
inizio a quel processo che trasformerà le chiese in grandi proprietari esenti
da tributi75. Il rettore, che era il titolare di lauti benefici
anche in più chiese e in genere era un arcidiacono o un canonico del Capitolo o
un qualsiasi presbitero, aveva l’obbligo di celebrare un certo numero di messe
oltre a gestire il patrimonio di cui era responsabile, ma non aveva la cura animorum affidata al parroco, unico preposto a ciò
nella chiesa parrocchiale. Perciò in un edificio sacro potevano esserci, oltre
al parroco, diversi ecclesiastici "sine
cura" ma con benefici di cappelle, e uno o più rettori76, cosa
che si riscontra nelle chiese solofrane in questo
periodo.
Il
documento permette anche di definire la situazione abitativa di Solofra che si
è evoluta ma non di molto rispetto a quella
riscontrata alla fine del periodo normanno-svevo.
Si
possono individuare due casali ben definiti, quello di S. Agata di Solofra,
posto sulle pendici del Pergola-S. Marco e che si
estendeva, inglobando il castello, fino al passo di Turci77 e quello
intorno alla chiesa di S. Giuliano, di cui un sacerdote porta pure il nome, che
dovrebbe essersi formato, comprendendo il Toro, in seguito all’ampliamento del
territorio di Solofra a nord78.
Le
altre due chiese - S. Angelo e S. Croce - , tenendo
presente lo sviluppo dei casali due secoli dopo, devono considerarsi centri
religiosi di un territorio abitativo, che si dispiegava sull’asse viario, che
dalla ex pieve portava al Sortito o platea, il casale del
commercio. Se si considera che lo scambio delle merci o la consegna al
vetturale del prodotto che giungeva dalle concerie avveniva dinanzi alle
chiese, dove queste venivano raccolte e protette, il
primitivo forum solofrano può essere collocato nello spazio antistante
Per
quanto riguarda il casale di S. Agata di Serino, posto tra il monte San Marco e
la pianura di Montoro, si rileva la buona consistenza della chiesa - ben
quattro sacerdoti di cui il rettore di Napoli e un presbitero di Capua80
- . Esso, pur facendo parte dell’Universitas
di Serino, ebbe stretti rapporti con Solofra
considerandosi un tutt’uno col restante territorio
della conca. Persino i confini tra i due casali omonimi, in cui era stato
diviso il grosso casale di Serino al di qua del
Pergola-San Marco, non saranno mai ben definiti. D’altra parte in quei tempi
non era raro che su uno stesso territorio gravassero due Universitas81.
C’è
da sottolineare ancora un ampio territorio a confine
con Montoro denominato, fin dal periodo manfrediano le
celentane82, che si lega all’immigrazione di soggetti
provenienti dalla distrutta Fasanella ad opera di
Manfredi e comunque alla esistenza in loco di possessores
provenienti dai centri pedemontani della piana a sud
di Salerno.
Tra
i cittadini di cui si ha menzione in questo periodo, oltre agli ecclesiastici
citati, alcuni dei quali oriundi, si ha nota di un Pietro
di Solofra di Giovanni. che nel 1259 possedeva beni al
confine con Montoro e che era legato con contratti enfiteutici a Cava, cui si
aggiunse, nel 1263, il figlio Nicola83. Altri proprietari sono
Goffredo e Maria col figlio Riccardo, Nicola di S. Agata, Riccardo di Sorrento,
che richiama il rettore di S. Angelo, Giovanni e Guglielmo de Fasana, che fanno risalire a
questo periodo l’instaurarsi del ceppo tra Montoro e Solofra, e i Guarini, che
danno il nome ad un possedimento (de li guarini) e che sono presenti a
Solofra con un giudice, Maynerius, cosa che permette
di collocare in questo periodo il trasferimento a Solofra, dalla zona di
Ariano, di questa che sarà la più ampia famiglia locale84.
Si
ha ancora menzione di alcuni notai solofrani, per lo
meno due, Palmerio de Roberto, dichiarato da Carlo I idoneo ad esercitare il
notariato e Nunzio de Auro che operarono in varie terre dell’Irpinia85.
Ci sono poi gli zecchieri che lavoravano alla Zecca
di Napoli, di cui si dirà più avanti.
___________
65. CDS, II, p. 2.
66. CDS, II, pp. 235
e sgg.
67. Crisci, I, pp. 303 e sgg. Fu tale
la serie di raggiri, intrighi e soprusi in cui furono coinvolti gli Arcivescovi
che la sede di Roma fu costretta ad avocarne a sé la nomina (ibidem).
68. La parte del
documento che interessa Solofra, che in quel periodo faceva parte del Archipresbiterato di Serino, è
in AD, I, n. 36.
69. Per la storia di
questa chiesa madre precedente a questo periodo si
rimanda a De Maio, pp. 33-53. Qui vale la pena ricordare che nella
ristrutturazione dell’episcopio di Salerno, fatta da Amato alla fine del XII
secolo e resasi necessaria per l’aumento demografico di tutte le terre
dell’episcopio, la chiesa era entrata a far parte
dell’Archipresbiterato di Serino ed era diventata
parrocchia.
70. AD, n. 36. Al
rettore valeva
71. Ibidem.
Nel 1338 la chiesa sarà tenuta da Eduardo arcidiacono salernitano (ADS, cit.).
72. Ibidem.
73. La chiesa di S.
Andrea è documentata nella parte alta di quello che allora era il grande casale di S. Agata fin dal 1195 (cfr.
De Maio, pp. 126-127). Da considerare che nei documenti notarili, che sono più
vicini all’espressione popolare, in tutto il XVI
secolo non si riscontra mai la denominazione di "S. Andrea" data al
casale di S. Agata di Solofra.
74. Anche nel periodo precedente è stato individuato il rapporto
di Solofra con Amalfi e la sua la costiera (cfr. De
Maio, pp. 78-80, 96-100).
77. L’estensione del
casale di S. Agata fino a Turci è dato dagli atti del
processo sostenuto dall’Universitas di Solofra contro
quella di Serino (AD, I, nn. 62, 73, 124). D’altra parte la fortificazione di Solofra era collegata, attraverso
Turci, al castello di Serino (De Maio, pp. 44-45 e n. 55 e qui la tav. n. 3).
78. La località di san
Giuliano vecchio al toro dimostra che la chiesa di cui qui si parla era in
questo casale, con una diversa collocazione dunque
dalla omonima chiesa costruita successivamente nel casale Fratta, di là del
vallone cantarelle, quando questo si
formò.
79. Questo impianto
è stato già individuato nel periodo precedente (cfr. De Maio, pp. 84 n. 9, 88-89 e n. 33, 99 n. 84).
80. Cfr. AD, I, n. 36. Per un utile
confronto della consistenza di questo casale vale la pena considerare che a
Serino si trovavano solo due chiese, S. Lucia e S.
Lorenzo, che rendevano un’oncia, mentre il Monastero di San Francesco ne
rendeva 7 (Ratiorum Decimarum,
p. 419, n. 6131).
81. Negli atti
notarili del XVI secolo (ASA, B6522 e sgg) non è infrequente il caso in cui una stessa località è
detta ora in territorio di Serino e ora di Solofra. V. qui il
par. 1 e ultra, il cap. IV, par. 1 e parte quarta, par. 1).
82. AD, I, n. 2.
83. AD, I, nn. 4, 5, 8. Alcuni documenti di
Montevergine (AD, I, n. 22)
e di Cava (cit.) permettono di seguire questa famiglia di possidenti tra
Solofra e Torchiati.
84. Cfr. AD, I, rispettivamente nn. 2, 6, 33, 76.
85. AD, I, n. 10.
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Da M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra,
2000
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