23 novembre 1980
Un evento traumatico che provocò 30 morti e molte distruzioni e che creò le condizioni per lo stravolgimento urbanistico di Solofra
La conseguenza più grave è la distruzione di gran parte del tessuto storico
Cosa si poteva ricostruire e non lo si è fatto:
Le Cortine
Le antiche vie
e casali
Ecco cosa dice Luigi Guerriero:
Il Piano di Recupero, approvato con delibera consiliare n. 32 del 7 aprile 1982, previde la ristrutturazione edilizia del centro storico oppure la sua trasformazione, mediante un insieme di opere che hanno trasformato completamente l’organismo edilizio anche se era prevista la ricostruzione, in sito, parziale o totale degli edifici di interesse ambientale. In questo piano la “manomissione dell’autenticità materiale e figurativa degli immobili di valore storico, artistico ed ambientale è ulteriormente favorita dalle norme di attuazione del piano particolareggiato, con la previsione, per la manutenzione straordinaria delle ‘opere e delle modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali’ e della ‘integrazione di tutti gli elementi anche decorativi’ e la ‘eventuale sostituzione di elementi di serie dispersi o consunti o danneggiati […] con prodotti identici o analoghi’. E continua: “in presenza di definizioni tanto singolari è appena il caso di ricordare che lo scopo del restauro consiste nel conservare, trasmettendoli integralmente al futuro, i beni culturali, senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, salvaguardandone i valori estetici e testimoniali e proteggendone le condizioni ambientali”. Tali norme hanno favorito l’alterazione del tessuto tradizionale di Solofra con le mastodontiche conseguenze che tutti vediamo sullo stravolgimento della sua immagine e della sua struttura. Si è determinato così una grave estraneazione ambientale, che ha favorito la sostituzione del patrimonio edilizio locale con nuovi edifici progettati senza delineare preventivamente una organica struttura urbanistica |
Dice ancora il Guerriero per il Toppolo, l’antico rione delle concerie:
Il
furore demolitore che nell’ultimo decennio ha travolto i resti materiali della
civiltà locale ha sinora risparmiato del tutto
fortunosamente il polo manifatturiero la cui salvaguardia assume a fronte
delle radicali sostituzioni edilizie prefigurate dal P. d. R., una drammatica
urgenza. I superstiti edifici
delle concerie, attualmente inutilizzati,
costituiscono senza dubbio un insieme ambientale di notevole valore, la cui
irriproducibile complessità di aggregazioni e strratificaziooni
legittima per l’intero complesso la definizione di monumento, ovvero di
testimonianza di un’evoluzione significativa; nozione quest’ultima
che, come esplicita |
Il Piano di Recupero fu
modificato da una variante nel 1984 dall’Architetto Marcello Petrignani che introdusse parametri urbanistici ancor più
favorevoli all’iniziativa privata e discutibili indicazioni metodologiche per
il risanamento ambientale.
La variante consentì, in caso di ristrutturazione edilizia - e fu questa la categoria di intervento indicata per la quasi totalità degli immobili del centro urbano e per molte concerie - l’incremento della superficie utile dei fabbricati ottenuta adoperando interpiani molto più ridotti di quelli preesistenti. Ciò rese estremamente conveniente la demolizione |
Riguardo all’architettura minore, il piano osservava che erano “profondamente mutate le condizioni sociali che originarono quel tipo di organizzazione spaziale” e considerava prioritario l’incremento “delle superfici funzionali dell’alloggio” e la “trasformazione strutturale, con il passaggio da una struttura in muratura ad una in c. a. antisismica”, per cui riteneva non praticabile il suo restauro.
La variante riproponeva i caratteri preesistenti all’evento sismico e alle successive demolizioni ma nel contempo, entrando in contraddizione, riproponeva “il rispetto delle vigenti norme antisismiche nonché delle attuali modalità costruttive e delle tipologie funzionali ormai acquisite dagli standard della vita contemporanea”.
Quindi individuava nel tessuto edilizio tradizionale alcuni elementi (portali, finestre, ecc) il cui reimpiego avrebbe dovuto garantire la conservazione “dell’ambiente antico”.
Vale sottolineare la inconsistenza estetica del processo di
identificazione del carattere di una città con alcuni elementi costruttivi e
funzionali di essa, astraendo dalla irriducibile complessità degli organismi
urbani. |
Ad una tesi così singolare fa seguito la proposta di sostituire integralmente le strutture preesistenti, riutilizzando nei nuovi organismi in calcestruzzo armato le membrature lapidee delle vecchie fabbriche.
Tale indirizzo programmatico viene giustificato con l’inespliabile affermazione secondo la quale “è possibile parlare di rispetto dell’ambiente preesistente anche se questo è scomparso per demolizioni totali effettuate da tempo o per demolizioni che andranno a farsi a breve per realizzare quanto previsto dai piani di recupero”.
Sulla scorta delle ormai
consolidate acquisizioni in tema di salvaguardia delle
aree storiche, si sarebbe dovuto, invece, individuare nell’intero centro
storico l’oggetto della tutela, intervenendo in esso con le metodiche proprie
del restauro urbano.
Nel Piano Regolatore
Generale, adottato nel 1989, non è stato introdotto nessun positivo
apporto alla problematica della tutela delle aree di interesse storico e del
loro rapporto con le zone di nuova espansione. |
Per le concerie, pur
riconoscendo loro un elevato valore ambientale, il Piano accoglieva le
previsioni dei piani particolareggiati.
“Il rione Toppolo è
drammaticamente investito da una iperdimensionata
rete di nuovi assi viari. Partendo da uno svincolo autostradale, una strada di
grandi dimensioni dovrebbe occupare il vallone della Solofrana, trasformando il
torrente in un collettore coperto e salendo, con prevedibili nefaste
conseguenze sul paesaggio lungo gli scoscesi pendii ricoperti da boschi che
circondano il popolo manifatturiero. L’apertura di tre percorsi e la
costruzione di ampi parcheggi all’interno del
quartiere dovrebbe completare tale programma di infrastrutturazione
primaria, la cui realizzazione avrebbe, tra l’altro, negativi riflessi
sull’equilibrio idrogeologico della zona e delle sue risorse naturalistiche.
I risultati
della ricostruzione del centro storico solofrano mettono in risalto la scarsa
considerazione in cui sono stati tenuti presenti gli elementi preesistenti al
sisma.
Appare necessaria inoltre un’approfondita
conoscenza delle fabbriche, una indagine filologica
e critica condotta con i metodi propri della storia dell’architettura. Il
rilievo metrico e materico ad una scala di
dettaglio l’analisi delle tecniche costruttive concorrerebbero alla
determinazione delle fasi costruttive delle concerie
e fornirebbero plausibili argomenti all’impostazione di un vincolo
monumentale sull’intero quartiere. È legittimo infatti
individuare nell’insediamento solofrano un complesso “di cose immobili che
compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”
da tutelare nell’insieme con La pratica attuazione di un organico progetto di salvaguardia delle concerie può avvantaggiarsi della
vivacità economica del comparto industriale solofrano, che rende agevole
l’individuazione per essi di destinazioni d’uso compatibili con la rigorosa tutela
e che, insieme, rendono remunerative le iniziative di restauro da parte
dell’imprenditoria locale. La collocazione negli opifici dimessi di laboratori per la confezione di oggetti in pelle e dei relativi punti di vendita, di un piccolo museo delle tecnologie per la conciatura, arricchito da un repertorio di cultura popolare e da una sezione archeologica, delle sedi delle locali associazioni produttive e, infine, di uno spazio polifunzionale per lo svolgimento di manifestazioni culturali e di attività di promozione commerciale, reinserirebbe efficacemente il rione Toppolo nella dinamica sociale ed economica di Solofra. |
Da L. Guerriero, La conservazione delle concerie di Solofra e la pianificazione urbanistica comunale, in “Bollettino dell’Associazione per l’Archeologia industriale”. Centro di documentazione e ricerca per il Mezzogiorno, nn. 26-34, 1990-1992, pp. 33-38.
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