Tradizioni
solofrane
Tradizioni di Carnevale
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Un posto importante
tra le attività carnevalesche spetta alla Zeza, l’antichissima
rappresentazione popolare elaborata e fatta propria dal popolo irpino con il titolo di Canzone
di Zeza, che viene rappresentata nelle vie da gruppi misti di solofrani e
montoresi. È un vero pezzo di teatro popolare cantato
ed accompagnato da strumenti come le nacchere, i triccheballacche, i tamburelli.
Le nacchere sono nominate anche castagnette. Entrambi
i nomi appartengono alla tradizione campana. Un paio è detto maschio e l’altro femmina. Questo fatto ci riporta anche ad un’antica
simbologia corporea, secondo la quale il corpo umano, doppio in tutti i sensi,
è per metà maschile e metà femminile. I triccheballacche sono uno strumento campagnolo
composto da due martelletti che battono contro uno
centrale fermo.
I protagonisti sono
quattro: Zeza, la madre, una popolana che ha come preoccupazione
principale quella di far
“accasare” la figlia e di farlo all’insaputa
del marito, come succede in tante occasioni nella pratica della filosofia
napoletana dell’arrangiarsi. La donna, quando non c’è il marito, riceve in casa
l’innamorato della figlia, Vincinzella, un buon partito, un avvocato, Si’ Ronnicola.
Il marito di Zeza è Tate,
un uomo gretto, chiuso in una falsa mentalità puritana, che tiene la figlia in
casa impedendole di “praticare” con chiunque. Costui, ritornando a casa
all’improvviso, scopre i due innamorati, allora si abbandona ad una sceneggiata
minacciando di uccidere il giovane, ma alla fine si arrende e dà il consenso
alle nozze, solo, però, dopo aver riscosso una capace borsa di denaro. Resta
così il dubbio se sia stata tutta una messa in scena
quella dei due, per ricavare un guadagno prima del consenso al matrimonio.
L’amore, comunque, vince e il giovane pur amare liberamente la sua Vincinzella.
Tutta la
rappresentazione era condotta da soli uomini poiché
alle donne non era permessa l’esposizione al pubblico. C’è un capozeza che guida la rappresentazione a mo’ di regista, mantiene
rapporti con il pubblico e dà inizio, alla fine, alla sfrenata tarantella che
completa la rappresentazione.
Confronti.
I personaggi della Zeza napoletana sono gli stessi della Zeza
di Solofra per la diretta dipendenza dell’una dall’altra con poche varianti.
La
rivista napoletana delle tradizioni popolari, il “Giambattista Basile”, riporta
una definizione della Zeza napoletana e cioè “cantata vernacola... sul
gusto delle atellane che successero alle feste Bacchiche, alle Dionisiche e, quindi, ai fescenini
e alle satire. Trae argomento dagli amori di un Don Nicola, studente calabrese,
con Vincinzella, figlia di Zeza
e Pulcinella ...”
In Irpinia
Evidenti
concordanze si trovano invece nelle Zeze di alcuni centri della pianura
come
I presonaggi.
Tra i personaggi
spicca la figura di Pulcinella, un padre patriarcale caratteristico della tradizione
meridionale, che si pone come retto difensore dell' “onore”
della figlia.
Contro di lui c’è Zeza,
la moglie, a cui è demandata la cura della figlia. È lei che segue il crescere
la ragazza e che si avvede che ormai è in età da marito. La sua preoccupazione
di accasare bene la figlia è espressione di una mentalità caratteristica, che
vede nel matrimonio la "sola sistemazione" per una ragazza. Zeza è una popolana scaltra, ma anche ruffiana, che risolve
i problemi, anche economici, in modo, sembra, non sempre pulito. Non si sa se
sotto il letto ci fosse realmente don Nicola o don
Fabrizio, ma quel “nascondere” esprime sempre una situazione non
corretta. Nella Zeza solofrana il dubbio si chiarisce, poiché la donna dichiara
che se non era pe’ ’o si’ Ronnicola
jemme ’ncarcerati quindi don Nicola avrebbe pagato il debito, ma certamente
ad un prezzo non pulito se era nascosto sotto il letto. La superficiale
moralità della donna è confermata da un’altra sua espressione, quando, volta al
marito, che non vuole far uscire la figlia, ella dice ’a voglio fa’ scialane e cu ciento
’nammurati, cu principi, baruni
e cull’abati, ’nziemme cu e
surdati. È vero che ella sta in opposizione al marito e, quindi, in questa
ottica si potrebbe spiegare la frase, anche tenendo presente, che espressioni
iperboliche non sono rare, quando si vuol creare il contrasto. Ad un marito eccessivamente retrograde si oppone una moglie
esattamente l’opposto. Pur se così stanno le cose, l’aver scelto quell’iperbole è sempre segno di una morale superficiale.
Sulla personalità dei
due, specie nella farsa solofrana, cala un altro dubbio e cioè
che entrambi abbiano messo in scena l’alterco per costringere don Nicola, il
buon partito, a sposare la figlia, a pagare ben bene Pulcinella e a tenere in
casa i due suoceri. Il dubbio non si dissipa, sia pensando al carattere di Zeza, che tende ad uscire con un guadagno da ogni
situazione, sia considerando il generale atteggiamento di Pulcinella dinanzi al
denaro e alla prospettiva di n vitto assicvurato per
tutta la vita. L’ipotesi della messa in scena viene
avvalorata anche considerando la resa di Pulcinella. Nella Zeza
solofrana l’uomo si arrende solo quando il giovane gli
consegna un capace portafoglio. Nella altre Zeze è diverso il motivo di quella resa e cioè la
paura del fucile che prende il giovane o la schioppettata tra le gambe o
addirittura il ferimento (ma anche qui il dubbio del complotto non si
scioglie). Considerando ancora la situazione della famiglia il complotto appare
possibile: hanno la pigione arretrata, Vincenzella è senza dote, imparentarsi
con un dottore, che frequenta
Il terzo elemento di
questa famiglia è la figlia, Vincinzella, che nella versione solofrana è solo
una bella ed onesta ragazza innamorata. Un’ombra su di lei appare
quando afferma che per non stare dinanzi al padre ella se ne fuggirebbe coll’innamorato, ma l’affermazione è giustificata dalla
situazione in cui si trova la ragazza col padre ciecamente geloso di lei. La
stessa spiegazione vale per le altre Vincinzelle (o Porzie) che sembrano però più desiderose di
accasarsi e trovare un buon marito che fuggire dal padre.
Per le ragazze del
sud, e non solo nei tempi passati, sposarsi significava uscire dalla schiavitù
di genitori troppo possessivi, come trovare un mestiere, e, quindi, l’indipendenza.
Ecco spiegata l’affannosa ricerca del buon partito. Però dalla dipendenza dal genitore la povera ragazza sarebbe
passata a quella dal marito e, dopo i primi momenti, si sarebbe trovata nella
stessa situazione di scontro della madre col padre. Anzi essa già si nota nella
Zeza di San Potito, quando, siamo alla fine della
farsa, Don Nicola con un salto nel tempo, si lamenta dei polsini e del collare
sporco che la moglie non gli lava, cui Pulcinella risponde, difendendo la
figlia.
Mentre sembra allora
che alla fine della Zeza si concluda un contrasto tra
Pulcinella e Don Nicola-Vincinzella con la resa di
Pulcinella, invece se ne apre un altro in cui Pulcinella ha sempre contro Don
Nicola, ma questa volta con Vincinzella. La resa di
Pulcinella in effetti non è tale, poiché c’è una
nascosta vittoria del popolano napoletano sul Dottore in legge che si vedrà
esplodere nelle Zingarelle.
Nella logica dei mondo alla rovescia, di cui è espressione il Carnevale,
il mondo popolare, con l’unica ricchezza gratuita che possiede, la bellezza
delle sue giovani, vince sull’altro mondo, lo attira, lo sfrutta e ne trae
profitto. Il sogno popolare può realizzarsi nei magici giorni di Carnevale.
Anche da questa via
si può vedere il contrasto di Zeza contro Pulcinella
e Zeza-Vincinzella contro Pulcinella solo apparente, cioè frutto di una finzione. Il vero contrasto è con Don
Nicola ed esploderà a matrimonio avvenuto, come fa intravedere
Le Zingarelle solofrane |
Antonio Giliberti
nella sua nota sul Carnevale solofrano parla di delicate zingarelle composte da poeti
solofrani. Esse furono pubblicate da Michele Scherillo sul Giovanbattista Basile, la prima il 15
dicembre 1884, la seconda il 15 gennaio 1885, la terza il 15 marzo 1885. Lo Scherillo dichiara: pubblico
qui alcune farse rusticali carnevalesche, raccolte a
Solofra ed a me comunicate dalla cortesia dell’avv. comm. Luigi Landolfi,
solofrano. Vanno sotto il nome di Zingare e sui manoscritti ch’io
ho avuto tra le mani è indicato il nome del compositore e l’anno in che
ciascuna farsa fu composta.
Appartengono al genere detto la zingaresca e sono
rappresentazioni ispirate ai presagi d’inizio d’anno, infatti
contengono un elemento importante dei riti d’iniziazione: la previsione del
futuro. Inizialmente quindi facevano parte dei riti del Capodanno e la
previsione non doveva essere affidata alle zingare che vennero in Italia più
tardi, ma a qualche mago o indovina cui il mondo pagano spesso faceva ricorso. Poi nel processo di inglobazione che subì il Carnevale, anche questo tipo
propiziatorio entrò a far parte della grande festa carnevalesca di cui ora è
elemento costitutivo pur conservando il caratteristico metro proprio delle
profezie in rirna. Fiorirono nel cinquecento e grande fortuna ebbero nel seicento. Venivano
cantate ed anche ballate.
Le Zingarelle solofrane sono canti
carnevaleschi molto brevi rispetto ad altre farse dello stesso tipo che venivano rappresentate più volte nello stesso giorno in
diversi luoghi.
La zingara o le
zingare (nella prima ce ne sono due) predicono il futuro amoroso ad una ipotetica signora dinanzi alla cui casa si ferma il
corteo carnevalesco. La donna però non entra mai in scena, ma è idealmente
presente. A lei si rivolgono anche gli altri due soli personaggi della farsa,
un Dottore in legge e Pulcinella, che sono in contrasto tra di
loro. Questi due personaggi collocano le Zingarelle solofrane
nel filone drammatico. Inizialmente, infatti, la zingaresca aveva come unico personaggio,
la zingara, che dopo aver tentato di commuovere l’ascoltatrice raccontando la
sua storia, fa le lodi di lei e chiede l’elemosina.
Poi furono introdotti nuovi elementi, in genere un villano in contrasto con 1a,
stessa zingara e ciò generò il trapasso della zingaresca alla forma drammatica.
Le Zingarelle solofrane inglobano in sé però, un altro elemento presente
nelle rappresentazioni popolari e cioè il Contrasto per la mano di una ragazza.
Nel Contrasto ci sono due pretendenti che si scontrano per la mano di una
ragazza, alla fine un personaggio autorevole (capitano, sindaco, notaio)
assegna la giovane a quello dei due da lei preferito e quindi hanno luogo le nozze [...] Le variazioni ed amplificazioni
[...] sono date dall’intervento di una seconda coppia
(in genere i genitori di lei), dal buffone che inventa scherzi e intrighi
(Toschi).
Esse hanno una
struttura ben precisa nonostante la loro brevità, anzi questa le trasforma in
un vero gioiello di commedia carnevalesca.
Analisi
L’apertura è affidata
alla o alle zingare che dichiarano di essere venute da lontano spinte dalla fama della bellezza della donna di cui faranno
le lodi. L’intervento degli altri due personaggi è immediato, per cui subito la farsa si trasforma in contrasto che subito appare particolare, poiché tra i due personaggi
non c’è opposizione per-la-mano-di-una-ragazza, che è il tema ricorrente delle forme drammatiche di questo
tipo.
Ma c’è di più: il
contrasto nelle Zingarelle solofrane ha subito un’ulteriore trasformazione senz’altro dovuta alla realtà
sociale in cui l’opera nasce, comunque esso è al centro della farsa. Subito
appare chiaro, infatti, che il tema centrale è proprio l’opposizione tra il Dottore e Pulcinella. Così la maschera
napoletana ha inglobato in sé il ruolo del buffone
che inventa scherzi e intrighi, presente nei Contrasti, a cui s’è aggiunto
il ruolo dell’altro pretendente con una variante poiché egli
difende la ragazza dalle pretese del Dottore senza aspirare alla sua mano, con un significato ben
diverso.
Le zingare
intervengono di tanto in tanto nell’alterco poco partecipando direttamente,
costituendo invece quasi una pausa per rompere la tensione, ma anche per creare
un nuovo motivo di divertimento. Esse, infatti, esprimendosi in lingua lodano
la donna mentre i due litigano con espressioni anche
volgari. Si crea così un brusco stacco che provoca il riso, ma nello stesso
tempo acuisce l’interesse per il prosieguo dell’alterco. Altre volte questi
interventi servono a dare altro alimento al contrasto ma
sono sempre in opposizione al dottore, per cui in questi casi il contrasto
diventa di due persone (Pulcinella e Zingara) contro uno (dottore). Le zingare
hanno, quindi, una precisa funzione strutturale: di aprire la farsa, di
dividerla in parti con gli stacchi e di chiuderla. Infatti
la zingara adducendo l’ora tarda (I e III Zingarella) o il
cattivo tempo (II Zingarella), saluta gli astanti.
Nelle prime due Zingarelle il contrasto ha per argomento la richiesta di matrimonio da
parte del dottore per la ragazza, richiesta contrasta da Pulcinella e dalle
zingare, che dichiarano che il prescelto dalla ragazza non è il dottore. Nella
terza il contrasto si sviluppa su di un altro tema: questa volta il dottore
esprime tutto il suo disprezzo verso le donne, invece Pulcinella le difende.
Questo elemento è un’altra prova del fatto che al centro delle Zingarelle solofrane c’è il contrasto Dottore-Pulcinella. Ma alla fine
il tutto si compone nella prospettiva di una bella
mangiata o di un invito alla festa di nozze della zagazza.
Significato
e i ruolo dei personaggi
Nel contrasto, che è alla base
delle Zingarelle solofrane c’è l’eterna opposizione
tra il mondo dei poveri e quello dei ricchi tra il nobile ed il popolano. Pulcinella rappresenta il
popolo ridanciano, oppresso da un’eterna fame, costretto all’ignoranza, in
costante opposizione con la classe degli addottorati o dei ricchi divenuti
nobili, come il Dottore in legge che frequenta
Tutto questo è
chiaramente riscontrabile nelle tre farse in cui si individua
una sottile e penetrante satira al mondo dei paglietti, di quegli
avvocati di ventura di cui si fregiavano le famiglie dei nuovi ricchi
napoletani, che spesso non facevano carriera, ma che alimentavano un sottobosco
di traffici, liti, imbrogli e sbrogli, che erano divenuti la piaga della
società napoletana del sei-settecento. Lo stesso
dottore sottolinea questa sua realtà quando dice:
’N
corte se sta ’na cuccagna: faje
le carte ’mbrogliate c’abbuschi li denari - e statte buono |
al quale fa eco in altro loco Pulcinella:
Va facenno
contratte - a scapizzare!
Più volte
insultandolo
dottore alla moda
sottolineando questa realtà cosi diffusa a Napoli e così negativa da
diventare un insulto.
Nella logica del mondo alla rovescia, che il
Carnevale permette di realizzare, Pulcinella può mettere a
nudo le magagne del un mondo che ha sempre vinto e che ora invece viene
messo in ridicolo attraverso un personaggio, che è espressione della parte
deteriore del quella società.
E il Dottore è uno che usa in modo volgare la sua nobiltà, la sua
ricchezza, i suoi studi. Anche il linguaggio lo condanna, poiché mette a nudo la vera origine del paglietta. In effetti questo Dottore è un popolano che, arricchitosi, ha cambiato stato,
passando dall’altra parte e tradendo la sua origine.
La satira diventa
così sarcasmo feroce, espressione del risentimento di tutta una classe sociale,
che si sente tradita.
Questa
realtà era presente in larghe zone del Regno non solo a Napoli. In ogni luogo
ove fosse un tribunale, lì c’erano paglietti, legisti, scrivani di Vicaria. Solofra aveva una lunga
tradizione di uomini di legge che erano saliti ai più
alti ranghi della magistratura e dell’avvocatura. A Solofra si conosceva
l’evoluzione avvenuta in questa classe contaminata da una realtà che non certo
le dava lustro.
Il contrasto Pulcinella-Dottore si
configura così come un contrasto prettamente napoletano che non poteva trovare
riscontro nei Contrasti di altre zone d’Italia e spiega
come nelle Zingarelle solofrane esso abbia subito la
trasformazione indicata.
Il disprezzo di
Pulcinella è totale infatti egli rifiuta
categoricamente le offerte di guadagno che il Dottore gli propone come
intermediario con la ragazza:
Te
tengo ’n casa mia ed
io farraggio Uscia -
primo Decano. 0 puro
pe’ scrivano te
porto ’n Curia Magna Tabbusche la foragna e stai
da ommo! |
Il rifiuto non è
compreso dal Dottore poiché deve molto costare a chi,
come Pulcinella, è tormentato da una paurosa miseria. Ma
in quel rifiuto si legge l’orgoglio di tutto un mondo che difende l’onore delle
sue donne. Ecco l’altro ruolo ricoperto dalla maschera
napoletana nel contrasto col dottore. Il ricco, il nobile crapulone, il
dongiovanni per divertimento, non deve approfittare del suo stato per attentare
al buon nome delle belle popolane. Quella bellezza è l’unica ricchezza che ha il
popolo, una ricchezza gratuita che esso, però sa
apprezzare, perciò preferisce soffrire la fame, che accondiscendere ai bassi
desideri dei signori. Quanti don Rodrighi ci sono
stati nel napoletano! Questo ruolo, così denso di significato sociale, che scopriamo
in Pulcinella non viene tradito neanche nella Zeza
come si è visto. Ma il paglietta della Zingarella è diverso da quello della Zeza, perciò da
condannare più fortemente.
In questa
azione si affiancano a Pulcinella le zingare le quali dichiarano:
Deh, sciocco, vanne altronde,
Non sei prescelto, il vago,
Altri è di quell’immago - il possessore.
e l’altra zingara:
Il sovran
Facitore
per
quanto io ben discerno
con
suo decreto eterno
altri
ha prescelto.
Nella seconda Zingarella essa dice:
Stolto!
Deh! Vanne via
Tu
l’eletto non sei
Altri
scelsero i Dei - di lei ben degno.
Anche il Cielo scende in campo nella difesa della ragazza, anche gli dei
sono contro il Dottore. Il destino, che non si può cambiare,
che incombe su tutti ricchi e poveri, nobili e plebei, una volta tanto, nella
finzione, si configura amico. Le zingare, quindi, esprimono il desiderio
di sconfiggere il destino nemico e ribaltare dall’altra parte l’inimicizia.
Esse aiutano la vittoria del bene sul male, che sono i
due elementi presenti nei Contrasti, solo che nel napoletano il bene e il male sono di natura
sociale.
L’analisi del
personaggio Pulcinella non sarebbe completa se non si sottolineasse
una caratteristica generalmente assegnata alla maschera napoletana che è
presente anche nel Pulcinella solofrano e cioè la sua eterna fame. Non
interessano a lui l’oro, l’argento del ricco, obolo chiesto dalle zingare ma:
pane e
presutto
ca so’ proprio - allaccato da la famma
Più avanti Pulcinella
dice:
Va curre
a la respensa
’ignice na
credenza - e portancella
e poi:
Va, bella, a
la despensa
pigliace robba
assaje ...
e nella seconda Zingarella:
Va, curre,
nun tricare
portame robba assaje
ca accussì stutarraje - la famma mia.
Pulcinella è anche un
popolano non stupido, dalla risposta pronta, arguta e
pungente. E pure questa caratteristica è presente
nelle Zingarelle. Al Dottore che chiama in causa i
grandi autori da lui studiati per giustificare la sua ricchezza e la sua
posizione che gli permettono di avere ogni cosa:
Bartolo, Giustiniano,
Grozio,
Ugone, Graziano, - anco Gravina,
de
sera e de mattina
studeo pe’ corre ’ncorte.
E m’abbusco
pe sciorte - li denari.
Perzò
cosa me pare
degna
de me chella
Date mihi
poella e l’ avuto ’o riesto
egli, non lasciandosi intimidire da quei nomi e da quel latino,
argutamente fa eco:
Cride ca co' sto tiesto
aje fatto lo negozio?
Tu saie che dice Grozio? - Oje cca
nce abbusche!
Il suo linguaggio è
quel dialetto napoletano pieno di immagini meravigliose, locuzioni bizzarre e frasi
metaforiche, di espressioni pungenti che in
bocca a Pulcinella non riesce volgare, lo diviene, invece, in bocca al dottore
che lo usa di tanto in tanto e costituisce la rivelazione che egli a quel mondo
appartiene da cui si è distaccato, e che di tanto in tanto appare soprattutto
sotto la spinta dell’alterco quando si allentano i freni imposti dal suo nuovo
stato.
I profondi
significati che emergono sembrano non poter avere luogo
in una farsa carnevalesca dove si scherza, si ride, si burla. Invece se si
considera il vero ruolo del divertimento carnevalesco quel significati appaiono
ancora più precisi e veri e quel riso si trasforma in
smorfia. La battuta deve provocare il riso, le situazioni devono
essere sollazzevoli altrimenti non si realizza la
prosperità della vita sociale che il Carnevale si propone.
Queste farse sembrano
finire in una situazione in cui si disincantano tutti i contrasti precedenti.
Al dottore ch’ella sciamma d’amore ’mpietto: s’ha botata in affetto
di mangiare (quella fiamma d’amore che aveva in
petto s’è tramutata in desiderio di mangiare) e lo stesso succede, nella terza Zingarella, quando di punto in bianco cambia opinione e quell’odio contro le donne, che prima lo animava si tramuta
in ammirazione per la ragazza tanto da chiederle perdono e da essere pronto a
fare le lodi della donna. Così tutto finisce a taralluzzi e vino e ci si può abbandonare alla baldoria carnevalesca.
Questi bruschi
cambiamenti non servono solo a trasformare il dramma in commedia a lasciare
tutti a cuor contento, ma prendono un altro significato se si considera che è
il solo dottore a subire queste mutazioni. Se allora
nelle prime due farse egli sembra accettare il verdetto divino con rammarico,
ma senza rancore così che piò strappare una qualche
commiserazione, nella terza Zingarella egli appare proprio come Pulcinella lo aveva insultato, un votabannera. Qui troppo facilmente egli passa da una situazione ad una
diametralmente opposta non facendo certo una bella figura. È vero allora che la
farsa deve terminare in bellezza, ma che termini con
un personaggio che diventa ridicolo è un’altra cosa, che ha il sapore di
un’altra feroce presa in giro.
Bisogna accennare per
concludere ad un confronto con alcune Zingarelle che si rappresentavano nelle zone limitrofe per
individuarne le differenze e meglio delineare le caratteristiche delle farse
solofrane. Prendendo in considerazione una Zingarella di Petruro ed una di Forino nel testo
pubblicato da Modestino Della Sala si nota che i personaggi sono due, Pulcinella e la zingara, in contrasto tra
loro per cui la farsa viene ad appartenere alla prima trasformazione avvenuta
nella zingaresca
con l’aggiunta di un villano che genera il Contrasto. Infatti Pulcinella risponde, con
mordaci battute alle parole della zingara, creando proprio con esse il
divertimento. La diversità con le farse solofrane è evidente.
In un
altra Zingarella riportata da Fiorella Greco
della tradizione orale di San Leucio del Sannio
vicino a Benevento il ruolo di Pulcinella è solo quello di divertire e rompere negli spettatori l’incanto determinato dal contenuto
del componimento con battute scherzose e talvolta licenziose.
Le Stagioni solofrane |
Antonio Giliberti
alla fine dell’ottocento dice che a Solofra si
rappresentavano le Quattro Stagioni, che egli chiama una lunga
pagina di mitologia, poiché accanto alla
personificazione di queste ce n’erano altre quali il Sole,
La
rappresentazione appartiene alle forme drammatiche popolari delle feste
d’inizio del ciclo annuale, di cui fa parte tutto il
Carnevale. Il Toschi le chiama, insieme ai Mesi, un
almanacco drammatizzato
in cui si fanno parlare
i personaggi [...] tutti presenti nel giomo d’inizio del dramma che li avrà protagonisti […] come
una profezia o previsione atemporale attuatasi nel
momento che rinserra il futuro dell’intero ciclo. La tradizione, risalente all’antico
Egitto, è presente in tutte le regioni italiane.
Questa originale
forma drammatica era strettamente legata ai riti d’inizio di un Ciclo. Molto
diffuse erano le rappresentazioni dei Mesi, mentre le nostre Stagioni escono un po’ fuori da quei
moduli.
Tutta la mascherata
si presta facilmente alla lettura. All’inizio
del ciclo annuale l’uomo ha bisogno di trovare
una conferma di
tutto ciò che dovrà succedere nel quotidiano svolgersi del suo tempo in cui
l’avvicendarsi delle stagioni, come un orologio, scandisce lo scorrere della
vita legata alle sue necessità primarie, che sono
quelle della sopravvivenza che il ciclo della natura assicura. In questo ciclo
c’è bisogno del Sole e della Luna, elementi che permettono questo sviluppo, il tutto
inquadrato nel perenne scorrere del Tempo, in cui
In questa luce
bisogna seguire l’avanzare del corteo che si snoda per le vie lungo le quali il
rito deve realizzarsi, che si ferma per ricevere, dalla partecipazione corale
degli astanti, il segno della sacralità dell’evento e la sicurezza che esso si
realizzi. Esso avanza sontuoso con i personaggi
a cavallo e con altre maschere che fanno da
guida ai destrieri, ognuno preso nella maschera che rappresenta come quella Morte cui avresti detto uno
scheletro vivificato. La
serietà del rito, non difficilmente compare sottolineata dall’essenzialità di
quei lazzi e di quelle risa.
I coriandoli, i confetti gettati sulla gente
sono segni di prolificità; e il fermarsi del corteo è l’inizio di un mistero come una tappa; e le
parole dei personaggi, come parti di una preghiera, sono un richiamare su di se e sulla
comunità i doni che quel dire promette; e la necessità di quei lazzi e di quel
riso servono ancora una volta a suggellare la serietà del rito.
Pur avendo perduto attraverso i millenni il senso primitivo
della funzione tutti sentono che quel divertimento ha un valore diverso dagli
altri come se quel voluto dalla tradizione ne svelasse tutti i significati.
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Le tradizioni popolari e religiose di Solofra
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