SOLOFRA NEL MEZZOGIORNO ANGIOINO-ARAGONESE

[PARTE PRIMA]

[PERIODO ANGIOINO]

CAPITOLO II

Solofra nel primo periodo angioino

 

1. Al tempo di Giordana Tricarico (1256-1298) e di Riccardo Filangieri (1298-1321). Il primo periodo angioino a Solofra fu caratterizzato dalla signoria di Giordana Tricarico che aveva avuto in dote dal padre Giacomo il vico, distaccato dal feudo di Serino1. Durante il suo dominio e voluto da Carlo I, avvenne l’importante ampliamento del territorio solofrano sul lato settentrionale che inglobò, a spese di Serino, la collina ai piedi del monte Pergola e parte del casale di S. Agata. Questa cessione, che portò alla scissione del grande casale che Serino aveva sul versante della conca solofrana, che dette a Solofra il possesso di un punto fortificato fino a Turci e le permise di allargarsi nella zona pianeggiante2, fu operata dallo stesso Carlo durante il periodo in cui il feudo di Serino rimase nel demanio3. E fu dallo stesso confermata ad Adelicia Tricarico, sorella di Giordana, quando divenne signora di Serino, e a suo figlio Nicola de Marra, il quale dovette assicurare il re dell’avvenuta cessione "di 1/3 del casale di S. Agata a Solofra"4.

Si può ipotizzare, in virtù di questo passaggio avvenuto all’inizio dell’autonomia territoriale del casale di Solofra e data la sua importanza, un ampliamento della fortificazione assorbita dalla nuova unità abitativa, proprio ad opera della feudataria Giordana, che aveva tutto l’interesse a trasformare quello che era un semplice punto fortificato e dipendente dal grande castello di Serino in un fortilizio più autonomo - c’erano inoltre le esigenze difensive della guerra del Vespro - tanto che il casale, nel 1283 per questa sua maggiore forza difensiva, si trova denominato castro5.

Alla morte del marito Arduino Filangieri (1283)6, Giordana governò Solofra a nome del figlio Riccardo7 sia durante la di lui minore età che durante la partecipazione dello stesso alla guerra del Vespro8. E poiché nei periodi di tregua Riccardo fu al seguito dei re angioini9, avendo come punto di riferimento il feudo di Candida, dove risiedeva la sua corte10, e non Solofra, fu Giordana, come titolare della dote, ad avere più diretti contatti con l’Universitas di Solofra11. Alla sua morte (1298), poiché Riccardo era ancora impegnato nelle operazioni di guerra durante le quali era stato fatto prigioniero in Sicilia12, Carlo II dette la gestione delle terre al fratello di lui Ruggiero "dovendosi con le rendite sostenere la famiglia del prigioniero"13.

La comunità solofrana, dunque, all’inizio del XIV secolo, nel momento in cui subiva l’ondata migratoria dalle terre teatro di guerra, di cui si dirà, non ebbe la presenza del feudatario in loco, cosa che sostenne la maturazione della sua capacità di autogestione e lo sforzo di emancipazione politica e sociale14.

Reintegrato nel feudo, Riccardo sposò Francesca Marra a cui assegnò come dotario Solofra15, il che evidenzia il carattere distintivo che, anche nella mentalità del nuovo feudatario, aveva la piccola comunità già capace di autonomia soprattutto economica. Questo atto pose Solofra in una situazione particolare che le fu di giovamento più tardi - lo si vedrà - quando subirà un’altra ondata immigratoria, durante la vedovanza di Francesca e la sua gestione del feudo per il figlio Filippo.

Ritornando a Riccardo bisogna dire che nel 1309 fece atto di sottomissione a re Roberto, e che visse in piena fedeltà agli Angioini fino alla morte avvenuta nel 132116.

Per quanto riguarda il feudo di Solofra se ne conosce la rendita annua, determinata da un’indagine promossa da Carlo II nel 1298 per verificare lo stato dei feudi, secondo il quale Solofra rendeva a Riccardo Filangieri 13 once l’anno17. A parte le limitazioni dei dati documentali, che non permettono alcuna valutazione esaustiva, per la estrema articolazione del possesso fondiario dell’epoca, né di delineare una qualsiasi consistenza abitativa del castro, si possono fare alcune considerazioni.

Per prima cosa bisogna notare che in questo feudo c’era un limitato numero di famiglie vassallatiche. In questo periodo infatti il vincolo servile, che legava gli uomini al signore e alla terra, già cominciava a venire meno. Gli uomini erano liberi di acquistare o alienare le terre, pur pagando il censo feudale, che restava un obbligo, ma riguardava solo le terre sottoposte al dominio feudale che non erano quelle dell’intera circoscrizione territoriale. Questo fatto è legato ad una situazione precedente che gli Angioini avevano trovato in queste terre longobarde e normanne ed anche a Solofra, dove già in quel periodo c’erano fondi goduti da liberi "possessores" alcuni dei quali trasferitisi a Salerno, terre sottoposte alla giurisdizione di Cava, altre in possesso della pieve di S. Angelo e S. Maria facenti parte quindi della massa dell’episcopio salernitano, e terre appartenenti a Montevergine18.

In questo feudo invece si sentiva il peso dei "servizi feudali" - i cosiddetti "abusi" - pretesi dal feudatario sia come imposizioni sulle attività che come richieste di prestazioni gratuite. E questo nonostante che l’Universitas, in virtù delle riforme angioine, avesse acquistato nei riguardi del feudatario un potere effettivo, visto che costui era stato costretto a riconoscere gli usi e i costumi locali e le prerogative già godute, le quali avrebbero dovuto difendere i cittadini da ogni tipo di potere arbitrario19.

Gli "abusi", che gli abitanti di Solofra furono costretti a dare a Giordana prima e a Riccardo dopo, furono gli "angarii", cioè lavori vari, come il trasporto di merci e giornate gratuite svolte al loro servizio. A parte i censi sulle terre feudali, che riguardavano i frutti prodotti, c’erano poi i censi sul demanio pubblico - le terre di tutti - che erano un’altra forma di angheria. Si pagava insomma per i prodotti delle selve (industria nemus), in genere terre demaniali, e per i pascoli che avvenivano nei demani. Anche il diritto sui mulini era un’angheria, visto che le acque erano demaniali.

Importante è invece notare che mancano nel documento i diritti sull’uso delle acque che servivano le "contrarie", perché esse si trovavano nelle terre appartenenti alla pieve, su cui in questo periodo esercitava il potere feudale l’arcivescovo di Salerno. La concia infatti fu favorita - e ciò contribuì a stabilizzare sul posto questa attività - proprio dai privilegi, che avevano le terre episcopali e che erano costituiti soprattutto da sgravi fiscali sul mercato di Salerno, anch’esso gestito dalla chiesa salernitana20.

Si può inoltre considerare la produzione silvo-agro-pastorale del territorio, che dava, oltre ai prodotti del seminato, nocelle, castagne e frutta, ed in cui l’attività pastorale era preminente, con una specificità, già individuata nel periodo longobardo-normanno, e cioè la produzione e la conservazione della carne di maiale, che sarà una nota costante nella facies produttiva solofrana. A questa vanno aggiunte l’attività molitoria, che si svolgeva sicuramente con l’uso di più di un mulino (dato il plurale usato nel documento), e, elemento riguardevole per l’indirizzo che prenderà la società solofrana, le attività artigianali ("opere")21.

Tra le "opere" non è improbabile che possa intendersi qualche attività legata alla concia delle pelli, che si trova regolata in modo molto preciso in un articolo statuario dei Capitula antiqua e che, anche se si svolgeva in terre fuori della giurisdizione feudale del Filangieri, poteva sempre essere oggetto di imposizioni feudali allorquando si spostava in altri luoghi.

Circa l’esercizio della giustizia, che in questo periodo era limitato alle cause civili, bisogna dire che esso, per le ragioni dette sopra, non riguardava tutti i cittadini alcuni dei quali dipendevano da Cava, altri da Montevergine, altri dall’episcopio salernitano. Comunque, tenendo presente che i proventi di questo esercizio non andavano tutti al feudatario, che un’oncia valeva 60 carlini, un carlino 20 tarì e un tarì 20 grani, e, considerando le multe e gli introiti indicati negli Statuti, si può avere un’idea, se pure monca, dell’attività della curia locale22.

Altri documenti di questo periodo danno la possibilità di individuare gli ulteriori pesi fiscali gravanti sulla comunità. C’era la subventio generalis, la tassa annuale obbligatoria che da straordinaria era divenuta ordinaria e gravava su ogni comunità in base al numero delle famiglie fiscali. A Solofra ammontava a 7 once, 16 tarì e 12 grani ed era pagata in tre rate23.

Non meno gravosa era l’adoha, che spettava al feudatario e che, si è visto, pesò in parte sulle popolazioni. La feudataria, dato che il feudo rendeva 13 once e non 20, per il "servizio militare" su Solofra pagava un contributo in denaro che doveva avere l’approvazione regia. Nel 1285 infatti Giordana ebbe il permesso di pagare l’adoha e di non comparire "in monstra", cosa che fu confermata nel 1286 e nel 1287. Nel 1290 Riccardo prestò il servizio militare anche per la madre, che infatti in quell’anno non pagò la tassa, la quale nell’anno successivo fu invece versata senza il permesso regio, poiché già era avvenuta la sostituzione del servizio feudale con una somma in denaro24. Nel 1296, quando Carlo II aveva già caricato i vassalli di 1/3 dell’adoha, Giordana ebbe la "licenza di esigere" dai vassalli "la solita rata della sovvenzione" che lei pagava per il servizio militare. In questo anno inoltre il re concesse a Giordana una dilazione sul pagamento della tassa a causa di un’epidemia che aveva colpito il Principato Ultra. Nel 1300 e per tutto il tempo della prigionia di Riccardo, Giordana non pagò la tassa, perché il feudo già dava il suo contributo25.Ci fu poi, nel 1308, una tassa straordinaria che la comunità fu costretta a versare per il matrimonio della sorella del feudatario26.

Il peso più gravoso sostenuto da Solofra in questo periodo fu però quello per la guerra del Vespro, che ebbe momenti cruciali nella piana a sud di Salerno e che coinvolse in modo considerevole tutte le terre del Principato, pesando su di esse non solo con distruzioni ma anche con sovvenzioni speciali, con la requisizione di decime e con la revoca alla corona delle terre dei feudatari morti senza figli.

La rivolta antiangioina, scoppiata in Sicilia ed estesasi in altre zone, si era concentrata infatti sulla frontiera Policastro-Basilicata, dove si era fermata l’offensiva aragonese, il cui episodio più significativo fu l’occupazione di Castellabate27. La guerra durò, quasi senza interruzione, dal 1284 al 1299 ed ebbe carattere di guerriglia, provocando distruzioni e devastazioni di bande armate che interessarono direttamente le zone costiere e tutta la valle del Sele, e che spopolarono le zone del Cilento. Tutti i castelli della pianura intorno a Salerno fino a Montoro furono messi in allerta28. Solofra, anche se, come pare, non fu toccata direttamente, fu costretta, a partire dal 1279, a versare contribuzioni in denaro per le necessità della guerra e la riparazione dei castelli, a partecipare a forniture di legname e di uomini29, e soprattutto fu interessata, come tutta l’area collinare alle spalle di Salerno, da una forte immigrazione di gente che abbandonava le zone teatro di guerra e che venne ad aggiungersi alla colonia cilentana formatasi nella parte pianeggiante al confine con Montoro sia al tempo di Manfredi che nel primo periodo angioino30.

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 1. Cfr. Reg. Ang., F, IV, pp. 110-111; F. della Marra, Discorsi delle famiglie nobili, Napoli, 1641, p. 420; Ricca, II e IV. Giacomo Tricarico seguì l’indirizzo di suo padre Ruggiero, già manifestato alla fine del XII secolo - staccare il casale di Solofra dal tenimento di Serino - quando aveva assegnato il vico al figlio Giordano che però morì senza eredi per cui Solofra era ritornata al possessore del feudo maggiore, il fratello Giacomo. Con i figli di Giacomo si estinguerà il ramo dei Tricarico e il feudo di Serino passerà ai della Marra (cfr. tav. n. 1 e De Maio, pp. 65-80).

2. Il territorio del vico di Solofra, delimitato a nord dal vallone cantarelle fino alla sua confluenza nel rivus siccus, occupava solo metà della conca (cfr. tav. n. 2 e De Maio, pp. 83-91 e sgg). L’acquisizione dei nuovi territori portò alla formazione del casale di S. Agata di Solofra o di sopra e di quello di S. Agata di Serino o di sotto.

3. Nel 1277 essendo morto Nicola Tricarico, figlio di Giacomo e signore di Serino, senza eredi il feudo, in attesa della risoluzione della causa di successione, fu incamerato nel regio demanio rimanendovi fino al 1284. V. qui n. 4. Vale la pena consideare che il marito di Giordana era un fedele di re Carlo.

4. AD, I, n. 28 e tav. n. 1. La cessione, che per Serino costituì la perdita della fortificazione sulle pendici meridionali del monte Pergola, facente parte del suo più grande castello, e il ridimensionamento dei suoi possessi nella conca di Solofra, proprio per la sua importanza, dovette essere confermata sia da Adelicia (quando ebbe dal re angioino la successione nel feudo), sia - nel 1296 - da Nicola de Marra, figlio di Adelicia e di Risone, nel ricevere il regio assenso per il feudo. Si ricorda che il feudo di Serino, morto Giacomo Tricarico, passò al suo primogenito Roberto, che però lo perdette per aver appoggiato Corradino (1268), andò quindi ad un altro fratello, fedele di Carlo I, Nicola (1268-1277), alla morte del quale fu incorporato nel demanio regio dove rimase fino al 1284, quando fu restituito alla sorella Adelicia per premiare la fedeltà del di lei marito Risone de Marra (cfr. Reg. Ang., 26, f. 59t, S, p. 6; id., 60, f. 277t, S, p. 7; id., 95, f. 176, S, p. 9; De Maio, p. 74 e n. 89). Vale la pena, per cogliere in quale modo questa successione sia rimasta nella memoria locale, considerare una dichiarazione, fatta tre secoli dopo da alcuni testi solofrani durante una causa sostenuta dall’Universitas di Solofra contro quella di Serino proprio per i territori oggetto di questo passaggio: "Como è publica voce et fama, como Solofra et Serino sono state tutte de uno patrone et cha la primogenita soccesse allo stato, et volendosi maritare la seconda genita hebbe in dote la terra di Solofra et soij casali, retinendosi per la primogenita la ditta terra de Serino con la ditta parte del casale di Santa Agata verso Montuoro quanto ala jurisditione et con certi redditi sopra certe terre di Solofra" (ASA, U, f. 23r). Per la storia precedente del territorio di cui si discute v. De Maio, pp. 55 e sgg.

5. Per quanto riguarda questo punto fortificato bisogna dire che la storia longobarda di tutta la zona e la logica del complesso difensivo longobardo del Pergola-San Marco, che aveva il suo punto forte nel castello di Serino, fanno risalire a questo periodo la dotazione di una fortificazione sul lato di questo complesso che guarda la conca di Solofra (cfr. De Maio, pp. 36 e sgg. e n. 39, pp. 44 e sgg. e n. 55; G. Muollo-G. Coppola, I castelli, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, 1996, II, p. 433). Meno verosimile è la sua costruzione ex novo nel periodo svevo come propone Pasquale Natella (in Storia illustrata di Avellino... cit., III, p. 36) tenendo presente solo la "planimetria" del castello, ricavata per altro dalla sua sagoma attuale che comprende tutte le acquisizioni successive, tra cui quella testimoniata nel secolo XIX da Antonio Giliberti che parla di "recenti addizioni" che avevano fatto quasi scomparire "l’antico fabbricato" (A. Giliberti, Pantheon Solophranum, Avellino, 1886, p. 26 n. 1). I dati costruttivi svevi, e cioè la "tipologia di torri quadrate sporgenti dalla cortina e l’andamento rettilineo da torre a torre", che il Natella trova nel castello di Solofra, possono appropriatamente riferirsi all’ampliamento ipotizzato sotto Giordana.

6. Arduino Filangieri, appartenente ad una delle più cospicue famiglie di origine normanna tradizionalmente antiangioina, divenne fedele di re Carlo I assicurandosi il feudo di Candida (1269) e la nomina a Giustiziere di Bari e a Maestro razionale della Regia Corte. Morì partecipando alla spedizione angioina in Oriente (cfr. Ricca, II, pp. 204 e sgg).

7. Riccardo Filangieri, primogenito di Arduino, ereditò i feudi paterni e il casale di Solofra avendone l’investitura il 27 dicembre del 1283 (cfr. Ricca, II, p. 144).

8. Riccardo, fedele agli Angioini, partecipò alla guerra contro gli aragonesi al servizio di Tommaso S. Severino, conte di Marsico, che difendeva le terre del Principato.

9. Nel settembre del 1290 Riccardo fu accanto a Carlo II nel parlamento di Melfi prorogato proprio per permettere la sua partecipazione (cfr. Ricca, II, p. 239).

10 La cura che Riccardo pose nel governo del tenimento di Candida gli fece ottenere dal re l’istituzione di una fiera nel giorno della festa di S. Angelo (cfr. Ricca, p. 239).

11. In AD, I, (nn. 19-21, 24, 27, 29, 32) si attesta il rapporto di Giordana con Solofra.

12. La prigionia, iniziata in un momento cruciale della guerra (1298), terminerà il 23 dicembre del 1301 (Reg. ang., 104, f. 162t) quando Carlo II mandò appositamente in Sicilia Riccardo de Turturella per averlo "in excambium" (cfr. Ricca, II, p. 145).

13. Cfr. Ricca, II, p. 242. Durante la prigionia vennero usurpate alcune sue terre di Candida e di Abriola restituite con l’intervento del re (cfr. Ricca, II, pp. 220 e 243).

14. Tale sforzo è messo in risalto nella parte terza.

15. AD, I, nn. 41 e 42. Per l’importanza di questo atto v. infra.

16. AD, I, nn. 40 e 41. L’atto di sottomissione fu fatto insieme al fratello Ruggiero.

17. AD, I, n. 31.

18. Per il possesso fondiario a Solofra nel periodo longobardo-normanno v. De Maio, pp. 33 e sgg., 83 e sgg. Per le terre possedute da Cava v. AD, I, n. 84 e tav. n. 4.

19. Cfr. D. Winspeare, op. cit, pp. 17-20. Secondo la dottrina, il feudo imponeva al feudatario vari obblighi verso i vassalli (rispettare i loro diritti, provvedere alle cure pubbliche, non chiedere prestazioni gratuite), che invece furono costretti a diverse servizi.

20. In AD, I, n. 1 si pone il rinnovo della concessione normanna, fatta da Federico II all’episcopio di Salerno, che esplicitamente proteggeva le acque e le rive dei fiumi delle terre sottoposte alla giurisdizione episcopale (tra queste quelle del rivus-siccus-saltera e dell’Irno), perché qui si svolgevano le attività artigianali legate alle pelli e alla lavorazione della lana.

21. AD, I, n. 31.

22. V. la parte terza in questo studio.

23 Cfr. AD, I, n. 18. I documenti angioini permettono di seguire il pagamento di questa tassa annuale solo in alcuni anni (1276-1277, 1281, 1285, 1290). Le rate a Solofra scadevano a dicembre, a marzo e ad agosto, secondo l’antica tripartizione longobarda.

24. Cfr. AD, I, nn. 11, 14-21, 23-24, 27, 29.

25. Ibidem.

26. Cfr. Ricca, II, 245-246. Riccardo ebbe dal re il permesso di riscuotere tale sovvenzione per il matrimonio di sua sorella Angela con Bernardo Caracciolo.

27. Castellabate, che, ribellatasi agli Angioini, si era data alle forze aragonesi, fu riconquistata da Tommaso Sanseverino che fermò l’avanzata dei rivoltosi (Camera, II, p. 5; CDS, II, p. 311; De Lellis, II, p. 45; Reg. Ang., f. 7, M, vol. XXXVIII, p. 38).

28. Cfr. CDS, II, p. 195.

29. I Registri angioini fanno conoscere il contributo dell’Universitas di Solofra a questo conflitto, dato direttamente o insieme ad altre comunità: il pagamento di una tassa per le milizie impegnate nella difesa del Principato (AD, I, n. 16) attraverso il suo feudatario, Arduino Filangieri, di un tributo per la costruzione delle navi necessarie per l’impresa (Reg. ang., M, XXIV; De Lellis, II, p. 775), di uno per la fornitura di legname per le galee attraverso Pietro Salerno che trasportava tavole a Salerno (CDS, I, 354); l’invio a Capua di oltre 600 barili (Reg. ang., 5, f. 76, F, XXX, p. 7), la raccolta di animali e di uomini (Reg. ang., F, XXX, p. 96, n. 294); il versamento al Sanseverino, nell’agosto del 1289, della rata dei fiscali (Reg. ang., 50, f. 160) e l’anno appresso di un supplemento della sovvenzione generale (AD, I, n. 23); l’aggravio nel 1292 delle paghe per le milizie che prestavano servizio per la difesa del Giustizierato (1 oncia d’oro e 15 tarì al mese per ogni cavaliere e 18 tarì per ogni fante) nella misura di 2 fanti e un cavaliere (AD, I, n. 25), nello stesso anno l’invio di 10 balestrieri per la difesa di Castellabate (AD, I, n. 26), e nel 1298 il pagamento di un fante per ogni fuoco (Camera, II, p. 9). Cfr. pure C. Minieri Riccio, Il regno di Carlo I d’Angiò dal 1271 al 1272 e dal 1273 al 1283, Napoli, 1874 e 1875.

30. CDS, I e II, infra. L’impianto in territorio solofrano di famiglie provenienti dal Cilento è dimostrato dal toponimo la celentana (o a li celentani) attestato già nel 1257 (AD, I, n.2). Vale la pena ricordare che il rapporto tra Solofra e l’ampia area cilentana è stato individuato già nel periodo longobardo-normanno con il fondo Corneto di una famiglia proveniente dall’omonimo centro presso Capaccio (cfr. De Maio, pp. 88-89 e 126) come era avvenuto per i de Corneto di Salerno e quelli di Giffoni.

 

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2. Solofra nel Mezzogiorno commerciale del primo periodo angioino. La traccia della consistenza socio-economica della società solofrana, che si coglie nella specifica dei redditi del Filangieri e che è in perfetta linea con quella che emerge dai 54 capitoli degli Statuti antichi dell’Universitas, conferma il quadro che della stessa si ha nel periodo longobardo e in quello normanno-svevo, i cui elementi ora si evidenziano con contorni più netti31. In definitiva si può affermare che la distribuzione delle colture, l’attività economica e sociale, ed anche l’insediamento sul territorio - si vedrà tra poco - mantennero i caratteri di fondo precedentemente individuati in una evoluzione senz’altro lenta, ma costante. Di una società cioè ristretta in un piccolo spazio ma che dal suo patrimonio agro-silvo-pastorale traeva i mezzi per proiettarsi sempre più intensamente nel più ampio territorio verso cui dirigeva ormai da tempo i suoi interessi.

Ci si riferisce all’entroterra salernitano su cui a nord-nord-est sbocca non solo geograficamente la conca di Solofra, dal quale ha avuto stimoli e al quale ha dato risposte in quel processo di interrelazione feconda che ha costituito il rapporto montagna-pianura in questa zona della Campania32.

I possessores, i padroni cioè di terre e di attività, dei quali anche gli Statuti solofrani danno una chiara conferma, potettero esistere solo perché c’era questa proiezione, c’erano cioè gruppi che continuavano a riversare i propri prodotti sulle strade del commercio che, anche se difficili e pericolose, anche se in una mercatura ristretta, giungevano a due importanti punti di smercio del sud, Salerno e la Puglia.

Salerno era ancora il punto mercantile più importante di tutto il meridione, anche se cederà il posto a Napoli, divenuta con gli Angioini la capitale del Regno. Essa ora beneficiava di una fiera di 15 giorni a settembre, che, concessa da Manfredi (1259) insieme all’ampliamento del porto33, fu protetta dai nuovi re che si preoccuparono di venire incontro alle difficoltà del commercio di allora. In particolare Carlo II, che fu principe della città, la favorì prorogandola di vari giorni per farvi partecipare i mercanti impiegati nei lavori dei campi34. Intorno ad essa si ebbe l’evoluzione della mercatura che, inizialmente legata alle attività del territorio - il mercante era allevatore, contadino ed artigiano che nei giorni di fiera lasciava i lavori - , diventò gradatamente più autonoma, anche se non specifica, passando attraverso o avendo il sostegno dell’attività viaticale, che si faceva più intensa proprio nei periodi di fiera. I mercanti furono protetti in vari modi: con l’istituzione di servizi di ospitalità ad opera dall’episcopio che aveva la gestione della fiera35, con servizi di trasporto e di controllo dei luoghi adiacenti e delle vie di accesso alla fiera, e attraverso un’attività di pattugliamento che si estendeva ad un’ampia area e durava tutti i giorni dedicati al commercio. In questa generale partecipazione ebbero un ruolo di primo piano tutte le Universitas interessate, non solo perché su di loro cadeva il peso dei servizi, ma perché quei giorni venivano protetti anche da una specifica legislazione locale.

Intorno a questa fiera si coagularono gli interessi delle famiglie più cospicue di Salerno, che ne avevano dall’arcivescovo la gestione - il potere di far allestire "logias, pergulas, apothecas" e in quei giorni tenervi "tam mercatores quam tabernarij et alij artifices"36 - e si irrobustì una compagine sociale artigiano-mercantile, che aveva i tentacoli nelle zone del suo bacino di utenza. La città era infatti il centro propulsore di una fitta rete fieristica che, raccogliendo i prodotti delle terre, li convogliava in quel mercato, e della quale fecero parte le fiere di S. Severino e di Montoro, entrambe a loro volta al servizio delle zone vicine. La prima precedeva la grande fiera salernitana di settembre - cominciava l’8 settembre - e già verso la fine del secolo (1286) era uno dei suoi principali fornitori, luogo di raccolta e di distribuzione delle derrate, tanto che nel 1303 ne fu ampliata la durata ad 8 giorni37. Questo centro mercantile direttamente legato a Salerno e favorito dalla sua posizione di raccordo tra il bacino del Sarno e quello dell’Irno si confermava come nucleo del traffico mercantile minore. La seconda fiera, quella di Montoro, concessa nel 1301 e della durata di dieci giorni, si teneva ad agosto ed era sostenuta da un mercato settimanale che accoglieva i prodotti del circondario38. Qui come nell’altro centro c’era il magazzinaggio o fòndaco, un luogo dove si raccoglievano le merci, se ne stabiliva il prezzo e si pagava il dazio e dove deve configurare un forum, con le botteghe che accoglieva i prodotti del circondario e da vendere, ma che anche conservavano quella invenduta in attesa del loro trasferimento verso altri punti di smercio.

In questa attiva pianura alle porte di Salerno, dove sbarcava il commercio con la Puglia e dove convergevano intensi movimenti di mercanti, un traffico pesante e leggero di prodotti trasportati a piedi o a dorso di animali, c’erano transazioni di merci povere, come le granaglie, ma anche - con i mercanti fiorentini e genovesi - di merci ricche, come pelli, panni lana, oropelle - , tutti prodotti che fornivano le attività del circondario. C’era insomma una intensa attività che richiamava l’investimento di capitali di mercanti-banchieri ebrei e di ricchi possidenti39.

Se si tiene presente che Salerno avrà anche un punto fieristico a maggio si individua in questo vivo hinterland un continuum, anche temporale, che risponde alla caratteristica della mercatura di questa area, già individuata nel periodo precedente e definita "di raccolta", e cioè di un’attività mercantile fatta di piccoli passi che portava i prodotti alla fiera più grande; e si individua una ragnatela mercantile sempre più fitta, che viveva tutto l’anno, alimentata dai mercati settimanali che si tenevano in questi centri fieristici. E c’era un continuum anche produttivo, un flusso di merci e di prodotti artigianali non solo della stessa pianura ma anche dei monti che la circondano, che lentamente, ma incessantemente, seguendo i ritmi stagionali, convergeva verso la città40.

In questa area così intensamente commerciale, da una parte in comunicazione con la vivacità dell’agro sarnese-nocerino e dall’altra con l’operosità della valle dell’Irno, si può individuare una conurbazione produttiva intorno all’industria armentizia che andava da un diffuso allevamento di animali, alla lavorazione della carne salata, alla produzione e manifattura della lana, all’industria dei cuoiami.

Essa esprime l’impronta produttiva qui individuata fin dal tempo dei Normanni, quando tra Salerno e le aree di S. Severino-Giffoni si era creato un polo per la lavorazione dei prodotti dell’allevamento - lane, pelli, carne salata - sostenuto da Federico II con diverse concessioni alla comunità salernitana e al suo arcivescovo, che favorirono la creazione di un monopolio di tale produzione, agevolato dal fatto che tutta l’area era stata sotto la gestione di un unico feudatario, quello di Giffoni41.

Salerno tra l’altro ebbe, unica dopo Napoli, il jus sulla produzione dell’oropelle, l’arte di impreziosire con l’oro le pelli, il che dette un ulteriore impulso all’industria armentizia e pose la città al centro di una forte richiesta della materia prima - la pelle conciata - per realizzare questo prodotto di pregio diretto anche in oriente e verso il nordafrica42. Nella città perciò si era formato un sostanzioso gruppo di artigiani, dediti esclusivamente alla lavorazione della lana e della pelle anche con modalità diversificate, che si aggiunse a quello, pur consistente ed attivo, costituito dagli Ebrei, che nella giudaica salernitana avevano un centro di concia43. Gli Ebrei di Salerno avevano esteso la loro attività anche fuori la città lungo i corsi dei fiumi - l’Irno e il flubio-rivus siccus-saltera - le cui acque e le cui rive erano, come si è visto, protette perché sottoposte alla giurisdizione vescovile e dove si spostarono quando furono cacciati dalla città44. Se si considera, come si è detto, che a Solofra le terre vescovili della pieve erano poste lungo il flubio, che sarà il centro dell’attività conciaria solofrana, si trova il giusto legame anche territoriale che collega l’artigianato salernitano con quello solofrano e che è in linea con l’emigrazione artigiana da Salerno che costantemente in questo periodo interessò Solofra45.

Un altro punto di sbocco dei prodotti solofrani fu Cava, anch’essa gravitante sulla pianura che si sta considerando, sotto la cui giurisdizione cadevano alcuni fondi di Solofra - posti nella maggior parte lungo il torrente cantarelle fin sotto Turci - alcuni dei quali affidati fin dal tempo della feudataria Sarracena alla protezione della grande Abbazia46. I ricchi prodotti di queste terre, tra cui la carne salata e le pelli, affluivano facilmente ai porti cavesi di Vietri e di Cetara, anzi in questo periodo si assiste a diversi tentativi di usurpazione ad opera dei concessionari, che si spiegano col fatto che anche Cava era oggetto di gelosie da parte degli altri centri di smercio e della stessa Salerno47.

È utile sottolineare che tali contrasti erano espressione proprio del "localismo" che caratterizzava il commercio del Meridione, trovavano infatti facile alimento nella parcellizzazione del "subsistema di comunicazioni" con cui esso si esplicava e di cui parla il Galasso48. Nell’entroterra salernitano, proprio perché questo avveniva intorno ad un centro vitale e di caratura internazionale come Salerno, sarà uno degli elementi degli sconvolgimenti del XIV secolo.

Alla fine del XIII secolo si intensificò un altro fronte per il commercio solofrano, quello creato dalla divisione del grande Giustizierato di Principato e Terra beneventana, che rispose ad un’esigenza, fortemente avvertita durante il corso della guerra del Vespro, di creare cioè una più diretta e specifica amministrazione nelle zone fortemente provate dal conflitto, ma anche di assicurare un collegamento tra le due aree pianeggiati del Tirreno e quelle dell’Adriatico, le due piazze più importanti del mercato meridionale49.

La Puglia era infatti uno dei principali mercati del meridione, dove avevano le basi i veneziani che fin dal tempo dei Normanni avevano istituito vere colonie con la possibilità di eleggere propri consoli titolari di poteri amministrativi e giudiziari, e che nei porti godevano parecchi privilegi mercantili. Qui si era istallato anche il commercio fiorentino che raggiunse punti alti di transito, innestando con i veneziani una lotta economica che giovò alla regione e ne rinforzò i centri commerciali50.

Il rapporto con questa area fu favorito dalla costruzione della strada che da Salerno, attraverso il passo di Forino, portava in Puglia, alla quale gli Angioini dettero il ruolo di raccordo e di direttrice del traffico mercantile e che considerarono nodo commerciale di estrema importanza. Su di essa fu istituita la dogana di Atripalda, nonostante quella vicina di Avellino, che provocò la convergenza su questa cittadina dei prodotti di tutta la valle del Sabato e dei suoi monti circostanti e confermò, mettendolo in risalto, il risvolto economico che l’operazione politico-militare della divisione del Giustizierato aveva determinato51.

Solofra, dunque, attraverso la ricca valle del Sabato, vedeva intensificato il rapporto con i mercati della Puglia, dove, a Barletta e a Trani, c’erano altrettante fiere anch’esse legate alla ricca rete fieristica del resto della Puglia. A Barletta, che era uno dei mercati più attivi della regione e dove c’era una fiera internazionale, a Trani, che aveva una fiera ad agosto ed una a novembre e a Manfredonia giungevano i mercanti ragusei di argento e di pelli, e vi risiedevano per vari mesi durante i quali intraprendevano rapporti commerciali per raccogliere i prodotti del loro commercio52. Con questi tre centri di commercio Solofra ebbe stretti rapporti non solo attraverso i suoi mercanti ma anche con posti fissi di vendita53.

Bisogna fare una considerazione circa la costituzione del Giustizierato di Principato a serris Montorii citra Salernum e di quello di Principato a serris Montorii ultra Salernum - il cui confine passava sulla pianura tra Rota e Montoro includendo Forino e Montoro superiore con Solofra nel Principato Ultra - e dire che essa non salvaguardò l’integrità dell’hinterland salernitano infatti la pianura fu divisa dalla sua zona pedemontana54. È vero che, data la natura non doganale delle due province, questo hinterland, che aveva costituito e costituiva un’unità integra con la città, continuerà a restare unito e gravitante su di essa come lo sarà anche nell’ambito diocesano55, ma è vero anche che la divisione, tranne qualche ritocco, divenuta in seguito amministrativa, ha creato senz’altro un forte contrasto tra il territorio e la sua storia56.

Il commercio solofrano dovette fare i conti in questo periodo con la pericolosità delle strade infestate dai predoni, tanto che l’Universitas dette il suo contributo, con 3 once, ad un servizio di pattugliamento - si è nel 1271 - sulla strada che da Montoro attraverso Turci portava ad Atripalda affidato ad una squadra di fanti al servizio di Eliseo Serra57. La situazione era tanto grave nella pianura di S. Severino che Carlo I emanò disposizioni particolari per catturare "i ladri e i malfattori" che la infestavano58. Si può dire che quello della difesa delle strade dovette essere, per un centro che aveva bisogno della mercatura, quasi una tassa, se anche qualche decennio dopo si trova Solofra costretta al pagamento di uno stipendio per la squadra impegnata nella difesa delle strade contro i latrones59.

Bisogna infatti tenere presente che la viabilità nel periodo angioino si era fortemente ridotta. Molte strade erano utilizzabili solo stagionalmente per la presenza di paludi e di smottamenti e per la carenza di manutenzione, il che limitava la sicurezza e trasformava il viaggio in "un’avventura imprevedibile" resa ancora più pericolosa dai predoni. La guerra del Vespro infatti favorì il proliferare "di bande di grassatori, di predatori, di ladroni che assaltavano e spogliavano dei loro beni pellegrini e mercanti"60 tanto che è proprio in questo periodo che si può cominciare a parlare di brigantaggio, come fenomeno prodotto da gruppi armati che prenderà maggiore consistenza nel secolo seguente61.

Anche i porti, favoriti come alternativa alla insicurezza delle strade, diventarono insicuri per le incursioni dei corsari, per combattere le quali furono armate vere e proprie flotte. E pure per quest’altra piaga del commercio angioino fu necessario gravare le Universitas interessate al traffico, cosa che naturalmente avvenne anche per Solofra62.

Intanto nel Regno angioino erano state immesse le nuove monete volute e fatte coniare da Carlo I al cui cambio partecipò, nel giugno del 1276, anche Solofra che inviò nella sede del Giustizierato un notaio e dei testimoni per ricevere le monete da dividere tra gli abitanti e in cambio dette oro per un valore che superava i 300 carlini63.

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31. Cfr. De Maio, pp. 83 e sgg. e la parte terza.

32. Per seguire in che modo l’entroterra salernitano ha definito la storia precedente di Solofra v. De Maio, pp. 29 e sgg. In questo studio si è dimostrato lo stretto legame tra Salerno e la sua pianura di riferimento, della quale la zona a nord-nord-est ha costituito un vitale e vivo enclave in cui si è realizzato più intensamente il rapporto tra la pianura e la montagna citato dal Galasso (Moltivi, permanenze e sviluppi della storia regionale in Campania, in L’altra Europa, Napoli, 1972). Tale rapporto per Solofra è stato individuato e dimostrato a partire dal periodo successivo alla guerra greco-gotica (535-555).

33. Cfr. AD, I, n. 3. La concessione, con la libertà da tributi di dogana "et omni alio iure", agevolava il commercio verso questo centro mercantile.

34. Cfr. Crisci, I, p. 317 e G. Paesano, III, p. 122-125. Tale esigenza mette in risalto la figura del mercante solofrano - agricoltore e insieme artigiano - individuata nel periodo longobardo-normanno (De Maio, pp. 29 e sgg).

35. Cfr. Crisci, I, p. 317. Si consideri l’importanza di questa gestione per il commercio solofrano ancora in gran parte legato all’episcopio salernitano (v. anche De Maio, pp. 78-80 e 97-100).

36. G. Paesano, III, p. 286, e pp. 283 e sgg. La fiera era nata nella platea de Santo Laurentio in un luogo di proprietà della Mensa episcopale ed era stata posta sotto la protezione di S. Matteo, quindi sotto il patrocinio e in condizioni di privilegio della chiesa salernitana che la gestiva e la amministrava (Paesano, III, pp. 122-125). Carlo I poi riservò solo alla mensa la costruzione delle apoteche, Carlo II ne consolidò le prerogative (cfr. C. Carucci, Un comune nel nostro Mezzogiorno nel Medio Evo, Subiaco, 1945, p. 252).

37. Cfr. Camera, II, p. 98 e n. 1.

38. Cfr. AD, I, n. 35. Il mercato, che si svolgeva nella piazza del castello, si teneva ogni mercoledì, la fiera invece nel giorno di S. Stefano di agosto. Vale la pena considerare come le fiere si riferissero sempre a festività religiose, poiché la chiesa serviva da richiamo ma anche faceva da protezione a questa attività preminente delle comunità.

39. Cfr. G. Yver, Le commerce et les marchands dans l’Italie mèridionale au XIII et au XIV siècle, Paris, 1903, p. 62 ; M. A. Del Grosso, Un’azienda feudale: il patrimonio della chiesa salernitana nel sec. XVI, in "Rivista Storica del Sannio", 1995, pp. 29-119; Caggese, I, pp. 93, 280-309; II, pp. 299-300..

40. In De Maio, pp. 78-80 e 97 e sgg c’è in nuce tutto questo.

41. In tal senso si erano mossi tutti gli interventi dei re Normanni che permisero di convogliare le lane e le pelli sul mercato di Salerno fino a che queste due attività furono poste sotto la tutela dell’episcopio salernitano (Cfr. De Maio, pp. 61 e sgg. e 75 e sgg).

42. Cfr. De Maio, pp. 77-78). Vale la pena citare che si ha testimonianza di argenti lavorati da mercanti fiorentini fin dal 1289 (Reg. Ang., F., 33, p. 141).

43. Cfr. A. Marongiu, Ebrei a Salerno nei documenti dei secoli X e XIII, in ASPN, 1937 ;T. Tamassia, Stranieri ed Ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana alla sveva, Venezia, 1904; A. Milano, Storia degli Ebrei in Italia, Torino, 1963.

44. Cfr. Reg. Ang., F., 40, pp. 72, 73, 84. La cacciata degli Ebrei risale al 1291 quando fu distrutta la Sinagoga ma essi continuarono ad essere protetti visto che anche Carlo I ebbe bisogno dei loro prestiti (Camera, I, p. 33).

45. In un "notamento ritrovato nelli Regii registri" tra le più antiche famiglie del Regno esistente presso la Regia Corte erano nominate descritte di Solofra, nel 1329 trenta famiglie, della quali si hanno le prime (Fasani, Petroni, Maffei, Giliberti, Ronca, Vigilante, Iaquinti, Giuliani, Guarini, Federici, Papa, Grimaldi, Landolfi, Troise, Buongiorni, Morenio, Lettieri) che mostrano la consistenza della società locale ed anche il suo legame con la realtà economica del primo periodo angioino. Per l’origine e le caratteristiche di queste famiglie v. parte quarta, par. 6.

46. Cfr. De Maio, pp. 65-66 e sgg,, pp. 119-122. Vale la penna ricordare che le terre dell’Abbazia godevano di esenzioni e privilegi.

47. Cfr. AD, I, n. 6 dove si parla di una causa intentata da Cava contro un tentativo di usurpazione da parte di Nicola di Solofra nel 1272. Per la discordia tra Cava e Salerno v. Camera II, pp. 55-57. V. pure AD, I, n. 30.

48. Cfr. G. Galasso, Il Regno... cit., p. 843.

49. Cfr. Camera, II, p. 74 e G. Galasso, Il Regno..., cit., pp. 843 e sgg. Poiché il Regno angioino non ebbe un’amministrazione provinciale, i Giustizierati ebbero solo carattere giudiziario non doganale né ecclesiastico. Le individualità invece erano costituite dalle città, dalle famiglie feudali, dai conventi e dai monasteri per cui la vivacità delle provincie dipendeva da queste realtà in esse presenti (ibidem).

50. G. Luzzatto, Storia economica d’Italia, Roma, 1949, pp. 225- 301.

51. La dogana fu istituita nel 1320 da Romanello Orsini, signore di Atripalda.

52. G. Luzzatto, Relazioni commerciali tra Dubrovnik (Ragusa) e la Puglia nel periodo angioino (1266-1442), in Storia economica... cit., pp. 153-206.

53. ASPN, 1892, p. 496, n.4. Le relazioni commerciali tra questi centri e Solofra sono chiaramente rintracciabili anche attraverso la vicenda dei Fasano (v. ultra).

54. G. M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Due Sicilie, Napoli, 1969, II, p. 338. La divisione del 1280 fu effettiva solo il 19 giugno del 1294 perché contrastata, tanto che nel 1289 Carlo II intervenne in due parlamenti ad Avellino e a Napoli per precisare l’esatta confinazione ed in cui fu creato un registro dei confini.

55. La diocesi di Salerno continuerà infatti ad inglobare in sé i territori di Solofra, Montoro superiore, Forino e Serino.

56. Se è importante che le divisioni seguono i profili morfologici dei territori lo è ancora di più per i profili storici che determinano le realtà socio-economiche dei territori, lo dimostra il fatto che in troppi studi, e quelli a carattere locale hanno una grande importanza per la grande storia, le vicende della storia di Solofra non sono viste nella ottica del suo hinterland di appartenenza togliendo molto ad entrambi.

57. Cfr. AD, I, n. 7. Nella disposizione decretata nel giugno del 1271 Eliseo del castello di Serra fu nominato custode dei passi e delle vie da Montoro ad Avellino attraverso Solofra e Serino, utilizzando il passo di Turci. Aveva ai suoi ordini 60 armati il cui peso fu diviso tra le varie Universitas interessate dalle strade. Solofra dovette darne 3, Serino 4, Forino 6. Si consideri la minima differenza tra Serino, con un territorio molto più ampio, e Solofra e trovare la ragione di ciò nel maggior traffico solofrano che pesava sulla strada.

58. Reg. ang., M, II, pp. 136-137.

59. Reg. ang., M, VI, p. 237.

60. Cfr. Caggese, I, pp. 380 e sgg.; G. Yver, op. cit., p. 61 e sgg. Fin dal 1321 si era creata una societas bannitorum che sotto la guida di un certo Ispanò si aggirava nei dintorni di Salerno (Caggese, I, p. 340) tanto che gli Angioini istituirono le corvée degli abitanti dei paesi interessati al problema.

61. Cfr. N. Cilento, Origini storiche e sociali del banditismo meridionale in "Archivio Storico per la Calabria e la Lucania", XLII (1975). Secondo il Cilento i primi anelli della catena delle lotte contro i baroni vanno cercati nel regno normanno infatti alla morte di Federico II le terre erano già percorse da gruppi nemici dei sostenitori di Manfredi, poi di quelli di Corradino e infine degli Angioini. Il banditismo come fatto sociale, come lotta contro le prepotenze, prosegue lo studioso, si ebbe al tempo di Carlo I che aveva consegnato l’economia meridionale ai mercanti fiorentini contro cui si mossero le bande armate. Fu infatti in questo periodo che il termine predones fu sostituito da quello di "bandito".

62. Cfr. CDS, I, pp. 354, 466-467.

63. AD, I, n. 12. Cfr. C. Minieri Riccio, Il regno ..., cit.

 

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3. Situazione abitativa a Solofra all’inizio del XIV secolo. La divisione del grande Giustizierato di Principato e Terra beneventana non aveva tenuto presente le aggregazioni ecclesiastiche infatti l’Archipresbiterato di Serino, in cui era inglobata la parrocchia di Solofra, continuò ad appartenere alla giurisdizione dell’episcopio di Salerno pur facente parte del Principato Ultra64.

La Chiesa di Salerno in questo periodo visse in una situazione precaria resa ancora più difficile dalla guerra del Vespro che pesò sulle sue fiorenti terre, sia perché anche essa fu tributaria alle esigenze della guerra65, sia perché le campagne furono percorse da bande armate le cui incursioni arrecarono danni considerevoli66. L’occasione più di tutto acuì antichi e nuovi contrasti che sfociarono in feroci lotte tra opposte fazioni del patriziato salernitano arricchito di elementi provenienti dalle zone di guerra. Ci furono feroci scontri tra laici ed ecclesiastici, che resero impossibile ripetutamente la elezione degli arcivescovi alla sede episcopale, e che portarono a prolungati periodi di vacanza, che neanche l’intervento della Chiesa di Roma riuscì a sanare. I prelati mandati da Roma lasciarono spesso la sede episcopale non riuscendo a prendere le redini del governo dell’episcopio, e le diocesi, abbandonate a sé, divennero teatro di abusi, usurpazioni, manomissioni di beni e di diritti spettanti all’episcopio con prevaricazioni di tutti i tipi, che ebbero gravi conseguenze e di cui si parlerà meglio più avanti67.

Per questo motivo negli Archipresbiterati salernitani, nel 1309, fu fatta un’inquisizione per accertare lo stato delle Chiese e le decime che esse rendevano. Ne nacque un documento importante da cui si può cogliere la situazione ecclesiale nel territorio di Solofra all’inizio del XIV secolo68.

Qui la pieve, diventata parrocchia di S. Angelo69, era retta dall’abbas Nicolaus domini Marini de Surrento ed aveva due cappellani "domno Besalacqua et Domino Consulo"70. Nel circondario parrocchiale di Solofra c’erano ancora le chiese di S. Giuliano, di cui era rettore "domno Coradus Taiabosco di Salerno e cappellano Roglerio de S. Giuliano"71, e di "S. Cruce", di cui era rettore l’abbas Nicolaus Marescalcus de Salerno e cappellano Tomasius de Marcualdo72. Il casale di S. Agata di Solofra, qui chiamato S. Andrea, aveva nell’omonima chiesa l’abbas Matheus de Protogiudice de Salerno e il cappellano Guglielmo di Solofra73.

Il documento mette in evidenza un aumento del clero nonostante la stasi demografica dell’epoca e fa considerare soprattutto l’immigrazione di elementi forestieri - era in corso la guerra del Vespro - tra cui, cosa più importante come si vedrà, provenienti dalla società salernitana ben tre sacerdoti. Questa tendenza emigratoria soprattutto da territori salernitani, dietro la spinta della guerra del Vespro, si riscontra anche nella popolazione civile. Importante è anche la provenienza dalla costa di Amalfi dell’abate di S. Angelo, che conferma il rapporto di queste terre con Solofra74.

Rispetto all’epoca normanno-sveva dal punto di vista ecclesiastico il territorio si è arricchito della chiesa di S. Giuliano. Il numero dei sacerdoti ed il loro grado indica che a Solofra è, all’inizio del XIV secolo, già in atto la pratica della istituzione nelle chiese di cappelle o altari con donazioni di beni o oblazioni su essi. Questa pratica, attuata per sfuggire alla morsa del fisco e favorita dalle concessioni che Carlo I aveva fatto al papato, dette inizio a quel processo che trasformerà le chiese in grandi proprietari esenti da tributi75. Il rettore, che era il titolare di lauti benefici anche in più chiese e in genere era un arcidiacono o un canonico del Capitolo o un qualsiasi presbitero, aveva l’obbligo di celebrare un certo numero di messe oltre a gestire il patrimonio di cui era responsabile, ma non aveva la cura animorum affidata al parroco, unico preposto a ciò nella chiesa parrocchiale. Perciò in un edificio sacro potevano esserci, oltre al parroco, diversi ecclesiastici "sine cura" ma con benefici di cappelle, e uno o più rettori76, cosa che si riscontra nelle chiese solofrane in questo periodo.

Il documento permette anche di definire la situazione abitativa di Solofra che si è evoluta ma non di molto rispetto a quella riscontrata alla fine del periodo normanno-svevo.

Si possono individuare due casali ben definiti, quello di S. Agata di Solofra, posto sulle pendici del Pergola-S. Marco e che si estendeva, inglobando il castello, fino al passo di Turci77 e quello intorno alla chiesa di S. Giuliano, di cui un sacerdote porta pure il nome, che dovrebbe essersi formato, comprendendo il Toro, in seguito all’ampliamento del territorio di Solofra a nord78.

Le altre due chiese - S. Angelo e S. Croce - , tenendo presente lo sviluppo dei casali due secoli dopo, devono considerarsi centri religiosi di un territorio abitativo, che si dispiegava sull’asse viario, che dalla ex pieve portava al Sortito o platea, il casale del commercio. Se si considera che lo scambio delle merci o la consegna al vetturale del prodotto che giungeva dalle concerie avveniva dinanzi alle chiese, dove queste venivano raccolte e protette, il primitivo forum solofrano può essere collocato nello spazio antistante la Chiesa di S. Croce, dove sboccava la via vecchia (poi cupa) proveniente dal casale delle concerie e diretta a S. Angelo79.

Per quanto riguarda il casale di S. Agata di Serino, posto tra il monte San Marco e la pianura di Montoro, si rileva la buona consistenza della chiesa - ben quattro sacerdoti di cui il rettore di Napoli e un presbitero di Capua80 - . Esso, pur facendo parte dell’Universitas di Serino, ebbe stretti rapporti con Solofra considerandosi un tutt’uno col restante territorio della conca. Persino i confini tra i due casali omonimi, in cui era stato diviso il grosso casale di Serino al di qua del Pergola-San Marco, non saranno mai ben definiti. D’altra parte in quei tempi non era raro che su uno stesso territorio gravassero due Universitas81.

C’è da sottolineare ancora un ampio territorio a confine con Montoro denominato, fin dal periodo manfrediano le celentane82, che si lega all’immigrazione di soggetti provenienti dalla distrutta Fasanella ad opera di Manfredi e comunque alla esistenza in loco di possessores provenienti dai centri pedemontani della piana a sud di Salerno.

Tra i cittadini di cui si ha menzione in questo periodo, oltre agli ecclesiastici citati, alcuni dei quali oriundi, si ha nota di un Pietro di Solofra di Giovanni. che nel 1259 possedeva beni al confine con Montoro e che era legato con contratti enfiteutici a Cava, cui si aggiunse, nel 1263, il figlio Nicola83. Altri proprietari sono Goffredo e Maria col figlio Riccardo, Nicola di S. Agata, Riccardo di Sorrento, che richiama il rettore di S. Angelo, Giovanni e Guglielmo de Fasana, che fanno risalire a questo periodo l’instaurarsi del ceppo tra Montoro e Solofra, e i Guarini, che danno il nome ad un possedimento (de li guarini) e che sono presenti a Solofra con un giudice, Maynerius, cosa che permette di collocare in questo periodo il trasferimento a Solofra, dalla zona di Ariano, di questa che sarà la più ampia famiglia locale84.

Si ha ancora menzione di alcuni notai solofrani, per lo meno due, Palmerio de Roberto, dichiarato da Carlo I idoneo ad esercitare il notariato e Nunzio de Auro che operarono in varie terre dell’Irpinia85. Ci sono poi gli zecchieri che lavoravano alla Zecca di Napoli, di cui si dirà più avanti.

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64. G. Crisci-A. Campagna, Salerno sacra, Salerno, 1962, p. 150. La Chiesa mantenne la divisione territoriale del periodo pre-normanno. Gli Archipresbiterati dell’episcopio salernitano erano aggregazioni di parrocchie che rispettavano quelle territoriali, come fu quello di Serino, centro di un feudo importante perché posto in una zona di confine. Per la situazione delle chiese di Solofra nel periodo precedente si rimanda a De Maio, pp. 58 e sgg., 83 e sgg..

65. CDS, II, p. 2.

66. CDS, II, pp. 235 e sgg.

67. Crisci, I, pp. 303 e sgg. Fu tale la serie di raggiri, intrighi e soprusi in cui furono coinvolti gli Arcivescovi che la sede di Roma fu costretta ad avocarne a sé la nomina (ibidem).

68. La parte del documento che interessa Solofra, che in quel periodo faceva parte del Archipresbiterato di Serino, è in AD, I, n. 36.

69. Per la storia di questa chiesa madre precedente a questo periodo si rimanda a De Maio, pp. 33-53. Qui vale la pena ricordare che nella ristrutturazione dell’episcopio di Salerno, fatta da Amato alla fine del XII secolo e resasi necessaria per l’aumento demografico di tutte le terre dell’episcopio, la chiesa era entrata a far parte dell’Archipresbiterato di Serino ed era diventata parrocchia.

70. AD, n. 36. Al rettore valeva 3 once cioè 180 carlini, i due cappellani invece avevano un’oncia ciascuno Nel 1338 sarà tenuta in beneficio da Pastorello de Ripa (ADS, Cartella Statistiche e Inventari)

71. Ibidem. Nel 1338 la chiesa sarà tenuta da Eduardo arcidiacono salernitano (ADS, cit.).

72. Ibidem.

73. La chiesa di S. Andrea è documentata nella parte alta di quello che allora era il grande casale di S. Agata fin dal 1195 (cfr. De Maio, pp. 126-127). Da considerare che nei documenti notarili, che sono più vicini all’espressione popolare, in tutto il XVI secolo non si riscontra mai la denominazione di "S. Andrea" data al casale di S. Agata di Solofra.

74. Anche nel periodo precedente è stato individuato il rapporto di Solofra con Amalfi e la sua la costiera (cfr. De Maio, pp. 78-80, 96-100).

75. L. Bianchini, Storia delle finanze del Regno di Napoli, Napoli, 1834 (Palermo, 1839), pp. 117 e sgg. I proprietari mettevano al sicuro i propri averi costituendo un jus patronato su di un altare che permetteva loro di ricevere un censo o livello.

76. G. Crisci- A. Campagna, op. cit., pp. 151-152.

77. L’estensione del casale di S. Agata fino a Turci è dato dagli atti del processo sostenuto dall’Universitas di Solofra contro quella di Serino (AD, I, nn. 62, 73, 124). D’altra parte la fortificazione di Solofra era collegata, attraverso Turci, al castello di Serino (De Maio, pp. 44-45 e n. 55 e qui la tav. n. 3).

78. La località di san Giuliano vecchio al toro dimostra che la chiesa di cui qui si parla era in questo casale, con una diversa collocazione dunque dalla omonima chiesa costruita successivamente nel casale Fratta, di là del vallone cantarelle, quando questo si formò.

79. Questo impianto è stato già individuato nel periodo precedente (cfr. De Maio, pp. 84 n. 9, 88-89 e n. 33, 99 n. 84).

80. Cfr. AD, I, n. 36. Per un utile confronto della consistenza di questo casale vale la pena considerare che a Serino si trovavano solo due chiese, S. Lucia e S. Lorenzo, che rendevano un’oncia, mentre il Monastero di San Francesco ne rendeva 7 (Ratiorum Decimarum, p. 419, n. 6131).

81. Negli atti notarili del XVI secolo (ASA, B6522 e sgg) non è infrequente il caso in cui una stessa località è detta ora in territorio di Serino e ora di Solofra. V. qui il par. 1 e ultra, il cap. IV, par. 1 e parte quarta, par. 1).

82. AD, I, n. 2.

83. AD, I, nn. 4, 5, 8. Alcuni documenti di Montevergine (AD, I, n. 22) e di Cava (cit.) permettono di seguire questa famiglia di possidenti tra Solofra e Torchiati.

84. Cfr. AD, I, rispettivamente nn. 2, 6, 33, 76.

85. AD, I, n. 10.

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Da M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra, 2000